CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 29477 depositata il 27 giugno 2018
Reati contabili – Fallimento – Mancata consegna libri e scritture contabili al liquidatore – Responsabilità dell’amministratore unico – Condanna per il reato di bancarotta documentale – Prova – Assenza del verbale di consegna ex art. 2487 c.c. e prova testimoniale – Legittimità
Ritenuto in fatto
Con sentenza emessa in data 14 dicembre 2016 la Corte d’Appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari – ha confermato la penale responsabilità di F.A.C.B., quale amministratore unico della società P.D.M. s.r.l., dichiarata fallita in data 30/09/2010, per aver sottratto i libri e le scritture contabili della società allo scopo di recare a sé o ad altri un ingiusto profitto.
2. Con atto sottoscritto dal proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione l’imputato affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 2487 bis, 2489, 2392 c.c. e 192 c.p.p..
Lamenta il ricorrente che la Corte ha erroneamente valorizzato in senso allo stesso pregiudizievole la mancanza del verbale di consegna ex art. 2487 c.c. attestante la consegna dei libri contabili al liquidatore nominato, desumendo da tale omissione la sussistenza del reato contestato.
La sentenza impugnata, con palese vizio di illogicità della motivazione, ha attribuito fede alle dichiarazioni del liquidatore N., suo coimputato ed in evidente conflitto di interessi, ed ha illogicamente interpretato la deposizione del teste P. nella parte in cui costui aveva escluso che il ricorrente avesse consegnato al N. i libri contabili.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge e travisamento dei fatti in relazione all’art. 521 c.p.p. e motivazione non conforme al reato contestato in relazione all’art. 216 n. 2 L.F..
Lamenta il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale ha riportato le risultanze della relazione ex art. 33 L.F., dalla quale emergeva una situazione di sostanziale correttezza della gestione sino al 2001 e debiti sociali limitati e quasi irrisori.
La Corte territoriale era incorsa in un vizio di motivazione nel riportare l’andamento economico della società, peraltro ininfluente rispetto al reato di bancarotta documentale contestato,
2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione all’art. 62 bis c.p. per la mancata concessione delle attenuanti generiche, avendo la sentenza impugnate omesso di considerare elementi favorevoli al prevenuto, come l’età e l’incensuratezza.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo è inammissibile.
Premesso che è orientamento consolidato di questa Corte che tra i doveri dell’amministratore di società, il cui inadempimento è penalmente sanzionato a norma dell’art. 223 L.F., rientra anche il diretto e personale obbligo di diritto di tenere e conservare le probatorio di dimostrare il mancato rinvenimento delle scritture contabili relative al periodo in cui il ricorrente ha svolto pacificamente le funzioni di amministratore unico della società fallita, essendo tale circostanza pacifica e incontestata.
A quel punto, sarebbe stato onere dell’imputato provare che il mancato rinvenimento delle predette scritture fosse dipeso da fatto allo stesso non imputabile per essere i libri contabili stati consegnati al liquidatore (vedi sez. 5 n, 55740 del 25/09/2017, Rv. 271839).
Proprio in tale prospettiva, il prevenuto, aveva chiesto ed ottenuto l’audizione del teste P.A., il quale, tuttavia, interpellato sul punto, ha risposto in maniera categorica che il F. aveva consegnato al liquidatore solo documenti e non i libri e/o registri contabili della società.
Non vi è dubbio che il percorso argomentativo con cui la sentenza impugnata ha evidenziato che il ricorrente, al momento della messa in liquidazione della società, non avesse consegnato le scritture contabili al liquidatore nominato N. è tutt’altro che affetto da illogicità, avendo desunto ciò non solo dalla mancanza del verbale di consegna ex art. 2487 cod. civ., ma anche dalla deposizione dello stesso teste P. il cui significato, come coerentemente osservato dalla Corte territoriale, non può essere totalmente stravolto nel senso auspicato dal ricorrente (secondo cui, con apodittiche argomentazioni, i documenti effettivamente consegnati sarebbero stati proprio quelli contabili).
Peraltro, entrambi i giudici di merito hanno valorizzato la deposizione del teste P.P.P., il quale aveva spiegato di aver ricevuto nel dicembre 2002 l’incarico di liquidatore dal F., ma di aver rinunciato dopo qualche giorno in quanto quest’ultimo “non ottemperava alle indicazioni fornitegli, in particolare la consegna della documentazione di rito”.
Con tali precise argomentazioni, che costituiscono un riscontro oggettivo alla dichiarazione del N. di non aver ricevuto le scritture contabili, il ricorrente non ha inteso seriamente confrontarsi.
2. Il secondo motivo è inammissibile anche perché manifestamente infondato.
Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe mal riportato e travisato le risultanze della relazione ex art. 33 L.F. dei curatore, che avrebbe invece descritto una situazione di sostanziale correttezza della gestione fino al 2001.
Tali censure sono palesemente destituite di fondamento, evincendosi dalla ricostruzione della sentenza impugnata ed dalla relazione ex art. 33 L.F. allegata al ricorso dal prevenuto (per il principio dell’autosufficienza) che il bilancio 2001 approvato il 30/06/2002 aveva determinato perdite comportanti la riduzione del capitale sociale al di sotto il minimo legale, e ciò nonostante, la società non aveva, ai sensi dell’art. 2447 cod. civ., convocato l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale e contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo legale.
Aveva, inoltre, evidenziato il curatore che nonostante nel bilancio fossero riportate immobilizzazioni materiali per £ 207.289.584 nel 2001 – e che dalla nota integrativa di quell’anno fosse risultato che si trattava automezzi, impianti specifici, forni ed attrezzature varie (compresa la caparra su immobili per £ 100.000.000) – tali beni non furono rivenuti e il F. aveva dichiarato che la società non possedeva beni, disconoscendo addirittura la propria firma apposta sul bilancio 2001. Anche alla luce di ciò, il curatore aveva invitato a valutare l’esistenza degli estremi di falso in bilancio sugli anni 1999, 2000 e 2001.
Dunque, la sentenza impugnato ha correttamente riportato le risultanze della relazione ex art. 33 L.F. e le censure anche su questo punto non si confrontano con i precisi rilievi della Corte territoriale.
3. Il terzo motivo è inammissibile.
Va osservato che la determinazione del trattamento sanzionatorio, la concessione o meno delle attenuanti generiche, o il bilanciamento delle circostanze rientrano nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 6 n. 41365 del 28 ottobre 2010, Straface, rv 248737).
In proposito, deve rilevarsi che, nel motivare il diniego delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
Nel caso di specie, è quindi immune da censure la motivazione con cui la sentenza impugnata ha negato la concessione delle attenuanti generiche evidenziando gli ingenti danni provocati ai creditori – ancorché non fosse stata contestata l’aggravante di cui all’art. 219 L.F. – atteso che la mancanza totale di documenti contabili aveva reso impossibile l’individuazione di qualsiasi voce attiva con conseguente totale insoddisfazione delle pretese dei creditori.
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo stabilire nella misura di 2.000,00 Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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