CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 29830 depositata il 27 ottobre 2020

Reati tributari – Emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti – Provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato – Annullamento – Assenza di prova del nesso di derivazione diretta – Legittimità

Ritenuto in fatto

1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Bergamo ha accolto l’istanza di riesame, ex art. 324 cod.proc.pen., proposta da L.S. e, per l’effetto, ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Bergamo, disponendo la restituzione della somma di denaro di € 100.050,00 in favore di L.S..

1.1. Il Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice cautelare ha osservato che era stato emesso decreto di sequestro preventivo impeditivo finalizzato alla confisca del profitto del reato di cui all’art. 2 del d.lvo n. 74 del 2000, unica ipotesi di incolpazione provvisoria da valutare essendo priva di qualsiasi descrizione la contestazione di violazione dell’art. 648 bis cod.pen.; che la somma di denaro era stata rinvenuta e sequestrata all’interno di una cassetta di sicurezza aperta solo in data 27 e 29 agosto 2019, sicché la provvista contenuta non poteva essere riferita ad attività illecita successiva, integrante il reato di cui all’art. 2 cit., risultando solo n. 9 fatture ricomprese nell’arco temporale febbraio – 20 agosto 2019, per una retrocessione dell’Iva pari a € 22.000, che, dunque, difettava il requisito della inerenza del bene sequestrato al reato per il quale si procede e della natura di profitto del reato.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica, articolando un unico motivo di ricorso con il quale denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sotto il profilo della contraddittorietà e manifesta illogicità.

Sotto il primo profilo denuncia la violazione dell’art. 321 cod.proc.pen. non essendo richiesta la prova del nesso di derivazione diretta dal reato della somma di denaro oggetto di confisca secondo i principi affermati dalla sentenza S.U. L., per cui ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma.

Dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo ovunque e presso chiunque custodito nell’interesse del reo, salvo che si abbia la prova che le somme non possano proprio derivare in alcun modo dal reato e neppure possano rappresentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio quale conseguenza del mancato versamento delle imposte. A tali principi non si sarebbe attenuto il tribunale cautelare secondo un ragionamento errato in diritto secondo cui il profitto del reato si sarebbe perfezionato solo con la presentazione della dichiarazione fiscale non considerando che il risparmio di spesa si sarebbe già incamerato durante tutto l’anno di imposta. Il denaro rinvenuto nella cassetta di sicurezza sarebbe profitto del reato che è pervenuto a consumazione in data 30/04/2019. Infine, vi sarebbe la prova che il suddetto denaro fosse di derivazione da titolo lecito.

Sotto altro profilo l’ordinanza sarebbe illogicamente motivata in punto determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, risultando questa dall’annotazione di P,G. in data 7/11/2019 che l’ha quantifica da un minimo di € 96.940,18 ad un massimo di € 152.629,22.

3. Il Procuratore generale ha chiesto, in udienza, l’annullamento con rinvio.

Considerato in diritto

4. Il ricorso del Pubblico Ministero è inammissibile per la proposizione di motivi non consentiti in questa sede tenuto conto del limite del sindacato di legittimità nei procedimenti penali avverso ai provvedimenti cautelari reali, che ai sensi dell’art. 325 cod. procpen., circoscrive il ricorso per cassazione soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge.

Al netto della deduzione del vizio di motivazione espressamente indicata nell’epigrafe del motivo, anche la deduzione di vizio di violazione di legge pone questione di vizio di motivazione non consentita in questa sede.

Il ricorrente dopo avere ricordato i principi della nota sentenza S.U. L., non si è direttamente confrontato con le ragioni della decisione del Tribunale.

L’ordinanza impugnata, pur sintetica, ha ritenuto che non vi fossero elementi obiettivi dai quali desumere che la somma sequestrata, rinvenuta nella cassetta di sicurezza dello l. e ivi depositata in epoca precedente al commesso reato, fosse “impinguata con il commercio illecito di denaro” derivante dall’emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, e fosse, dunque, qualificabile quale profitto del reato, requisito necessario per l’adozione della misura ablativa. La esclusa natura di profitto del reato è rimasta priva di censura da parte del ricorrente che pone la questione diversa del nesso di pertinenzialità del profitto accrescitivo secondo la sentenza S.U. L.. Il ricorrente non fa questione di erronea interpretazione, alla luce della sentenza L., di principi di diritto, ma di contestazione dei presupposti di fatto, e dunque pone questioni di motivazione, sulla scorta dei quali l’ordinanza impugnata ha annullato il decreto di sequestro. Allo stesso modo, anche la censura sulla mancata determinazione del profitto del reato si risolve in un vizio di motivazione non consentito.

Per completezza osserva il Collegio, che, con riferimento al sequestro nei reati tributari, sulla scorta dei principi della S.U. L., è stato affermato che laddove il profitto del reato sia costituito da denaro non più fisicamente identificabile, è sempre legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, senza che sia necessaria la dimostrazione del nesso di derivazione dal reato, delle somme di denaro di valore corrispondente che siano attribuibili all’indagato, cioè che siano presenti sui conti o sui depositi nella disponibilità diretta o indiretta dell’indagato, ivi compreso il deposito in cassetta di sicurezza, al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento. La medesima forma di sequestro è legittima anche sulle somme di valore corrispondente accreditate su quei conti o su quei depositi in epoca posteriore al momento della commissione o dell’accertamento del reato, purché si tratti di numerario che risulti dimostrato essere in qualche modo collegabile al reato, perciò allo stesso legato da un rapporto di derivazione anche indiretta (Sez. 3, n. 6348 del 04/10/2018, Torelli, Rv. 274859 – 01; Sez. 3, n. 41104 del 12/07/2018, Vincenzini, Rv. 274307 – 01).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.