CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 30688 depositata il 21 maggio 2019
Tributi indiretti – IVA – Accertamento – Dichiarazione annuale – Omesso versamento – Termini – Contenzioso tributario
Ritenuto in fatto
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pesaro, ha assolto C.R. in relazione al reato di cui all’art. 646 cod.pen. perché il fatto non costituisce reato (capo b) ed ha ridotto la pena inflitta, nella misura di mesi quattro di reclusione, in relazione al reato di cui all’art. 10 – ter d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, per l’omesso versamento di Iva per € 2.055.250,00, dovuta in base alla dichiarazione annuale della società P.C. srl, di cui era legale rappresentante, del 2011, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo all’anno successivo. In Pesaro il 27/12/2012.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 420 ter cod.proc.pen. per avere, la Corte d’appello, rigettato la richiesta di rinvio per legittimo impedimento dell’imputato a comparire all’udienza del 19/03/2018, per motivi di salute, come risultanti dal certificato medico che attestava che l’imputato era affetto da “sindrome ansioso depressiva reattiva dispepsia rachialgie dorso-lombari con prognosi di cinque giorni di riposo e cure mediche”, con motivazione illogica e in violazione di legge, dal momento che l’impossibilità assoluta non è limitata alla materiale impossibilità per l’imputato a comparire, ma ricorre anche nei casi in cui la partecipazione non sarebbe assistita dal lucidità mentale e capacità intellettiva tale da assicurare il suo diritto di difesa.
2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 606 comma 1 lett. d) cod.proc.pen. e il vizio di motivazione in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria per l’assunzione del teste dott. M.R., funzionario della BNL Agenzia di Pesaro, indicato nella lista dei testimoni ed escluso dal giudice di primo perché superfluo, la cui testimonianza era indispensabile per l’esclusione del dolo e segnatamente, per la dimostrazione che l’esito negativo della pratica di finanziamento richiesta nell’estate del 2011, non era dipeso dall’imputato.
2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’esclusione del dolo per effetto della crisi economica che aveva investito la società. Argomenta il difensore del ricorrente di avere allegato la situazione di crisi economica e di avere assolto all’onere probatorio richiesta dalla giurisprudenza per escludere il dolo del reato. Sotto il primo profilo la crisi di liquidità, che aveva investito la società, non era dipesa dal suo comportamento ma da precedente mala gestio, il prevenuto aveva messo in atto tutte le misure, anche sfavorevoli al proprio patrimonio, per far fronte alla crisi economica, si era dapprima nel 2011, rivolto al ceto bancario per avere un finanziamento che, inaspettatamente veniva negato dalla banca, nella primavera del 2012 aveva poste in essere una serie di operazioni di ricostituzione del capitale sociale mediante conferimento di un fabbricato del valore stimato di € 1.891.000 di proprietà della società sta della famiglia C., e di ricostituzione del capitale sociale € 10.000, con un ulteriore aumento di capitale fino all’importo di € 1.250.000,00 attraverso il conferimento di crediti in capo ad una società anch’essa della famiglia C.. Aveva predisposto un piano, ex art. 67 legge fall., non approvato dal credito bancario, con successivo accordo ex art. 182 bis legg. fall, e successiva dichiarazione di fallimento. In tale situazione alcun rimprovero a titolo di dolo sarebbe sostenibile, e la motivazione, sul punto sarebbe manifestamente illogica e frutto di un travisamento del fatto laddove la sentenza impugnata avrebbe affermato l’avvenuto pagamento di compensi all’amministratore, avendo il C. percepito emolumenti sino al 2011, circostanza confermata dall’assoluzione di cui al capo b), e non in epoca successiva.
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
4. Il ricorso, che riproduce le medesime censure già devolute ai giudici dell’impugnazione e da quei giudici disattese con motivazione congrua e corrette in diritto, è inammissibile.
5. Il primo motivo di ricorso, di natura processuale, è manifestamente infondato.
Dagli atti a cui la Corte ha accesso, in presenza di un error in procedendo, risulta che l’istanza di rinvio per legittimo impedimento dell’imputato era stata disattesa, in presenza di un certificato medico con diagnosi di “sindrome ansioso depressiva reattiva dispepsia rachialgie dorso-lombari con prognosi di cinque giorni di riposo e cure mediche”, non configurando, secondo la corte territoriale, un assoluto impedimento a comparire. Tale decisione è corretta in diritto e congruamente argomentata.
La semplice diagnosi di “cinque giorni di riposo e cure mediche” non meglio specificate non qualifica, per la sua genericità, la condizione di assoluto impedimento che legittima il rinvio ai sensi dell’art. 420 ter cod.proc.pen. La genericità dell’indicazione contenuta nel certificato medico sulla tipologia di cure, per verificare il requisito dell’assolutezza dell’impedimento, non consente la valutazione del grado di impedimento, sia quale materiale impossibilità per l’imputato di essere presente nel luogo ove si svolge il processo, sia quale condizione mentale per assicurare la partecipazione con effettivo esercizio del diritto di difesa; a nulla rilevando, in tale ultimo ambito, la certificazione prodotta (relazione psichiatrica di parte ai fini della compatibilità delle condizioni di salute con la detenzione in carcere) datata oltre un anno prima nella quale, peraltro, viene evidenziata la ricorrenza di una sindrome ansioso depressiva complicata dalla detenzione in carcere la cui compatibilità non era neppure esclusa.
Concorda il Collegio con l’affermazione difensiva secondo cui il legittimo impedimento ex art. 420 ter cod.proc.pen., che giustifica il rinvio del processo, non deve essere limitato all’impossibilità fisica, come, del resto, questa Corte di legittimità ha già da tempo affermato. Ma, nel caso in esame, non sussistevano i presupposti di assolutezza richiesta dalla norma processuale.
Ed infatti, la giurisprudenza di legittimità, ha da tempo affermato che l’assoluta impossibilità a comparire derivante da infermità fisica non va intesa in senso esclusivamente meccanicistico, come impedimento materiale che risulti superiore a qualsiasi sforzo umano, prescindendo dalle condizioni psico-fisiche in cui versa l’imputato, in quanto la garanzia sottesa all’esercizio del diritto di difesa comporta che egli sia in grado di presenziare al processo a suo carico come parte attiva della vicenda che lo coinvolge (Sez. 6, n. 11678 del 19/03/2012, Bracchi, Rv. 252318 – 01). Tuttavia, ha precisato, in tempi recenti, che l’impedimento a comparire dell’imputato di cui all’art. 420-ter cod. proc. pen., che concerne non solo la capacità di recarsi fisicamente in udienza, ma anche quella di parteciparvi attivamente per l’esercizio del diritto costituzionale di difesa, può essere integrato anche da una malattia a carattere cronico, purché determinante un impedimento effettivo, legittimo e di carattere assoluto, riferibile ad una situazione non dominabile dall’imputato e a lui non ascrivibile (Sez. 3, n. 6357 del 16/10/2018, Santi, Rv. 275000 – 01), situazione non ricorrente sulla scorta del certificato medico prodotto alla Corte d’appello.
6. Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso con cui si censura la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ex art. 603 cod.proc.pen., in relazione alla mancata assunzione della testimonianza del dott. Rossi, funzionario della BNL., che avrebbe confermato, nella prospettazione difensiva, che la richiesta di finanziamento non era andata a fuori fine per causa imprevedibili e non imputabili al ricorrente.
Nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603 comma 1 cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 8936 del 13/01/2015, Rv. 262620 – 01; Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, P.G. in proc. Ligresti ed altri. P.M. Iannelli M., Rv. 229666 – 01).
Nel caso in esame, la corte territoriale ha respinto l’istanza difensiva, in assenza della decisività della prova richiesta, motivazione del tutto congrua alla luce della stessa motivazione della sentenza impugnata che ha ritenuto accertata, sulla scorta del compendio probatorio, la non imputabilità della crisi economica in cui versava la società amministrata dall’imputato e la dimostrazione che il C. aveva posto in essere misure volte a fronteggiare la stessa. Dunque, l’assunzione della testimonianza, diretta a dimostrare ciò che la corte territoriale già riteneva provato, è senz’altro superflua. Da cui la manifesta infondatezza del motivo di ricorso.
7. Nel merito, il ricorso non ha miglior sorte.
Il terzo motivo di ricorso è meramente ripetitivo delle stesse questioni già devolute in appello, con riguardo alla rilevanza della situazione di crisi economica e finanziaria ai fini di esclusione dell’elemento soggettivo del reato, puntualmente esaminate e disattese dal giudice dell’impugnazione con motivazione del tutto coerente e adeguata.
La sentenza impugnata, in risposta alle censure difensive con le quali l’imputato allegava la non imputabilità della crisi economica e rappresentava di aver fatto ricorso a misure, anche sfavorevoli al proprio patrimonio, per fronteggiare la crisi di liquidità, ai fini dell’esclusione del dolo del reato, rilevava, in primo luogo, che il debito Iva si era formato nell’anno 2011, quanto il C. era amministratore della società, e che l’imputato aveva ammesso di avere ricevuto l’iva con il pagamento delle fatture, e da ciò ha tratto la conclusione che l’assenza nel patrimonio sociale delle somme di denaro, ricevute e non accantonate, in vista dell’adempimento dell’obbligazione tributaria non scusava e non rilevava ai fini dell’esclusione del dolo del reato.
La Corte d’appello, ha ritenuto provato che la società versasse in una situazione di crisi economica finanziaria e che questa fosse imputabile alla mala gestio della compagine precedente, e che l’imputato aveva fatto richiesta di finanziamento al ceto bancario, aveva assunto impegni di capitalizzazione della società con beni anche personali, aveva fatto ricorso al piano per la ristrutturazione del debito ai sensi dell’art. 67 legge fallimentare, non di meno, ha ritenuto che l’omesso accantonamento della somme ricevute, e che dovevano essere accantonate in vista dell’adempimento dell’obbligazione tributaria, non valevano ad escludere il dolo.
La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dello ius receptum di questa Corte e lo ha argomentato in modo congruo e privo di illogicità.
Deve rammentarsi che all’imputato è contestato l’omesso versamento dell’iva; il tributo da versare (l’iva) è costituito da una somma che il contribuente ha comunque ricevuto dalla controparte dell’operazione commerciale, e che avrebbe dovuto accantonare in vista della scadenza del debito erariale. E’ ben vero che non vi è norma giuridica che imponga di accantonare la somma ricevuta e da versare, e che il reato sussiste allorché, entro il termine per il pagamento dell’acconto per l’anno di imposta successivo, non vengono versate le somme dovute in base alla dichiarazione Iva per l’anno di imposta di riferimento. Ma certamente la scelta di accantonare la somma, che il contribuente ha ricevuto in controparte dell’operazione commerciale, costituisce scelta prudenziale, nel senso che onera il contribuente del rischio del mancato versamento alla scadenza del termine per l’adempimento dell’obbligazione tributaria, termine che, riferito all’anno di imposta successivo, costituisce il momento consumativo del reato, rispetto al quale sussistono gli elementi soggettivi e oggettivi.
8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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