Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 30993 depositata il 15 luglio 2019
Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte – Intestare gli immobili a una società estera conservando le quote – Sequestro – Non sussiste
Massima
Non scatta il sequestro non costituendo reato di sottrazione fraudolenta del pagamento delle imposte qualora il contribuente dopo essersi indebitato con il fisco conferisce i suoi immobili in una società restando titolare delle quote.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Lodi, in sede di riesame, con ordinanza del 15 novembre 2018 ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lodi del 10 agosto 2018 dei beni immobili intestati alla società Art House Real Estate Ltd, in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, commesso da S.D. titolare delle azioni della società alla quale l’imputata aveva conferito i beni immobili oggetto del sequestro. La S. era debitrice del fisco per complessivi Euro 956.315,68.
2. Ricorre per cassazione la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lodi, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dal disp. att. c.p.p., art. 173, comma 1.
2. 1. Violazione di legge (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11).
S.D. è indagata per i reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, proprio in relazione al trasferimento fraudolento degli immobili sequestrati ad una società estera al fine di sottrarli al recupero delle ragioni creditorie del fisco. Risultano sequestrabili i beni alienati dal soggetto indagato per sottrazione fraudolenta D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 11 in quanto gli stessi sono lo strumento attraverso il quale il reato è stato commesso (Sez. 3. n. 3905/2017); beni confiscabili ex art. 240 c.p., comma 1, e come tali sequestrabili ex art. 321 c.p.p..
Infatti, il profitto del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, è sequestrabile anche per equivalente. Il reato risulta configurabile anche nelle ipotesi di successivo pagamento integrale del debito tributario.
Nel caso in giudizio risultava evidente il carattere simulato del conferimento degli immobili ad una società estera, peraltro avvenuto dopo la notifica del PVC da parte della Guardia di finanza. La diminuzione del patrimonio dell’indagata causata dal trasferimento della proprietà degli immobili alla società estera è da ritenersi significativa; perdita pressoché totale delle garanzie per il pagamento del debito tributario. Il carattere fraudolento poi è evidenziato dalla disponibilità attuale in capo all’indagata degli immobili attraverso la titolarità di tutte le azioni della società estera.
Il profitto del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 è costituito proprio dalla riduzione simulata del patrimonio dell’indagata a nulla rilevando la sussistenza di altri cespiti patrimoniali per il pagamento delle imposte. Profitto confiscabile e pertanto sequestrabile. Il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, è un reato di pericolo e lo stesso sussiste quando il trasferimento dei beni rende comunque più difficoltosa l’azione di recupero delle somme dovute all’erario.
Ha chiesto pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso del P.M. risulta inammissibile perché proposto per vizi della motivazione, con motivi generici e manifestamente infondati; peraltro articolato in fatto.
4. Sia per il sequestro preventivo e sia per il sequestro probatorio è possibile il ricorso in cassazione unicamente per motivi di violazione di legge, e non per vizio di motivazione.
Nel nostro caso i motivi di ricorso sul fumus del reato risultano proposti per il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E, (sia letteralmente e sia nella valutazione sostanziale del ricorso).
Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. (Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009 – dep. 11/11/2009, Bosi, Rv. 245093; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692).
Nel nostro caso non ricorre una violazione di legge, e nemmeno l’apparenza della motivazione, e conseguentemente il ricorso deve ritenersi manifestamente infondato.
Infatti il provvedimento impugnato contiene adeguata motivazione, non contraddittoria e non manifestamente illogica, con corretta applicazione dei principi in materia espressi da questa Corte di Cassazione, e rileva come per un sequestro bisognava prima accertare la possibile capienza del patrimonio della indagata per i pagamenti del debito verso il fisco, correttamente richiamando sul punto la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione (“Il reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 11 è un reato di pericolo che richiede il compimento di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, al fine di sottrarsi al pagamento del debito tributario, che siano in concreto idonei – in base ad un giudizio “ex ante” che valuti la sufficienza della consistenza del patrimonio del contribuente in rapporto alla pretesa dell’Erario – a rendere inefficace, in tutto o in parte, l’attività recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria, a prescindere dalla sussistenza di un’esecuzione esattoriale in atto. – Fattispecie di vendita di una particella immobiliare a società svizzera con soci non identificabili, in cui la S.C. ha annullato con rinvio la decisione che aveva ritenuto sussistente il “fumus” del reato, senza motivare in ordine all’effettivo carattere simulato della predetta operazione immobiliare e alle conseguenze derivanti dalla stessa sulla capienza del patrimonio complessivo dell’indagata, rispetto alle pretese dell’Erario -“; Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016 – dep. 01/04/2016, Pass, Rv. 26677101).
Del resto, “Nella valutazione del fumus commissi delicti, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria, e plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato, pur senza sindacare la fondatezza dell’accusa” (Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014 – dep. 27/11/2014, Armento, Rv. 26167701; vedi anche Sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016 – dep. 17/06/2016, P.M. in proc. Bulgarella e altri, Rv. 26700701).
Nel caso in giudizio, l’analisi del Tribunale del riesame, come sopra visto, risulta adeguata alle risultanze degli atti, rilevando come dalle stesse prospettazioni del P.M. richiedente la misura cautelare emergeva la sussistenza in capo alla indagata di altri rapporti finanziari e di altri beni; sul punto il ricorso in cassazione del P.M. contiene generiche ed astratte valutazioni, non confrontandosi affatto con le motivazioni del Tribunale del riesame.
Inoltre deve aggiungersi che la ricorrente non si è fraudolentemente spogliata dei beni immobili ma semplicemente li ha conferiti in una società; l’indagata, come anche rappresentato nel ricorso in cassazione, resta titolare delle azioni della società nella quale sono stati conferiti gli immobili. Del resto le azioni sono pur sempre sequestrabili o pignorabili al pari di altri beni mobili od immobili. Conseguentemente nessuna sottrazione (fraudolenta) di beni della contribuente potrebbe venire in considerazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero.
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