Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 3108 depositata il 24 gennaio 2024
Superbonus – autoriciclaggio – sequestro preventivo impeditivo
CONSIDERATO IN FATTO
1. Con ordinanza del 26/05/2023 il Tribunale di Treviso ha rigettato le istanze di riesame proposte nell’interesse della Banca di C.C.M. – soc. coop., della Banca di D. B. s.p.a. e di F.G. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del Tribunale di Treviso il 20/04/2023 avente ad oggetto i beni di cui ai punti C, F ed H della richiesta del Pubblico Ministero, in relazione ai reati di truffa e di autoriciclaggio, contestati a vari soggetti, per condotte illecite consistite nella mancata esecuzione di opere edili appaltate dal Consorzio C.Z., ammesse all’agevolazione fiscale denominata “Superbonus 110%”, oggetto di S.A.L., di false asseverazioni e fatturazioni al committente, con conseguente riconoscimento di crediti di imposta, monetizzati attraverso la successiva cessione a istituti di credito.
1.1. Per quanto rileva ai fini della presente decisione, il giudice del riesame, richiamando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, riteneva infondate le censure della Banca di C.C.M., secondo cui il periculum in mora – indicato nella possibilità di ulteriori operazioni illecite, a seguito dell’incameramento di somme rilevanti – poteva riferirsi solo agli indagati e non all’istituto bancario, in mancanza di specifica motivazione sul pericolo derivante dalla disponibilità dei crediti ceduti, specie in considerazione di quanto disposto dall’art. 121 d.l. 34/2020 che limitava la responsabilità del soggetto cessionario alle ipotesi di utilizzo irregolare del credito o di concorso nella violazione.
2. Avverso l’ordinanza collegiale propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia della Banca di C.C.M., sulla base di due motivi, con i quali eccepisce:
– violazione di legge (artt. 119, 121 d.l. 34/2020 – cd. decreto rilancio, art. 7 CEDU, art. 1 Protocollo Addizionale della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) per l’impossibilità di sottoporre a sequestro crediti d’imposti sorti in relazione al cd. Superbonus 110, acquistati dal cessionario di buona fede, con conseguente carenza del requisito del periculum in mora;
– violazione di legge (art. 321 cod. proc. pen.) per la mancata valutazione in merito alla concretezza e alla attualità del periculum in mora, posto che era sempre possibile il recupero del valore del credito.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato, condividendosi le osservazioni in diritto del tribunale.
1.1. La motivazione del provvedimento impugnato non si limita, infatti, a richiamare il principio di diritto secondo cui in tema di sequestro preventivo impeditivo relativo al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, sono suscettibili di apprensione i crediti dei terzi cessionari di cui all’art. 121, comma 1, lett. b), d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 (oggetto del cd. “superbonus 110%”), posto che gli stessi, derivando dal diritto alla detrazione di imposta spettante al committente delle opere, costituiscono cose pertinenti al reato, senza che rilevi la condizione soggettiva di detti terzi, in conformità alle norme processualpenalistiche che non risultano derogate dalla disciplina in oggetto (sez. 3, n. 40865 del 21/09/2022, Decio, Rv. 283701; conf. sez. 2, n. 33463 del 09/12/2022, dep. 2023, n.m.; sez. 2, n. 16728 del 12/01/2023, n.m.); contiene, altresì, espliciti riferimenti alle ragioni in base alle quali è da escludersi la violazione dell’art. 121 d.l. 34/2020, sul solco delle argomentazioni del giudice di legittimità.
1.2. Anche nel caso di specie, come in altri esaminati dalla Corte, deve essere preliminarmente osservato come la ricorrente non contesta la configurabilità dei reati ipotizzati in capo agli attuali indagati (in particolare il capo di imputazione riguardante la truffa aggravata); peraltro, la stessa prospettazione accusatoria sembra qualificare la veste della Banca di C.C.M. quale persona offesa dal reato.
Il tema – con il quale parte ricorrente non si confronta in termini critici, per gli aspetti processualpenalistici in rilievo – riguarda, invece, la sequestrabilità dei crediti di imposta ceduti, nella specie del valore di circa 27 milioni di euro, in capo al terzo estraneo al reato, quale cessionario di tali crediti.
2. Il sequestro impeditivo di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen. richiede soltanto la prova di un legame pertinenziale tra la res ed il reato, ossia un collegamento che comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa (tra le altre, Sez. 2, n. 28306 del 16/4/2019, Lo Modou, Rv. 276660; Sez. 3, n. 31415 del 15/1/2016, Ganzer, Rv. 267513).
In particolare, i crediti sequestrati alla ricorrente sono stati a ragione considerati cosa pertinente al reato, risultando infondata la tesi difensiva secondo cui, esercitata l’opzione per la cessione del credito, e dunque rinunciato dal beneficiario l’originario diritto alla detrazione (nella misura del 110% delle spese documentate e rimaste a carico), il credito stesso sorgerebbe – in capo al cessionario – a titolo originario, quindi depurato da qualunque vizio, anche radicale, che avesse eventualmente colpito il diritto alla detrazione. Questa tesi, che intenderebbe il credito ceduto come sempre “garantito” dallo Stato a tutela del cessionario, anche di fronte ad un assoluto difetto di presupposti, è all’evidenza infondata, non deponendo in tal senso la normativa di riferimento (primaria e secondaria) ampiamente richiamata nel primo motivo di ricorso, alla quale non può esser riconosciuta alcuna forza derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria.
3. La ricostruzione di tale normativa è puntualmente riportata nella citata sentenza n. 40865/2022, e va ribadita negli stessi termini.
L’art. 121, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 luglio 2020, n. 77, stabilisce che i soggetti che sostengono spese per determinati interventi (di recupero del patrimonio edilizio, di efficienza energetica, di adozione di misure antisismiche, di recupero o restauro della facciata di edifici esistenti, di installazione di impianti fotovoltaici, di installazione di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici, di superamento ed eliminazione di barriere architettoniche), negli anni di riferimento, possono optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente:
1) per il cd. sconto in fattura, ossia un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d’imposta, di importo pari alla detrazione spettante, a sua volta suscettibile di cessione;
2) per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari, a sua volta suscettibile di cessione, nei termini (più volte modificati) del comma 1, lett. b), o di essere portato in compensazione con debiti erariali.
4. Dalla lettura dell’art. 121, comma 1, emerge, dunque, che il meccanismo del Superbonus in oggetto è stato costruito dal legislatore su percorsi alternativi, sebbene evidentemente legati nei presupposti e sostenuti dall’identica finalità di incentivare gli interventi indicati: all’utilizzo diretto della detrazione fiscale spettante, previsto come ipotesi ordinaria, sono state infatti aggiunte le due opzioni appena richiamate, che – rimesse alla scelta dell’unico beneficiario (colui che ha sostenuto le spese) – costituiscono un’evidente derivazione della prima, utile per ottenere un’immediata monetizzazione del proprio diritto, senza dover attendere cinque anni per la complessiva detrazione. Con particolare riguardo alla cessione del credito, oggetto del ricorso, il beneficiario si spoglia dunque del proprio diritto alla detrazione, che assume la veste – nell’identico contenuto patrimoniale – di un credito suscettibile di circolare nei termini indicati dalla legge, e che viene contestualmente ceduto. Non si riscontra, dunque, l’estinzione di un diritto alla detrazione (in capo al beneficiario) e la contestuale costituzione ex novo di un credito (in capo al cessionario), come sostenuto dalla ricorrente, né un fenomeno novativo di sorta, ma soltanto l’evoluzione – non la sostituzione – del primo nel secondo, espediente tecnico necessario per consentire quella cessione a terzi ritenuta dal legislatore un fattore ulteriormente incentivante la procedura, e, dunque, uno strumento ancora più utile per la ripresa economica del Paese.
4.1. A conclusioni diverse, peraltro, non si può pervenire valorizzando i commi 4, 5 e 6 dell’art. 121 in esame, in tema di controlli e sanzioni, come invece affermato nel ricorso (la ricorrente ha reiterato, in particolare, il richiamo al comma 4 – “I fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto”).
Tali commi non introducono una disciplina derogatoria a quella ordinaria penale con riferimento al sequestro preventivo. Il vincolo impeditivo, infatti, implica soltanto l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede; ne deriva, che non rileva in questa sede l’eventuale responsabilità del terzo cessionario né i presupposti oggettivi o soggettivi di questa per come ricavabili dai commi 4, 5 e 6 in oggetto, occorrendo soltanto verificare piuttosto se la libera disponibilità della res – anche in capo allo stesso terzo – sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen.
5. Non decisivo, poi, è un altro elemento testuale che l’impugnazione reitera (pag. 11 del ricorso), quale il contenuto della Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 24/E dell’8 agosto 2020, nella quale, in particolare, si afferma che “I fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto. Pertanto, se un soggetto acquisisce un credito d’imposta, ma durante i controlli dell’ENEA o dell’Agenzia delle entrate viene rilevato che il contribuente non aveva diritto alla detrazione, il cessionario che ha acquistato il credito in buona fede non perde il diritto ad utilizzare il credito d’imposta”.
5.1. E’ condivisibile, a riguardo, quanto sottolineato nella più volte citata pronuncia di legittimità, secondo cui, per un verso, si tratta soltanto della lettura di un testo normativo compiuta dall’Agenzia delle entrate, e non, invece, di un’interpretazione autentica vincolante erga omnes; per altro verso, la stessa Agenzia – con la successiva circolare n. 23/E del 23 giugno 2022 – ha sostenuto una tesi contraria, ossia che “l’eventuale dissequestro di crediti, acquistati in violazione dei principi sopra illustrati, da parte dell’Autorità giudiziaria (ad esempio, in ragione dell’assenza di periculum in mora in capo al cessionario) non costituisce ex se circostanza idonea a legittimare il loro utilizzo in compensazione. Di conseguenza, in caso di utilizzo in compensazione di crediti d’imposta inesistenti, interessati dal provvedimento di dissequestro, gli organi di controllo procederanno parimenti alla contestazione delle violazioni e alle conseguenti comunicazioni all’Autorità giudiziaria per le indebite compensazioni effettuate”.
6. Il secondo motivo di ricorso è reiterativo, oltre che manifestamente infondato.
Il periculum in mora, secondo quanto prospettato dalla ricorrente, sarebbe inesistente nel caso in esame per la possibilità, comunque, di recuperare le somme utilizzate in compensazione, nell’ambito dell’attività bancaria, assunto non condivisibile, come sottolineato nell’ordinanza impugnata perché la possibilità di permanente utilizzazione dei crediti originanti da fatto illecito protrarrebbe e/o aggraverebbe le conseguenze del reato secondo quanto previsto dall’art.321, comma 1, cod. proc. pen.
7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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