Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 31202 depositata il 16 luglio 2019
Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti – Interposizione fittizia di manodopera – Abbattimento dell’imponibile – Esposizione di costi fittizi e indebite detrazioni Iva – Sussiste
Massima
E’ configurabile il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti laddove la società, attraverso l’elusione delle norme imperative in materia giuslavoristica, instaura di fatto un rapporto in tutto assimilabile a quello di lavoro dipendente
RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 30 ottobre 2018, il Tribunale del Riesame di Verona ha rigettato le richieste di riesame presentate nell’interesse degli indagati T.G. e S.B., nonché dalla società T. s.r.l., rappresentata legalmente da P.S.G., avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona in data 4 ottobre 2018, in ordine ai reati di cui all’art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, sui conti correnti societari e dell’indagato S.B., fino alla concorrenza di Euro 6.964.681,61 in relazione ai periodi di imposta 2012, 2013, 2014, 2015 e 2016. Secondo la prospettazione accusatoria, dagli atti risulta che, a seguito di una verifica fiscale condotta nel 2017 nei confronti della società T. s.r.l. – avente come oggetto sociale attività logistica nel settore dell’alta moda per noti marchi internazionali – era emerso che la stessa aveva appaltato i servizi di facchinaggio e le prestazioni accessorie (quali pulizia, etichettatura dei capi, confezionamento ecc.) a vari consorzi che, a loro volta, assegnavano tali attività alle cooperative facenti parte dei medesimi che operavano nei numerosi magazzini della società presenti nel territorio nazionale. Il Tribunale del riesame afferma che le indagini svolte hanno permesso di accertare che, contrariamente al dato puramente formale, tra la società T. srl e i consorzi non sono stati instaurati appalti genuini, avendo la società fatto ricorso, in maniera sistematica, a moduli di gestione di tali rapporti in fase esecutiva che, di fatto, integravano delle ipotesi di somministrazione (illegale) di manodopera da parte delle cooperative, per il tramite del consorzio che si interponeva fittiziamente in tale rapporto. A loro volta, i consorzi adottavano il medesimo meccanismo nell’ambito del rapporto di subappalto con le società cooperative di lavoro che fornivano, di fatto, solo la manodopera tramite i propri soci lavoratori. Tale meccanismo, dunque, aveva permesso alla società T. s.r.l. di utilizzare la manodopera messa a disposizione delle cooperative instaurando di fatto – attraverso l’elusione delle norme imperative in materia giuslavoristica – un rapporto in tutto assimilabile a quello di lavoro dipendente; con la conseguenza, sotto il profilo fiscale, che le fatture emesse dalle società consorziate sono da qualificare come oggettivamente inesistenti in quanto, pur essendo state emesse avuto riguardo ad una prestazione “reale” – e cioè quella collegata alla somministrazione del lavoro – nel caso di specie, non è prevista ab origine la fatturazione (in quanto vietata ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003), con la conseguenza che la società appaltante avrebbe inserito le relative fatture in contabilità, facendo figurare elementi passivi fittizi e detraendo l’IVA per tali operazioni
2. – Avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame, hanno proposto ricorsi per cassazione, per il tramite del loro difensore e con unico atto, gli indagati S. e T., chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di impugnazione, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 111 Cost., comma 7, in quanto il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccesso di sequestro per Euro 2.000,01, nonché sulla necessaria proporzionalità tra il calcolo del beneficio fiscale e l’ammontare del sequestro. Secondo la difesa, il totale della somma sottoposta a sequestro, Euro 6.964.681,61, sarebbe errato per eccesso nella misura di Euro 2.000,01, in quanto nell’importo relativo all’anno di imposta 2014, viene riportato il totale IVA delle fatture emesse da FINGROUP per la somma di Euro 234.247,74, in luogo della somma reale che emergerebbe anche dalla CNR della Guardia di Finanza di Verona, e cioè Euro 232.247,74.
Inoltre, mancherebbe la proporzionalità tra il calcolo del beneficio fiscale e l’ammontare del sequestro, non essendo stata computata esattamente l’evasione ipotizzata.
2.2. – Con un secondo motivo di ricorso, la difesa censura l’esercizio da parte del Tribunale di una potestà riservata dalla legge a organi amministrativi con riferimento alla violazione del D.Lgs. n. 124 del 2012, art. 12, D.Lgs. n. 149 del 2015, art. 15 e art. 414 c.p.c.. Il Tribunale avrebbe errato nel richiamare gli abrogati artt. 27 e 28 del D.Lgs. n. 276 del 2003, che prevedevano la possibilità, per il prestatore di lavoro irregolarmente somministrato di ottenere, previo ricorso al giudice del lavoro, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore; ciò farebbe venire meno la base giuridica del sequestro. A parere dei ricorrenti, a fronte della depenalizzazione della somministrazione della manodopera prevista dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 18 ai sensi del D.Lgs. n. 8 del 2016, il Tribunale, nel ritenere accertata la non genuinità degli appalti, avrebbe esercitato i poteri riservati dalla legge all’Ispettorato nazionale del Lavoro, organo amministrativo competente per l’irrogazione delle sanzioni.
2.3. – In terzo luogo, la difesa lamenta l’erronea applicazione delle norme di attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30 (D.Lgs. n. 276 del 2003). Secondo i ricorrenti, il Tribunale avrebbe errato nel ritenere le fatture emesse dalla T. s.r.l. come oggettivamente inesistenti e gli appalti come “non genuini”, in quanto avrebbe fatto propria la tesi sostenuta nelle CNR, ritenendo di poter accertare la non genuinità nella mancanza di autonomia imprenditoriale in capo alle Cooperative che vengono descritte come una longa manus di T. srl, di cui la stessa si serviva per utilizzarne i dipendenti.
A parere della difesa, il Tribunale del riesame avrebbe errato nel ricavare l’esistenza di indizi del reato dallo scambio di email intercorso tra i vari dipendenti e nel qualificare l’attività posta in essere dalla società T. srl come somministrazione di manodopera e non come appalto di servizi, pur in presenza dell’autonomia imprenditoriale e del rischio di impresa in capo alle cooperative.
2.4. – Con un quarto motivo, i ricorrenti lamentano l’erronea applicazione delle norme concernenti l’imposta sul valore aggiunto (D.P.R. n. 633 del 1972). Preliminarmente, a parere della difesa, il Tribunale del Riesame non avrebbe dato rilevanza alla sentenza n. 248 del 2018 pronunciata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Verona, di accoglimento del ricorso tributario promosso da T. srl in relazione all’avviso di accertamento concernente l’annualità fiscale 2012, che aveva escluso l’esistenza di un beneficio economico e fiscale nella condotta della società. Inoltre, il giudice del riesame avrebbe affermato in maniera del tutto inconferente che “l’indicazione di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura non è circostanza indifferente ai fini dell’IVA, dal momento che la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, conseguentemente, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre”, in quanto “la qualità del venditore”, nel caso oggetto di gravame non avrebbe potuto incidere sulla misura dell’aliquota e inoltre, il fatto che i vari consorzi avessero emesso fattura nei confronti di T. srl, non poteva esimere la società dal corrispondere a tali fornitori di servizi di facchinaggio anche l’Iva esposta in rivalsa.
2.5. – Con un quinto motivo di ricorso, la difesa censura l’avvenuta pronuncia dell’ordinanza di conferma del sequestro preventivo oltre i termini di legge, in violazione dell’art. 324 c.p.p., comma 7 e art. 309 c.p.p., comma 9, con conseguente perdita di efficacia della misura coercitiva. Secondo la difesa, non sarebbe stato rispettato il termine di dieci giorni dalla trasmissione degli atti su cui si fonda il provvedimento oggetto del riesame, con conseguente caducazione dell’efficacia della misura cautelare reale, in quanto gli atti in questione erano già stati tutti depositati dal pubblico ministero in data 19 ottobre 2018, mentre vi era stato un successivo deposito di altri atti in data 23 ottobre 2018, che aveva riguardato i soli verbali di esecuzione.
3. – Avverso l’ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, anche la T. s.r.l., in persona del legale rappresentante.
3.1. – Con un primo motivo di doglianza, si svolgono censure analoghe a quelle svolte nel secondo motivo di impugnazione – sub 2.2 – proposto nel ricorso nell’interesse di S. e T., relativamente alla violazione del D.Lgs. n. 124 del 2012, art. 12 e D.Lgs. n. 149 del 2015, art. 15 e art. 404 c.p.c., per avere il giudice del riesame esercitato dei poteri che la legge riservava all’Ispettorato nazionale del Lavoro.
3.2. – Con un secondo motivo, si svolgono censure analoghe a quelle svolte nel terzo motivo di impugnazione – sub 2.3. – proposto nel ricorso presentato nell’interesse degli indagati S. e T., relativamente all’inesistenza oggettiva delle fatture indicate nelle dichiarazioni dei redditi ed IVA da T. srl, sul rilievo che le spese del servizio e gli altri compensi pagati ai Consorzi di cooperative di facchinaggio sono stati effettivamente corrisposti alle società che hanno emesso le fatture, in forza di un contratto di appalto scritto avente ad oggetto tali prestazioni.
3.3. – In terzo luogo, si lamenta preliminarmente l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inammissibilità o di decadenza con riguardo al richiamo, per relationem, ad altro procedimento non riguardante la T. srl.
Secondo le prospettazioni difensive, il Tribunale avrebbe valutato la plausibilità dell’ipotesi accusatoria nei confronti di T. srl considerando un altro procedimento penale avente ad oggetto le indagini effettuate per i medesimi reati nei confronti dei legali rappresentanti del Consorzio Project Group (n. 6953 del 2018) e T. srl avrebbe avuto cognizione del procedimento de quo solo leggendo il decreto di sequestro, non essendo stati i documenti inerenti allo stesso procedimento messi a disposizione della difesa.
Si svolgono, inoltre, censure analoghe a quelle svolte nel motivo del ricorso sub 2.5., presentato nell’interesse di S. e T..
4. – In prossimità dell’udienza camerale davanti a questa Corte, i ricorrenti hanno depositato memoria, con la quale, richiamata la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Verona n. 248 del 2018, a loro favorevole, producono il provvedimento di sgravio relativo all’anno di imposta 2012 emesso dall’Agenzia delle entrate nonché i provvedimenti della stessa Commissione tributaria provinciale di sospensione degli avvisi di accertamento impugnati per gli anni dal 2013 a 2016 compresi; atti successivi alla presentazione del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. – I ricorsi sono infondati.
5.1. – Il primo motivo del primo atto di ricorso, proposto nell’interesse degli indagati S. e T. – con cui i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 111 Cost., comma 7, in quanto il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi sull’esorbitanza del sequestro, per Euro 2.000,01, nonché sulla necessaria proporzionalità tra il calcolo del beneficio fiscale e l’ammontare del sequestro stesso – è inammissibile.
La censura mossa in relazione al presunto errore di calcolo dell’ammontare del sequestro, basata su una lettura decontestualizzata della notizia di reato, comporta una contestazione dell’approdo valutativo cui sono pervenuti i giudici del riesame sulla base del complesso del compendio istruttorio, che non è riconducibile alla categoria della violazione di legge di cui all’art. 325 c.p.p., comma 1, risolvendosi in un “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito. Si tratta, in ogni caso, di un rilievo del tutto marginale sul piano quantitativo, vista l’elevatissima entità del disposto sequestro, che potrà essere oggetto di una compiuta disamina nel giudizio di merito. Più in generale, con riferimento alla pretesa mancanza di proporzionalità tra il calcolo del beneficio fiscale e l’ammontare del sequestro, deve comunque richiamarsi la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui, in tema di misure cautelari reali, il tribunale del riesame che proceda alla conferma del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, non deve accertare, ai fini del rispetto del principio di proporzionalità, l’esatta corrispondenza tra profitto del reato e quantum sottoposto a vincolo cautelare, essendo, invece, sufficiente che motivi sulla non esorbitanza del valore dei beni sequestrati rispetto al credito garantito“. (Sez. 3, n. 39091 del 23/04/2013, Rv. 257284).
5.2. – I motivi sub 2.2. e 3.1. – con cui le difese censurano l’esercizio da parte del Tribunale di una potestà riservata dalla legge a organi amministrativi con riferimento alla violazione del D.Lgs. n. 124 del 2012, art. 12, D.Lgs. n. 149 del 2015, art. 15 e art. 414 c.p.c. – sono manifestamente infondati. Nel caso di specie, il giudice penale ha incidentalmente esaminato la genuinità degli appalti posti in essere da T. srl al fine di verificare la sussistenza oggettiva del reato e, dunque, il presupposto per l’applicazione della misura cautelare reale. Né le norme citate dai ricorrenti, che hanno valenza puramente amministrativo-lavoristica, precludono al giudice penale un tale sindacato, che deve essere ritenuto sempre possibile, in forza del principio di autonomia del sistema sanzionatorio penale (su cui, ex plurimis, Sez. 3, n. 1628 del 28/10/2015, dep. 18/01/2016, Rv. 266328 – 01) e che non trova ostacolo nell’avvenuta depenalizzazione di alcune violazioni in materia di somministrazione del lavoro.
5.3. – I motivi sub 2.3. e 3.2. – riferiti all’erronea applicazione delle norme di attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30 (D.Lgs. n. 276 del 2003) e alla mancanza della motivazione in ordine all’inesistenza oggettiva delle fatture indicate nelle dichiarazioni dei redditi ed IVA da T. s.r.l. e in ordine all’asserito abbattimento dell’imponibile – sono inammissibili, perché sostanzialmente diretti ad ottenere da questa Corte una rivalutazione degli indizi di reato, preclusa in sede di legittimità, rappresentando la mera riproposizione di censure di merito già esaminate e motivatamente disattese in sede di riesame. Dalla stessa prospettazione difensiva emerge l’insussistenza di lacune motivazionali, che avrebbero potuto essere dedotte con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 325 c.p.p., comma 1, perché l’ordinanza impugnata ha preso posizione analiticamente sui profili oggetto di censura, rappresentati dalla mancanza di autonomia imprenditoriale e di rischio di impresa in capo alle cooperative.
Quanto alla mancanza di autonomia imprenditoriale, del resto, le difese si limitano a generiche contestazioni delle coerenti valutazioni poste in essere dal Gip e dal Tribunale (pagg. 9 e 10 dell’ordinanza impugnata), basate sull’assunto che una certa e-mail del 7 ottobre 2016, a firma G., non sarebbe utilizzabile nel procedimento cautelare, perché non inclusa negli atti processuali.
La stessa difesa, però, ammette che tale e-mail è stata richiamata in una comunicazione di notizia del reato di reato prodotta dal pubblico ministero, e addirittura la produce nel testo integrale, dimostrando così di averne avuto piena conoscenza. Né la valutazione della valenza indiziaria del testo del documento potrebbe essere oggetto di sindacato da parte di questa Corte, non essendo consentito il rilievo di eventuali vizi di illogicità o contraddittorietà, visto il limite cui al richiamato art. 325 c.p.p., comma 1. Quanto, poi, al rischio di impresa, lo stesso è stato correttamente escluso dal Tribunale in considerazione del fatto che la T. srl ha fornito la provvista per pagare i lavoratori impiegati nell’attività, rimanendo del tutto irrilevante la questione se la stessa abbia garantito minimi contrattuali o bonus, a fronte di una fornitura meramente apparente (pagg. 10-13 dell’ordinanza impugnata).
5.4. – Il quarto motivo del ricorso presentato nell’interesse degli indagati S. e T., con cui i ricorrenti lamentano l’erronea applicazione delle norme concernenti l’imposta sul valore aggiunto, è infondato. Quanto alla censura mossa dalla difesa secondo cui il Tribunale avrebbe errato nel non dare rilevanza alla sentenza n. 248 del 2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Verona, di accoglimento del ricorso tributario promosso da T. srl in relazione all’avviso di accertamento concernente l’annualità fiscale 2012, che avrebbe escluso l’esistenza di un beneficio economico e fiscale nella condotta della società, deve rilevarsi che il giudice del riesame non era vincolato a tale pronuncia, sia perché non irrevocabile, sia “perché gli indizi richiesti per l’integrazione del fumus delicti non sono sovrapponibili al valore assegnato alle presunzioni richieste per emettere una sentenza sfavorevole al contribuente in sede tributaria” (pag. 14 dell’ordinanza impugnata).
Quanto alle censure relative all’erronea applicazione delle norme concernenti l’imposta sul valore aggiunto, anch’esse sono da ritenere manifestamente infondate in quanto emerge con chiarezza dall’ordinanza impugnata l’integrazione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, dal momento che è stato appurato che le fatture, che seguono solo apparentemente la logica del capo movimentato, si fondano nella sostanza sul criterio del costo del personale, elemento che snatura il contratto d’appalto e conduce il rapporto sul territorio della somministrazione di manodopera; e il carattere fraudolento dell’operazione rende irrilevante ogni astratta considerazione circa la neutralità dell’Iva, trattandosi comunque di costi per i quali l’Iva non poteva essere portata in detrazione.
5.5. – Il quinto motivo del ricorso presentato nell’interesse degli indagati T. e S. e la parte del terzo motivo del gravame proposto da T. srl con cui le difese censurano la pronuncia dell’ordinanza di conferma del sequestro preventivo oltre i termini di legge, in violazione dell’art. 324 c.p.p., comma 7 e art. 309 c.p.p., comma 9, con conseguente perdita di efficacia della misura coercitiva, è manifestamente infondato. Preliminarmente è opportuno fare riferimento alla consolidata giurisprudenza di questa Corte che ammette la trasmissione frazionata degli atti e prevede l’inoperatività della sanzione dell’inefficacia della misura cautelare reale per la violazione del termine di cinque giorni, fissato per i provvedimenti cautelari personali dall’art. 309 c.p.p., comma 5″. (Sez. 3, n. 36531 del 12/05/2015), principio tratto dalla pronuncia delle Sezioni Unite Cavalli, secondo cui “Nel procedimento di riesame del provvedimento di sequestro non è applicabile il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale, previsto dall’art. 309 c.p.p., comma 5, con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare impugnata in caso di trasmissione tardiva, ma il diverso termine indicato dall’art. 324 c.p.p., comma 3, che ha natura meramente ordinatoria” (Sez. U. n. 26268 del 28/03/2013). Nel caso di specie, dunque, non hanno alcun fondamento le censure mosse dalle difese, tanto più che – come risulta dalla pagina 1 dell’ordinanza impugnata – il rinvio della trattazione del procedimento è stato sostanzialmente richiesto dalle difese.
5.6. – Quanto alla censura proposta nell’interesse di T. srl con il terzo motivo di doglianza, relativa all’inosservanza delle norme processuali al richiamo, per relationem, ad altro procedimento penale non riguardante T. srl, deve rilevarsi che la stessa è inammissibile per genericità. La difesa non prospetta, infatti, la decisività della prova che sarebbe stata illegittimamente acquisita, della quale non descrive il contenuto neanche per sommi capi, così da non mettere in grado questa Corte di valutare l’effettiva rilevanza della violazione processuale lamentata.
5.7. – Non può essere in questa sede esaminata la documentazione prodotta dai ricorrenti in prossimità dell’udienza camerale davanti a questa Corte, consistente nel provvedimento di sgravio relativo all’anno di imposta 2012 emesso dall’Agenzia delle entrate nonché nei provvedimenti della stessa Commissione tributaria provinciale di sospensione degli avvisi di accertamento impugnati per gli anni dal 2013 a 2016 compresi, cui si collega la richiesta di una rivalutazione della situazione di fatto. Si tratta, infatti, di atti successivi alla presentazione sia della richiesta di riesame, sia del ricorso per cassazione. Anche a prescindere dalla rilevata mancanza di specificità delle doglianze collegate a tale produzione, risulta in ogni caso assorbente il rilievo che le stesse si basano su elementi sopravvenuti; cosicché, sul punto, deve ribadirsi il principio secondo cui eventuali acquisizioni successive rispetto al momento della chiusura della discussione dinanzi al collegio non assumono alcun rilievo nell’ambito del successivo giudizio di legittimità, potendo essere fatte valere soltanto con la richiesta di revoca o modifica della misura al giudice competente (ex multis, Sez. 6, n. 39871 del 12/07/2013, Rv. 256445 – 01; Sez. 2, n. 8460 del 14/02/2013, Rv. 255308 – 01).
6. – I ricorsi devono essere, in definitiva, rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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