CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32241 depositata il 26 agosto 2021
Reati tributari – Omessa presentazione della dichiarazione – Superamento della soglia di punibilità – Configurazione del reato
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza 16.10.2020, depositata in data 27.10.2020, la Corte di appello di Firenze ha confermato integralmente la sentenza emessa dal Tribunale di Firenze in data 19.12.2017, che aveva condannato il ricorrente Z. alla pena di un anno e mesi sei di reclusione per il reato di cui al D.lgs. n. 74 del 2000, art. 5, confermando le pene accessorie per la durata di due anni e la sospensione condizionale della pena. Il ricorrente infatti, secondo la contestazione, in qualità di amministratore prima e liquidatore della società poi, della A. BTC s.r.I., al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, aveva omesso di presentare, pur essendovi obbligato, le dichiarazioni dei redditi e Iva con riferimento al periodo d’imposta 2012, per un importo di 159.320,00 Euro quanto all’imposta sul valore aggiunto, e di 65.611,00 Euro quanto all’Ires.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di motivazione della sentenza nel punto relativo alla sussistenza del dolo specifico.
In sintesi, deduce, in primo luogo, la mancanza della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del dolo specifico del reato, sul rilievo che la Corte d’appello si sarebbe limitata a valorizzare, a tal fine, l’obbligo di legge di presentazione della dichiarazione dei redditi senza alcuna indagine in ordine alla effettiva volontà del ricorrente di porre in essere la condotta evasiva; in secondo luogo, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto i giudici di appello non avrebbero considerato, ai fini della valutazione della condotta del ricorrente, da cui il vizio di carenza di motivazione, alcuni elementi fattuali tra cui la messa in liquidazione della società nell’anno di imposta 2012, il difficile computo del reddito di impresa, il calcolo effettivo del reddito societario secondo coefficienti di ricarico e non in base ad un mero accertamento induttivo.
3. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta del 15.06.2021, ha chiesto a questa Corte di dichiarare inammissibile il ricorso.
In particolare, il PG ha osservato che in tema di reati tributari, la prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione (art. 5, D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta.
Il rilevante superamento della soglia di punibilità e l’assenza di elementi specifici da cui desumere la non consapevolezza del ricorrente circa l’ammontare della somma dovuta, escluderebbero per il PG ogni ragionevole dubbio sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso, trattato ex art 23, comma 8, del D.L. n. 137/2020, è inammissibile.
2. Premesso che non è in discussione la materialità del fatto non essendo in contestazione l’omessa presentazione della dichiarazione Iva e Ires per l’anno 2012, la censura svolta sull’elemento soggettivo del reato è manifestamente infondata.
La sentenza impugnata è sorretta da congrua e adeguata motivazione risultando così del tutto destituita di fondamento la doglianza sollevata di carenza di motivazione. Il provvedimento impugnato, infatti, ferma la condotta omissiva e il superamento della soglia di punibilità, ha argomentato la prova del dolo del reato, ovvero il fine di evasione dell’imposta, sul corretto rilievo che l’imputato non era stato in grado di fornire la prova che le omissioni fiscali potessero essere attribuite a terzi (collaboratore) e non aveva addotto alcun motivo diverso da quello dell’evasione ma anzi, lo stesso risultava essere la persona demandata alla presentazione della dichiarazione dei redditi e all’espletamento dei conseguenti adempimenti fiscali (cfr. pag. 4 sentenza di primo grado). Questo consentiva di ritenere che l’omissione della presentazione delle dichiarazioni, in un contesto nel quale l’imputato era ben consapevole del debito fiscale, era voluta al fine di evadere l’obbligazione tributaria.
3. Va al riguardo ricordato che il D.lgs. n. 74 del 2000, art. 5, sanziona la condotta di colui che, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, pur essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte; si tratta di condotte distinte, descritte con riferimento a ciascuna delle imposte cui le dichiarazioni si riferiscono, autonome e potenzialmente concorrenti, riferite ad obblighi diversi e ad imposte diverse, con la conseguenza che nella indicazione di una non può ritenersi compresa anche l’altra. Il reato previsto dall’art. 5 del D. Lgs 74/2000 è omissivo proprio: posto in essere da colui che, in base alla normativa fiscale di riferimento, sia in concreto tenuto alla presentazione della dichiarazione annuale obbligatoria.
Sul punto si osserva che la giurisprudenza di questa Corte ammette pacificamente la responsabilità per il delitto di cui al D.lgs. n. 74 del 2000, art. 5, anche nei confronti dell’amministratore di fatto (Sez. III, n. 3780 del 14/05/2015). Si è, infatti, affermato che il reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA (D.lgs. n. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5) è configurabile nei confronti dell’amministratore di fatto, e l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento (art. 40 c.p., comma 2, e art. 2932 c.c.). Infatti, in tema di reati tributari, il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione previsti dal D.lgs. n. 74 del 2000 solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione de era società. (Sez. III n. 47110 del 19/11/2013).
Quanto all’elemento soggettivo del reato, è richiesto il dolo specifico, ovvero la prova della sussistenza, in capo all’autore, del dolo specifico di evasione: la deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte. Ebbene, è noto che i reati tributari, di cui alla D.lgs. 74/2000, sono in buona parte dei c.d. reati “propri” o a soggettività ristretta, ossia il cui autore ricopre una qualifica o un ruolo precisamente individuato dal legislatore (rappresentante legale, amministratore unico, amministratore delegato, sindaco, liquidatore ecc.). Ed invero, per constante giurisprudenza di questa Corte la prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione, può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta e detto superamento deve formare oggetto di rappresentazione e volizione da parte dell’agente, avendo la soglia natura di elemento costitutivo del reato (Sez. III, n. 7000 del 23/11/2017). E’ necessaria quindi la rappresentazione e volizione della omessa dichiarazione e del superamento della soglia di punibilità (dolo generico) e il dolo specifico di evasione in quanto il contribuente deve perseguire il “fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto (da ultimo Sez. III, n.9348 del 02/02/2021). Ancora in tempi più recenti si è ribadito che, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere ed ha chiarito che la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo né da una culpa in vigilando sull’operato del professionista che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento anti-doveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale (Sez. III, n. 37856 del 18/06/2015; Id. n. 18936 del 19/01/2016) e può costituire oggetto di rappresentazione e volizione anche soltanto nella forma del c.d. dolo eventuale (cfr. Sez. III, n. 7000 del 23/11/2017; Id. n.39960 del 12/06/2019). Laddove il dolo specifico di evasione è integrato dalla deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte nella piena consapevolezza della illiceità del fine e del mezzo (ex plurimis, Sez. III, n. 43809 del 24/10/2014; Id. n. 37856 del 18/06/2015; Id. n.18936 del 19/01/2016; Id. n.37532 del 11/06/2019; Id. n.31343 del 27/06/2019; Id. n.21065 del 06/05/2021).
4. Nel caso in esame, a tali principi si sono correttamente conformati i Giudici di merito (integrandosi reciprocamente le motivazioni della sentenza di primo e secondo grado, attesa la natura di doppia conforme sul punto: Sez. III, n. 44418 del 16/07/2013) i quali, con congrue e logiche argomentazioni hanno ritenuto provato l’elemento psicologico del reato contestato sulla scorta del compendio probatorio, costituito: 1) dall’entità del superamento della soglia di punibilità; 2) dall’analisi delle risultanze fiscali; 3) dalla circostanza che l’imputato, quale liquidatore della società, ricoprisse la funzione di professionista consulente e depositario delle scritture contabili, della compilazione e presentazione della dichiarazione dei redditi.
In particolare, nella sentenza viene valorizzato dai giudici quanto riferito dal coimputato circa il ruolo effettivo assunto nell’ambito della società dal ricorrente, quale liquidatore della società, il quale ricopriva anche la funzione di professionista consulente e depositario delle scritture contabili della società “essendo il solo demandato alla compilazione e presentazione della dichiarazione dei redditi e al compimento dei conseguenti adempimenti fiscali, questo fino al periodo oggetto di contestazione. Inoltre, vengono valorizzati ulteriori elementi fattuali: le missive inviate dal coimputato al ricorrente con le quali si sollecita quest’ultimo ad aggiornare e consegnare le scritture contabili, costi, ricavi e situazione patrimoniale della società; a depositare libri sociali nel consiglio di amministrazione; a produrre dati definitivi ed esatti; a verificare la situazione di fornitori e creditori, la situazione contabile e l’estratto con Equitalia; a verificare la pagine mancanti del verbale a seguito dell’avviso di accertamento da parte della G.d.F. Infine, si valorizza l’ulteriore circostanza dell’intimazione da parte del coimputato all’attuale ricorrente al fine di pagare la n. 17T3 a seguito della notifica di avviso di accertamento poi impugnato in sede tributaria e la contestazione fatta al ricorrente medesimo per il mancato ritiro della raccomandata dell’unico creditore con credito superiore ad euro 30.000 che aveva determinato il fallimento della società.
La Corte d’appello, infine, ha precisato che l’unica finalità emersa in relazione alle condotte poste in essere dal ricorrente è quella di evadere le imposte.
Del resto, risulta dall’imputazione che l’imposta evasa è pari ad euro 159.320,00 quanto all’imposta sul valore aggiunto, e ad euro 65.611,00 quanto all’Ires. L’entità di tale superamento è infatti stata correttamente posta dai giudici di merito a fondamento della ritenuta sussistenza del dolo specifico di evasione in capo all’imputato, unitamente alla piena consapevolezza da parte dello stesso dell’esatto ammontare dell’imposta che sarebbe stata dovuta in quanto gravava sul ricorrente l’obbligo giuridico di compilazione, presentazione e della dichiarazione Ires ed Iva. La decisione è quindi immune da rilievi di illogicità ed è corretta in diritto perché sono stati indicati gli elementi di prova che dimostrano la sussistenza del dolo specifico.
5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
6. In applicazione del decreto del Primo Presidente della S.C. di Cassazione n. 84 del 2016, la presente motivazione è redatta in forma semplificata, trattandosi di ricorso che riveste le caratteristiche indicate nel predetto provvedimento Presidenziale, ossia ricorso che, ad avviso del Collegio, non richiede l’esercizio della funzione di nomofilachia o che solleva questioni giuridiche la cui soluzione comporta l’applicazione di principi giuridici già affermati dalla Corte e condivisi da questo Collegio, o attiene alla soluzione di questioni semplici o prospetta motivi manifestamente fondati, infondati o non consentiti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Motivazione semplificata.
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