CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32242 depositata il 26 agosto 2021
Reati fiscali – Occultamento di scritture contabili – Elemento soggettivo di evasione delle imposte – Società cartiera – Condanna del legale rappresentante
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza 8.10.2020, la Corte d’appello di Venezia confermava la sentenza di condanna del 23/1/2018 emessa dal Tribunale di Padova per il reato di occultamento di scritture contabili ex art. 10 D.lgs. 74/2000, contestato al F. come commesso secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nel capo di imputazione, in relazione a fatti del 24.09.2015, ed in relazione ai quali è stata inflitta la pena di 6 mesi di reclusione, con il concorso di attenuanti generiche e con condanna alle pene accessorie di legge.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 10, D.lgs. n. 74 del 2000.
In sintesi, la difesa si duole perché la Corte di Appello avrebbe confermato la sentenza di condanna a carico del proprio assistito per il reato contestato pur in assenza di un’istruttoria documentale o testimoniale idonea a dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio che le scritture contabili fossero state effettivamente tenute dall’imputato e che egli avesse effettivamente commesso atti idonei ad occultarle o distruggerle. I giudici del merito dunque, nell’addivenire alla pronuncia di condanna, avrebbero veicolato un’interpretazione dell’art. 10 D.lgs. 74/2000 contraria al principio di tassatività e al divieto di analogia in malam partem la difesa infatti sottolinea che tale norma punisce le condotte attive di occultamento e distruzione delle scritture contabili, presupponendo l’istituzione delle stesse; l’omessa tenuta di documentazione contabile, invece, è sanzionata amministrativamente dall’art. 9, comma 1, D.lgs. 471/1997.
In forza di tali considerazioni la difesa chiede l’assoluzione del proprio assistito. La difesa, inoltre, si duole perché la Corte di Appello avrebbe errato nel calcolare in 10 anni il termine di prescrizione del reato ascritto al proprio assistito, accertato in data 24/9/2015. Per l’istante, infatti, dovrebbe applicarsi la disciplina più favorevole anteriore alla normativa introdotta dal D.lgs. 158/2015, entrata in vigore il 22/10/15, e dunque dal combinato disposto degli artt. 157 c.p. e 17, comma 1 bis, D.lgs.74/2000 il termine di prescrizione dovrebbe individuarsi in 7 anni e 6 mesi. In forza di tali considerazioni la difesa chiede, in via subordinata, il proscioglimento del proprio assistito per intervenuta prescrizione del reato.
3. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta datata 15/06/2021, ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso, trattato ex art 23, comma 8, del D.L. n. 137/2020, è inammissibile.
2. Risulta, anzitutto, manifestamente infondata la doglianza difensiva concernente l’erronea applicazione dell’art. 10 D.lgs. 74/2000 da parte dei giudici del merito.
Ed infatti, pur essendo ormai pacifico che il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili presuppone l’istituzione della documentazione contabile e la produzione di un reddito e, pertanto, non contempla anche la condotta di semplice omessa tenuta delle scritture contabili, che è, invece, sanzionata amministrativamente dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 (Sez. 3, n. 1441 del 12/07/2017, dep. 15/01/2018, Andriola, Rv. 272034 – 01; conforme Sez. 3, n. 19106 del 02/03/2016, dep. 09/05/2016, Chianese, Rv. 267102 – 01), occorre tuttavia, rilevare che questa Corte, con un recente arresto, ha ribadito che, a prescindere dall’istituzione delle scritture contabili obbligatorie da parte del prevenuto, il reato ex art. 10 D.lgs. 74/2000 è da ritenersi integrato anche in caso di omessa conservazione in copia delle fatture emesse dal soggetto agente e successivamente inviate, a documentazione della prestazione effettuate, al beneficiario della prestazione stessa, ovvero delle fatture ricevute in relazione ad una prestazione erogata dall’emittente nei confronti del ricevente o comunque di tutta la restante documentazione, di cui si debba ritenere l’avvenuta emissione o l’acquisita disponibilità da parte dell’agente, che sia comunque idonea a permettere la ricostruzione della sua situazione reddituale e della quale egli abbia l’obbligo di conservazione (Così, Sez.3, n.12858 del 28/02/2020, dep. 24/04/2020, Ruta, con cui vengono richiamate le precedenti pronunce Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, dep. 26/09/2018, Vitali, Rv. 274862 – 01; Sez. 3, n. 15236 del 16/01/2015 dep. 14/04/2015, Chiarella, Rv. 263050 – 01; Sez. 3, n. 45950 del 20/06/2017, dep. 06/10/2017, Gianfurcaro, Rv. 271794 – 01).
La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha specificato che l’evento previsto dalla fattispecie incriminatrice oggetto di contestazione nel caso di specie, cioè; l’impossibilità di ricostruire il reddito od il volume d’affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili, non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizione della documentazione mancante presso terzi o aliunde. (Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018 (dep. 26/09/2018), Vitali, Rv. 274862 – 02).
3. Nel caso di specie i giudici del merito hanno fatto buon governo dei sopra richiamati principi ritenendo sussistente il reato ascritto al prevenuto in ragione di quanto è emerso dal processo verbale di constatazione redatto dall’ente verificatore.
L’Agenzia delle entrate, infatti, nel corso di una verifica fiscale nei confronti della società Q. s.r.l. ha richiesto al F., rappresentante legale nonché socio unico della società stessa, l’esibizione delle scritture contabili relative all’anno di imposta 2012. Come sottolineato anche da entrambi i giudici del merito, dal p.v.c. si ricava che a fronte di tale richiesta il prevenuto ha riferito che le scritture contabili si trovavano presso un amico e si è riservato di consegnarle entro un determinato termine salvo poi comunicare a mezzo fax l’impossibilità di fornire la documentazione richiesta, senza tuttavia addurre ulteriori specificazioni. Stante la mancanza delle scritture contabili, i verificatori, al fine di ricostruire il reddito del contribuente, hanno ricercato documentazione aliunde; attraverso le interrogazioni all’Anagrafe Tributaria, la documentazione contenuta nei fascicoli del PRA- Ufficio Provinciale di Padova e quella acquisita presso la Motorizzazione civile- Ufficio Provinciale di Padova e Treviso, è stato accertato che la società Q. s.r.l. unipersonale ha acquistato prevalentemente da E. s.r.l. e rivenduto a privati un numero rilevante di autovetture di provenienza comunitaria; iniziata così una verifica nei confronti di E. s.r.l. è stato constatato che tale società è una cartiera costituita al fine di frodare il fisco in materia di IVA. Come correttamente ha rilevato il giudice di seconde cure tali risultanze probatorie consentono di ritenere integrato il reato contestato, in quanto, al di là dell’istituzione o meno delle scritture contabili da parte del prevenuto, risulta provato sia l’elemento oggettivo, consistente nell’occultamento di documenti contabili (nella specie fatture) idonei a ricostruire la situazione reddituale e di cui è obbligatoria la conservazione, sia l’elemento soggettivo, consistente nella finalità specifica di evadere le imposte sul reddito e sul valore aggiunto.
4. Altrettanto priva di fondamento risulta l’asserzione difensiva concernente l’intervenuta prescrizione del reato contestato.
Pur muovendo dalla corretta premessa per cui, in ossequio al principio di irretroattività della norma penale più sfavorevole, il fatto oggetto di contestazione è soggetto alla disciplina prescrizionale anteriore all’entrata in vigore del D.lgs. 158/2015, la difesa erra nel calcolo del termine di prescrizione.
Ed infatti, prima dell’entrata in vigore del più severo trattamento sanziona- torio introdotto dal D.lgs. 158/2015, il reato di cui all’art.10 Dlgs.74/2000 era punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Occorre inoltre rilevare che i delitti tributari previsti dagli artt. da 2 a 10 del D.lgs. 74/2000, commessi in seguito all’entrata in vigore della L. 148/2011, sono soggetti ad un termine prescrizionale ordinario elevato di un terzo ai sensi dell’art. 17, comma 1 bis, D.lgs. 74/2000.
Per quanto appena esplicitato, il termine prescrizionale del reato contestato al F., accertato in data 24/9/2015, è da individuarsi in sei anni ex art. 157, comma 1, c.p., con l’aumento di un terzo ex art. 17, comma 1 bis, D.lgs. 74/2000. Al termine prescrizionale ordinario così individuato in otto anni, si aggiunge l’ulteriore aumento di un quarto ex art.161, comma 2, c.p. per effetto delle cause interruttive verificatesi nel corso del giudizio. Il giudice di seconde cure, dunque, ha correttamente individuato in dieci anni, decorrenti dal tempus commissi delicti, il termine prescrizionale complessivo del reato contestato al prevenuto.
5. Per le ragioni di cui sopra l’odierno ricorso si presenta connotato da evidenti errori di diritto nell’interpretazione delle norme poste a suo fondamento e dunque inammissibile per manifesta infondatezza ex art. 606, comma 3, c.p.p.
6. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
7. In applicazione del decreto del Primo Presidente della S.C. di Cassazione n. 84 del 2016, la presente motivazione è redatta in forma semplificata, trattandosi di ricorso che riveste le caratteristiche indicate nel predetto provvedimento Presidenziale, ossia ricorso che, ad avviso del Collegio, non richiede l’esercizio della funzione di nomofilachia o che solleva questioni giuridiche la cui soluzione comporta l’applicazione di principi giuridici già affermati dalla Corte e condivisi da questo Collegio, o attiene alla soluzione di questioni semplici o prospetta motivi manifestamente fondati, infondati o non consentiti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Motivazione semplificata.
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