CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32244 depositata il 2 settembre 2022
Incidente occorso ad ospite di RSA – Reato di omicidio colposo – Responsabilità di amministratore e preposto – Posizione di garanzia – Poteri impeditivi – Accertamento
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Milano ha parzialmente riformato la sentenza del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Como con cui G.M. e E.Z. erano stati condannati, nelle rispettive qualità di procuratore e delegato in materia antinfortunistica il primo e di preposto dei reparti “A” e “B” del secondo piano della RSA V. S. F. la seconda, per il reato di cui all’art. 589 cod. pen avvenuto il 17 aprile 2016 in San Fermo di Battaglia in danno di C.O., ricoverato presso detta struttura, riconoscendo le circostanze attenuanti generiche e rideterminando la pena in mesi 8 di reclusione con il beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale (assolvendo invece S. M., direttore operativo, e L.S., vice direttore gestionale).
1.1. I fatti nelle sentenze di merito, conformi, sono stati così ricostruiti.
O., paziente di 96 anni affetto da grave demenza senile, subito dopo il pranzo, mentre gli operatori della R.S.A. stavano trasferendo gli ospiti della struttura nelle loro camere, dalla sala da pranzo posta al secondo piano spostandosi con la carrozzina- bascula (seggiolone polifunzionale) aveva raggiunto il cancelletto in ferro di accesso alla scala che conduce al primo piano e lo aveva aperto, cadendo così per le scale e rovinando fino al pianerottolo intermedio, procurandosi lesioni gravissime in conseguenza delle quali era deceduto.
1.2.M. e Z. sono stati ritenuti responsabili dell’evento per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia ed in particolare per non aver adottato le misure necessarie ad impedire che gli ospiti potessero aprire il cancelletto: in particolare per avere adottato un cancelletto munito di dispositivo di chiusura non idoneo, in quanto facilmente eludibile da parte degli ospiti, che si apriva verso la scala, con altezza inferiore al metro e che era privo di dispositivo di richiamo nella posizione di chiusura.
1.3. In ordine agli stessi fatti, l’amministratore della RSA, G.B.M., era stato condannato con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen.
2. Avverso la sentenza d’appello il difensore degli imputati ha proposto ricorso congiunto, formulando due motivi.
2.1 Con il primo motivo ha dedotto la violazione della legge penale e vizio di motivazione, anche sotto la forma del travisamento della prova, in relazione alla ritenuta posizione di garanzia ed alla ritenuta non conformità del cancelletto alla normativa sulla sicurezza.
Con riferimento alla posizione di M., la difesa sottolinea che:
– dalla procura notarile a lui rilasciata in data 29 ottobre 2014 emergeva che egli non era procuratore generale e tantomeno meno amministratore di fatto della RSA, in quanto non gli era stato conferito alcun illimitato e generale potere di spesa ed era privo di potere decisionale nella materia relativa alla sicurezza degli ospiti della struttura e/o della prevenzione di eventuali infortuni degli ospiti;
– la normativa d.lgs 9 aprile 2008 n. 81 non prevede obbligo di installare “barriere di protezione o cancelletti di chiusura” per l’accesso alla rampa di scala, tanto che nei verbali annuali delle periodiche ispezioni effettuate dalla ASL nessun rilievo era mai stato mosso ed anzi era sempre stato riconosciuto il possesso da parte della struttura dei requisiti oggetto di verifica; inoltre mai era stato segnalato, anche solo dai parenti, alcun problema in ordine al cancelletto in questione;
– gli obblighi di garanzia relativi alla sicurezza dei luoghi di lavori, a presidio della sicurezza dei soli dipendenti, dovevano essere tenuti distinti da quelli diversi e di competenza esclusiva dell’amministratore unico della struttura G.B.M., già condannato con sentenza di applicazione pena in ordine allo stesso evento.
Con riferimento alla posizione di Z. il ricorrente sottolinea che:
– dalla lettera di incarico quale “preposto secondo piano”, emergeva che tale qualifica era di mera attribuzione, senza alcun potere/delega di spesa, di funzioni esclusivamente in relazione al personale dipendente con incarichi specifici e circoscritti a rapporti, vigilanza e addestramento e sovraintendenza di questi, ed alle relative attrezzature e dispositivi di sicurezza; era estraneo dunque, alla sfera di attribuzione di Z. l’incarico di gestione e vigilanza degli ospiti;
– dalla documentazione acquisita dai funzionari Asl nel corso dell’inchiesta infortunio emergeva che ogni questione attinente agli ospiti fosse di esclusiva competenza degli operatori ASA/OSS (“operatori ASA/OSS hanno il compito dovere di: sorveglianza degli ospiti.. segnalare prontamente eventuali situazioni di rischio o problematiche relative a ciascun ospite .. segnalare prontamente mancanze, rotture, e quant’altro sia di materiali, presidi ecc);
– il cancelletto, come già evidenziato con riferimento alla posizione di M., era conforme alla disciplina in materia di sicurezza sul lavoro.
2.2. Con il secondo motivo ha dedotto vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena ed in particolare l’assenza di motivazione in merito alla individuazione della pena base ed al mancato riconoscimento della circostanza di cui all’art. 62 n. 6. Sotto il primo profilo la Corte avrebbe inflitto una pena superiore al minimo edittale senza dare indicazione di quali, fra i criteri oggettivi o soggettivi enunciati nell’art. 133 cod. pen, fossero stati presi i considerazione:
al contrario il ruolo ricoperto dagli imputati, il comportamento processuale, ed in specie la scelta del rito deflattivo, e la circostanza per cui nel corso di plurimi sopralluoghi la ASL non aveva mai rilevato nulla in ordine al cancelletto in questione, sono tutti elementi che avrebbero dovuto essere valorizzati dai giudici al fine della individuazione di una pena più bassa. Sotto il secondo profilo, la motivazione dei giudici in merito al mancato riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento del danno, giustificato nell’essere il risarcimento avvenuto ad opera della RSA, sarebbe contraddittoria ed illogica, in quanto la sentenza di applicazione pena pronunciata dal Gup nei confronti dell’amministratore unico della RSA l’aveva invece riconosciuta, ed altresì in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato quanto al primo assorbente motivo relativo alla affermazione della responsabilità degli imputati in ragione della posizione rivestita.
2. La dinamica dell’infortunio non è in discussione e non è stata contestata neppure dai ricorrenti. La difesa, sotto il profilo della ricostruzione dell’accaduto, ha censurato solo il rilievo dei giudici di primo e di secondo grado in merito alla inadeguatezza del cancelletto di accesso della rampa di scale nel secondo piano.
Nelle sentenze, conformi, si dà atto che:
– i cancelletti installati ai vari piani dovevano assolvere alla funzione di protezione contro la caduta dalle scale per gli ospiti che, con capacità motorie insufficienti, potevano decidere di scendere senza aiuto. Il cancelletto installato al secondo piano non garantiva la sicurezza, in quanto l’apertura era verso il basso e non era presente un sistema di richiamo a molla in posizione di chiusura collegato ad un meccanismo automatico di bloccaggio;
– un cancelletto con apertura verso l’alto collegato ad un sistema di richiamo a molla in posizione di chiusura sarebbe stato sufficiente ad evitare l’incidente.
Dopo l’infortunio occorso a O. il cancelletto era stato, infatti, modificato ovvero alzato di 50 cm, e collegato ad un sistema elettronico di apertura.
L’incidente si era verificato in quanto: a) il cancello era stato lasciato aperto o semi aperto e non aveva i requisiti di sicurezza per assicurare un ritorno e un blocco nella posizione di chiusura e b) si era verificata una temporanea mancata sorveglianza da parte del personale RSA dei movimenti di O. che autonomamente, spostandosi con la sua carrozzina, si era avvicinato alla rampa della scala ed era caduto. O., fra l’altro, era un paziente particolare che necessitava di sorveglianza continua, particolarmente esposto al rischio caduta, in ragione delle sue condizioni e della sua patologia, come dimostrato dai numerosi incidenti a lui occorsi successivamente al suo ingresso nella struttura.
Sotto il profilo della ricostruzione dell’infortunio mortale, occorso al paziente O. e della individuazione della serie causale che lo aveva determinato il percorso argomentativo adottato dai giudici di merito, dunque, è coerente con i dati di fatto richiamati e corretto sul piano giuridico. La valutazione della adeguatezza del cancello doveva essere effettuata, infatti, con riferimento specifico alla sua funzione, che era quella di proteggere i degenti della struttura rispetto al rischio caduta: con riferimento a tale specifica funzione la mancanza della chiusura automatica rendeva la barriera apposta non idonea alla salvaguardia degli ospiti.
3. Ciò premesso, occorre, dunque, valutare se gli imputati avessero effettivamente un dovere protezione degli ospiti della struttura e poteri impeditivi dell’evento quale quello verificatosi.
4.Sotto tale profilo la sentenza della Corte di Appello ha sinteticamente riportato le fonti da cui discendevano gli obblighi di protezione e i poteri impeditivi in capo ai ricorrenti.
Il giudice di primo grado ha, invece, sviluppato un ragionamento più articolato con cui ci si deve confrontare, stante il principio per cui nel caso in cui il giudice di appello confermi la sentenza di primo grado, le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, purché la sentenza di appello si richiami alla sentenza di primo grado e adotti gli stessi criteri di valutazione della prova (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019 E. Rv. 277218).
Ebbene il Giudice dell’udienza preliminare aveva ritenuto che responsabili della incolumità fisica degli anziani all’interno della struttura dovevano considerarsi, non solo l’amministratore, ovvero il soggetto posto al vertice, ma anche gli odierni imputati, applicando al caso in esame i principi dettati per la individuazione dei soggetti responsabili della prevenzione infortuni sul lavoro in strutture complesse e in particolare all’interno di imprese.
Il Giudice di primo grado ha richiamato alcuni passaggi contenuti in una sentenza della Corte di Cassazione (Sez. 4, n. 11136 del 04/02/2015, Conti, Rv. 262869) nella quale, ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’amministratore unico di una casa di riposo per la morte di un ospite caduto dalla scala, si era sostenuto che:
– all’interno di una struttura assistenziale si instaura una “specifica relazione protettiva” che comporta una gestione dei degenti “rispetto alle ordinarie esigenze di vita” ed un doveroso “controllo delle fonti di pericolo per l’incolumità fisica degli anziani”;
-gli operatori di una struttura sanitaria, medici e paramedici sono tutti ex lege portatori di una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex artt. 2 e 32 Cost nei confronti dei pazienti, la cui salute devono tutelare contro qualsivoglia pericolo che minacci l’integrità;
-le posizioni di garanzia possono essere plurime e devono essere attribuite, ex art. 2 Cost., a tutti quei soggetti che, all’interno della struttura, in base ad una fonte negoziale, erano deputati alla gestione degli ospiti e conseguentemente ad effettuare un controllo sulle fonti di pericolo che potevano minacciarne l’incolumità fisica. Nel caso in cui più siano i titolari della posizione di garanzia od obbligo di impedire l’evento ciascuno è, per intero, destinatario di quell’obbligo con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è però doveroso par l’altro o gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente e adeguatamente intervenuto.
5. Già definita, sulla base di sentenza ex art. 444 cod. proc. pen, la pozione dell’amministratore della RSA, si tratta, dunque, di verificare se M. e Z. fossero anch’essi gravati da obblighi di protezione e da poteri impeditivi rispetto all’evento in concreto verificatosi. Vale la pena ricordare che, come chiarito dalla Corte di legittimità anche nella sentenza sopra richiamata (Sez. 4, n. 11136 del 04/02/2015, Conti, Rv. 262869), “il paradigma sostanziale che giustifica la stessa esistenza delle posizioni di garanzia è dato dalla sussistenza di una relazione di dipendenza a contenuto protettivo” e che “il fondamento degli obblighi impeditivi si coglie nella necessità, riconosciuta dall’ordinamento, di assicurare a determinati beni una tutela rafforzata, stante l’incapacità – totale o parziale – dei loro rispettivi titolari a proteggerli adeguatamente, donde l’attribuzione a taluni soggetti, diversi dai rispettivi titolari, della speciale posizione di garanti dell’integrità dei beni che si ha interesse a salvaguardare”.
A tali principi occorre, dunque, richiamarsi, per tutti i casi non tipizzati dal legislatore, in cui sussiste una situazione di passività in cui versa il titolare del bene protetto, ai fini della individuazione della figura del garante e ai fini della individuazione del contenuto degli obblighi impeditivi. Occorre, dunque, di stabilire se, nel caso in esame, i giudici di merito abbiano fatto buon governo di tali principi, con riferimento all’evento occorso al paziente non autosufficiente all’interno della struttura assistenziale.
6. Con riferimento alla posizione di M. i giudici hanno menzionato, quale unica fonte dei suddetti obblighi e poteri la procura allo stesso rilasciata dal padre amministratore unico G.B.M. in data 29 ottobre 2014 ed hanno ritenuto che da tale atto discendesse la sua qualifica di amministratore di fatto della società. Per quanto di interesse in relazione al thema decidendum, la procura conferiva poteri di assunzione, licenziamento determinazione di mansioni e compensi del personale dipendente; di sottoscrizione dei contratti con i fornitori; di compiere tutti gli atti necessari e/o opportuni per il conseguimento dei fini di cui alle norme di prevenzione degli infortuni, incendi ed igiene del lavoro fissati dalle vigenti leggi in materia; di rappresentare la società presso uffici, enti ed autorità.
Invero ritiene il collegio che l’investitura collegata a tale atto non valeva ancora a configurare in capo al procuratore la qualifica di vero e proprio amministratore, dovendosi verificare in concreto prove significative e concludenti dello svolgimento di funzioni direttive nella struttura, in relazione al suo specifico ambito di operatività, anche a mezzo dell’attivazione dei poteri conferiti con la procura stessa (il principio per cui la procuratore, per quanto generale, non è automaticamente amministratore di fatto, è stato affermato, in relazione al diverso ambito del reato di bancarotta fraudolenta, dalla sentenza Sez. 5 n. 4865 del 25/11/2021, dep. 2022, Senatore, Rv. 282775).
In particolare doveva essere indagato l’esercizio in concreto, da parte di G. M., di funzioni e poteri impeditivi in relazione alla area di rischio rappresentata dalla gestione dei pazienti, ovvero all’area della protezione dei pazienti rispetto ai rischi cui i pazienti stessi erano esposti. Sotto tale profilo si osserva che il profilo di inadeguatezza del cancello posto a sbarramento della rampa di scale nella quale è caduto O., ovvero la mancata chiusura a molla della serratura, era volto a prevenire il rischio che il cancello potesse essere aperto proprio dagli ospiti della struttura, e non già del personale ivi occupato.
7. Con riferimento alla posizione di Z., i giudici hanno menzionato la lettera di incarico con cui la stessa era stata nominata “preposto secondo piano”.
Con tale lettera, in virtù di tale incarico, si dava atto che ella aveva il dovere di sovraintendere e vigilare sull’osservanza, da parte dei singoli lavoratori della sua area di competenza, degli obblighi di legge e delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione; di “segnalare tempestivamente alla direzione, RSPP ed RLS sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale”; “di segnalare alla direzione, RSPP, RLS le situazioni (strutturali, organizzative ecc.) che richiedono un tempestivo intervento e adeguamento”.
Le considerazioni già formulate in merito alla posizione del coimputato devono essere ribadite anche in ordine alla posizione di Z.. L’incarico conferito alla imputata aveva il tipico contenuto che la stessa normativa prevenzione infortuni sul lavoro, ovvero l’art. 19 del D.Igs 9 aprile 2008 n. 81, ricollega alla figura del preposto, ovvero quello di vigilare sul rispetto da parte dei lavoratori impiegati nella struttura delle disposizioni in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, di verificare la costante dotazione dei dispositivi di protezione e di segnalare le situazioni che richiedono adeguamento. L’ area di rischio affidata a Z., dunque, sulla base del documento in atti, era quella della vigilanza del rispetto da parte dei lavoratori occupati nel suo piano delle norme volte alla salvaguardia della normativa sulla sicurezza e non già quella del controllo sulle fonti di pericolo per l’incolumità fisica degli anziani ricoverati.
8. La sentenza deve, pertanto, essere annullata con rinvio alla Corte di Appello di Milano che dovrà verificare se gli imputati G.M. e E.Z. all’interno della RSA fossero investiti di una posizione di garanzia in relazione alla protezione degli ospiti rispetto ai rischi cui erano esposti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano