CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32350 depositata il 13 luglio 2018

Imposte indirette – IVA – Omesso versamento – Fallimento – Bancarotta impropria – Violazioni – Evasione del debito d’imposta

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Milano ha parzialmente riformato la decisione del Tribunale in sede, con la quale A.G. e A.B. sono state condannate alla pena di giustizia per i reati di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto e bancarotta impropria in relazione al fallimento de “L.S. s.r.l.”.

La corte territoriale – previa declaratoria di estinzione per prescrizione del reato sub b) in relazione all’anno d’imposta 2008 – ha ritenuto, pur all’esito delle deduzioni defensionali, che le imputate avessero determinato il fallimento della società in conseguenza della sistematica evasione del debito d’imposta.

2. Avverso la sentenza, hanno proposto unico ricorso entrambe le imputate, per mezzo del difensore, articolando diversi ordini di censure.

2.1 Deducono, con il primo motivo, inosservanza e falsa applicazione della legge penale e correlati vizi della motivazione in riferimento alla sussistenza del rapporto di derivazione causale tra l’omesso adempimento dell’obbligo tributario ed il dissesto della società. La corte avrebbe apoditticamente ricondotto il fallimento all’evasione, a fronte della documentata riferibilità del dissesto a mancanza di liquidità derivante dal mancato pagamento di fatture da parte della Regione Campania ed alla successiva emissione, a carico della società, dell’interdittiva antimafia, ricostruendo il reato come fattispecie di mera condotta e sovrapponendo i piani, oggettivo e soggettivo, dell’imputazione. Il curatore fallimentare aveva, invece, chiaramente riferito le cause del dissesto alla segnalazione interdittiva antimafia, con conseguente drastica riduzione dell’attività e dei ricavi, mentre l’inadempimento fiscale – contestato sino all’anno 2009 – non poteva ritenersi antecedente al dissesto, che non vi è prova fosse in atto al momento della cessazione della condotta di sistematica evasione dell’I.V.A.. Di guisa che il giudice di merito avrebbe ritenuto sussistente il rapporto di derivazione causale alla luce della mera successione cronologica dei fatti, omettendo di valutare in concreto l’evento (dissesto) rispetto alla condotta dolosa, in violazione dei principi espressi a riguardo dalla giurisprudenza di legittimità.

2.3 Con il secondo motivo, deduce erronea applicazione della legge penale e correlato vizio motivazionale in riferimento all’elemento soggettivo del reato. A tal fine, la corte territoriale non avrebbe conferito adeguato rilievo alla condizione di obiettiva crisi della società, riconducibile a fattori esterni, per la cui risoluzione le imputate avrebbero assunto iniziative non conformi alla legge ma finalizzate allo scopo di tentare la sopravvivenza dell’impresa, garantendo – attraverso le risorse non destinate al pagamento del debito d’imposta – il finanziamento dell’impresa in crisi di liquidità. Crisi imprevedibile e determinata dal mancato pagamento pluriennale di fatture da parte dell’AsI di Napoli Nord che costituiva il principale cliente (per oltre il 70% del fatturato) della società, ed ulteriormente aggravata dalla preclusione ad azioni esecutive introdotta con legge regionale sin dal 2005. Il curatore fallimentare ha poi evidenziato come, anche in seguito all’interdittiva antimafia, le imputate avessero assunto sino al 2010 ogni iniziativa utile a fronteggiare le difficoltà imprenditoriali, attraverso l’impiego di ingenti utili pregressi non distribuiti a copertura di perdite, in un contesto connotato da una rilevante situazione creditoria. Con conseguente difetto di prova del coefficiente psicologico necessario in ordine al reato contestato, non avendo sul punto la corte territoriale offerto risposta alle censure dell’atto di gravame.

2.3 Il terzo motivo sviluppa analoga doglianza in merito alla duplice rilevanza del dolo d’evasione in riferimento all’elemento soggettivo della bancarotta. La corte territoriale non avrebbe valutato la rilevanza delle motivazioni con cui sono stati archiviati procedimenti a carico delle imputare per il reato di cui all’art. 10 ter d. Igs. 74/2000 e di copiosa documentazione, comprovante la complessiva situazione finanziaria della società e la riconducibilità dell’evasione ad una causa di forza maggiore. La difesa aveva, invece, ricondotto ad un imprevedibile ed imponderabile fattore non la crisi di liquidità ex se, ma la irrecuperabilità del credito in virtù dei provvedimenti normativi che, dal 2005 al 2009, hanno sterilizzato le azioni esecutive nei confronti delle Asl campane. Circostanza che, nell’escludere il dolo d’evasione, dispiega effetti diretti sulla configurazione del dolo del reato previsto dall’art. 223 comma II n. 2 l.f..

Considerato in diritto

1. I ricorsi sono manifestamente infondati.

2. In riferimento al primo motivo di censura, orientato alla critica del rapporto di causalità tra evasione del debito d’imposta e stato di dissesto, il ricorrente riconduce lo stato di irreversibile incapacità a fronteggiare le obbligazioni societarie, determinante il fallimento, al provvedimento interdittivo antimafia, mentre giustifica l’inadempimento del debito tributario con l’esigenza di superare una contingente crisi di liquidità collegata al congelamento dei crediti verso l’azienda sanitaria campana, debitrice per il 70% del fatturato della società.

2.1. La deduzione, nella sua articolazione diacronica, si appalesa generica, non avendo il ricorrente allegato al ricorso specifici elementi dimostrativi, correlati sotto il profilo temporale, idonei alla dimostrazione che l’interdittiva antimafia abbia costituito causa ex se sufficiente ed esclusiva nella determinazione dell’evento, su cui la corte territoriale avrebbe omesso di formulare valutazioni. Di guisa che la pretesa autosufficienza del provvedimento prefettizio resta affidata ad una generica asserzione, priva di efficacia dimostrativa risolutiva ed inidonea ad assolvere l’onere di positiva allegazione gravante sull’imprenditore.

Ed invero, in tema di fallimento determinato da operazioni dolose, «l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà dell’amministratore della complessa azione arrecante pregiudizio patrimoniale, nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i propri doveri a fronte degli interessi della società, nonché dell’astratta prevedibilità dell’evento di dissesto quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo invece necessarie la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare» (Sez. 5, Sentenza n. 38728del 03/04/2014 Ud. (dep. 23/09/2014) Rv. 262207, N. 17690 del 2010 Rv. 247315).

2.2. Nel caso di specie, non vi è dubbio che il perdurante inadempimento dell’obbligazione tributaria – essenzialmente consapevole e volontario in quanto ricondotto dalle stesse imputate ad improprie operazioni di auto-finanziamento – abbia costituito una scelta imprenditoriale non solo ex se antigiuridica, ma, alla stregua di un giudizio ex ante ed in concreto, del tutto efficiente – con il concorso di ulteriori fattori di criticità che appartengono al novero delle evenienze prevedibili nell’ambito del rischio d’impresa – a determinare la condizione di dissesto.

Invero, in tema di bancarotta fraudolenta, «le operazioni dolose di cui all’art 223, comma secondo, n. 2, I. fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale, riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto corretta la qualificazione di operazione dolosa data nella sentenza impugnata al protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società)» (Sez. 5, Sentenza n.47621 del 25/09/2014 Ud. (dep. 18/11/2014) Rv. 261684 N. 17408 del 2014 Rv. 259998, N. 29586 del 2014 Rv. 260492).

Ponendo in essere una sistematica condotta di evasione fiscale, con conseguente progressiva esposizione nei confronti dell’Erario, l’imprenditore ha innescato una situazione di vulnerabilità aziendale che, in presenza di un concausale fattore sopravvenuto, ha reso irreversibile la situazione di dissesto.

E sono le stesse ricorrenti a porre la crisi di liquidità a fondamento della scelta d’evasione alle quale – pur in presenza di un ampio ventaglio di opzioni lecite, quali il ricorso a linee di credito, al rifinanziamento, o alla liquidazione della società – si sono determinate, destinando al finanziamento della società, in crisi di liquidità, gli utili sottratti al pagamento del debito tributario, incrementando in tal modo l’esposizione debitoria della fallita e l’aggravamento del suo dissesto.

Di guisa che nell’evasione fiscale deve ravvisarsi la causa remota del dissesto, rispetto alla quale l’interdittiva antimafia si pone quale causa prossima della sequenza di fattori che hanno concorso ad aggravare il dissesto, sino a renderlo irreversibile.

2.3 Non può, pertanto, ricondursi esclusiva efficienza causale in tal senso al provvedimento di interdizione, posto che «ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria prevista dall’art. 223, secondo comma, n. 2, R.D. 16 maggio 1942, n. 267, non interrompono il nesso di causalità tra I’ operazione dolosa e l’evento, costituito dal fallimento della società, né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen., né il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica ed implica un fenomeno in sé reversibile» (Sez. 5, Sentenza n. 40998 del20/05/2014Ud. (dep. 02/10/2014) Rv. 262189, N. 17690 del 2010 Rv. 247316, n. 8413 del 2014 Rv. 259051).

2.4 In applicazione di tale consolidato principio, la Corte territoriale ha concluso del tutto correttamente che il deliberato mancato versamento delle imposte dovute dalla società per importi considerevoli abbia concorso alla determinazione del dissesto che ne ha, successivamente, determinato il fallimento, la cui (con)causa prossima è stata poi ravvisata nella contrazione delle commesse derivanti dall’interdittiva antimafia.

Ed in tal senso inconferente risulta l’obiezione dei ricorrenti per cui la sentenza, nell’argomentare le rassegnate conclusioni, avrebbe illogicamente imputato all’omesso pagamento delle imposte l’insorgenza di difficoltà finanziarie della società, atteso che è proprio per fare fronte alle stesse che è stato giustificato il ricorso all’evasione.

2.5 Risulta, pertanto, adeguatamente valutato e razionalmente giustificato il fattore (con)causale rilevante in ordine al delitto contestato.

3. Manifestamente infondati anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, incentrati sulle doglianze inerenti l’elemento soggettivo del reato di cui al capo a).

3.1 Il reato contestato, che si sostanzia in un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale (Sez. 5, Sentenza n. 38728 del 03/04/2014Ud. (dep. 23/09/2014) Rv. 262207 cit.), postula la volontarietà dell’operazione societaria rischiosa e la derivazione eziologica della causazione, o anche solo di aggravamento, del dissesto, sorretta da un minimo coefficiente di prevedibilità.

A fronte di siffatta peculiare struttura dell’elemento intenzionale, il ricorrente invoca – in relazione al segmento della condotta sorretto da imputazione dolosa – l’esimente della forza maggiore, ravvisata nell’inesigibilità dei crediti verso la Regione Campania, introdotta con legge regionale.

3.2 Anche su tale profilo, il ricorso si appalesa generico, non risultando dedotte specifiche circostanze, inerenti la liquidità aziendale nel momento di congelamento del credito, che il giudice di merito avrebbe omesso di valutare.

Secondo il consolidato orientamento di legittimità, «L’esimente della forza maggiore di cui all’art. 45 cod. pen., sussiste in tutte le ipotesi in cui l’agente abbia fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge e che per cause indipendenti dalla sua volontà non vi era la possibilità di impedire l’evento o la condotta antigiuridica» (Sez. 5, Sentenza n.23026 del 03/04/2017Ud. (dep. 11/05/2017), e la mancanza di liquidità necessaria non già al pagamento del debito tributario, ma la destinazione della medesima disponibilità ad altri scopi aziendali, non costituisce elemento idoneo ad escludere il dolo della condotta omissiva ma, anzi, rende la stessa ancor più consapevole (V. Sez. 3, Sentenza n.46459 del29/03/2017Ud. (dep. 10/10/2017) Rv. 271311).

3.3. La Corte d’appello si è conformata ai predetti principi, versandosi in ipotesi di consapevole destinazione della liquidità a scopi diversi dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, e non già di mancanza assoluta di risorse per il pagamento del debito d’imposta.

Di guisa che, correttamente ricostruita la natura dolosa dell’evasione – sul punto non dispiegando rilievo preclusivo alcuno le argomentazioni delle richieste di archiviazione valorizzate dalla difesa – la motivazione sull’elemento soggettivo del reato è stata rappresentata secondo logiche e coerenti cadenze argomentative, insindacabili nella presente sede di legittimità.

Risulta, in particolare, adeguatamente argomentata la volontà protesa al dissesto, da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (V. Sez. 5, Sentenza n. 42257 del 06/05/2014 Ud. (dep. 09/10/2014) Rv. 260356, n. 17408 del 2014 Rv. 259998, n. 29586 del 2014 Rv. 260492), in termini di prevedibilità in concreto dell’irreversibile decozione.

5. Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro 2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.