CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32490 depositata il 16 luglio 2018
Reati tributari – Evasione di imposte – Superamento della soglia di punibilità – Condizione oggettiva di punibilità – Esclusione – Elemento costitutivo del reato – Mancanza di consapevolezza del superamento della soglia – Costi sostenuti e documentati maggiori del fatturato – Assenza del dolo – Esclusione della punibilità
Ritenuto in fatto
1. È impugnata la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Lecce ha confermato quella emessa dal tribunale di Brindisi che aveva condannato il ricorrente alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di cui agli articoli (capo a) 4 e 12, comma primo, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, perché, nella sua qualità di titolare dell’omonima impresa individuale (esercente l’attività di “trasporto merci su strada”), al fine di evadere l’imposta sui redditi, indicava nella dichiarazione annuale relativa a detta imposta (Modello Unico 2008/Persone fisiche, presentato telematicamente in data 30/09/2008) elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, giacché, non compilando il quadro RG/RF, riportava un totale di reddito imponibile pari a soli € 296,00, omettendo la corretta indicazione di € 1.254.965,00 (derivanti dall’attività d’impresa e risultanti dall’acquisizione di tutte le fatture emesse nei confronti di clienti nel corso dell’anno 2007), così evadendo l’imposta personale per un importo pari ad € 532.932,00 (superiore, dunque, ad € 103.291,38), contestualmente determinando un ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione.
In Ceglie Messapica, il 30 settembre 2008, con la recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale, ai sensi dell’art. 99, 4° comma, seconda ipotesi, e 2° comma, n. 1 e 2, c.p.; nonché (capo B) di cui agli articoli 81, 2° comma, 5,1° e 2° comma, d.lgs. 10/03/2000, r. 74, perché, con più azioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella sua qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, non presentava, essendovi obbligato, le dichiarazioni annuali relative a dette imposte per i periodi 2008, 2009 e 2010, così evadendo:
– relativamente al periodo 2008, l’imposta sul reddito delle persone fisiche in misura pari ad € 187.122,30 e l’imposta sul valore aggiunto in misura pari ad € 104.944,12;
-relativamente al periodo 2009, l’imposta sul reddito delle persone fisiche in misura pari ad € 317.734,89 e l’imposta sul valore aggiunto in misura pari ad € 153.594,60;
– relativamente al periodo 2010, l’imposta sul reddito delle persone fisiche in misura pari ad € 252.839,48 e l’imposta sul valore aggiunto in misura pari ad € 107.261,25.
In Ceglie Messapica, il 1 marzo 2010 (novantunesimo giorno successivo al 30/11/2009: data di scadenza del termine per la presentazione telematica delle dichiarazioni relative all’anno 2008), il Io marzo 2011 (novantunesimo giorno successivo al 30/11/2010: data di scadenza del termine per la presentazione telematica delle dichiarazioni relative all’anno 2009), il 1° marzo 2012 (novantunesimo giorno successivo al 30/11/2011: data di scadenza del termine per la presentazione telematica delle dichiarazioni relative all’anno 2010);
2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente, tramite il difensore, articola due motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la manifesta illogicità della motivazione su punti decisivi per il giudizio (articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale), sul rilievo che il giudice di appello non avrebbe in alcun modo motivato la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, non essendo stati adeguatamente accertati gli elevati costi (gasolio, personale, autostrade, imbarchi, manutenzione targati, istituti di credito) connessi alla attività di autotrasportatore esercitata dal ricorrente e non potendo ritenersi sufficienti al riguardo le indagini compiute con il metodo analitico – induttivo da parte della Guardia di Finanza, anche al fine della verifica del superamento della soglia di rilevanza penale.
La Corte territoriale, pur in presenza di specifiche doglianze formulate dall’imputato con i motivi d’appello, in ordine alla inadeguatezza dell’accertamento della base imponibile, per la cui determinazione avrebbero dovuto essere considerati anche gli elementi negativi di reddito, e cioè tutti costi sostenuti dall’imputato nello svolgimento della propria attività, si sarebbe limitata ad affermare la sufficienza dell’accertamento eseguito dalla Guardia di Finanza con il metodo analitico – induttivo, omettendo, tuttavia, di considerare quanto prospettato dall’imputato in ordine ai costi sostenuti, non risultando che gli stessi siano stati contemplati, neppure in via presuntiva, nel corso dell’accertamento svolto dalla Guardia di Finanza, che per determinare l’ammontare dell’imposta evasa, avrebbe dovuto contrapporre ricavi e costi di esercizio detraibili.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione di legge penale e vizio della motivazione (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale), riguardo alla sussistenza in capo all’imputato di una condizione oggettiva di punibilità determinata dal superamento della soglia di punibilità con sottrazione della indagine sulla sussistenza o meno dell’elemento soggettivo del reato ascrittogli, caratterizzato dal dolo specifico di evasione. Assume che le soglie di punibilità previste per i reati tributari dal D.Lgs. n. 74 del 2000 hanno natura di elementi costitutivi del reato e non di condizioni obiettive di punibilità. Da ciò deriva che tali soglie devono essere “investite” dal dolo, per cui se l’imputato non è consapevole di averle superate, non può essere condannato; nel nostro caso, atteso il convincimento in capo al ricorrente che i costi sostenuti per l’esercizio dell’attività di autotrasportare (tutti documentati ed in atti) superavano di gran lunga i fatturati degli anni di imposta in rilievo, in difetto dell’elemento soggettivo, il medesimo andava assolto.
Considerato in diritto
1. il ricorso è fondato sulla base del secondo motivo.
2. Il primo motivo non è fondato.
La Corte del merito, con logica ed adeguata motivazione, ha affermato che gli elementi indiziari a disposizione del Tribunale, sommati fra loro, conducevano a ritenere ampiamente fondato l’accertamento fiscale, essendo emerso dalle verifiche eseguite dalla Guardia di Finanza che, per gli anni successivi al 2007, il ricorrente aveva prodotto esclusivamente fatture non annotate sul registro IVA e sul libro giornale (il teste Semeraro aveva riferito che non risultavano istituiti i registri e i libri contabili) e pertanto il volume di affari dell’azienda dell’imputato veniva ricostruito previa acquisizione, presso i clienti e i fornitori, della documentazione attestante i rapporti commerciali. In sede di accertamento, era risultato che alcune fatture passive non erano state computate tra i costi in quanto prodotte in fotocopia e in assenza di documenti a corredo, quali contratti e attestazioni di pagamento e che, in alcuni casi, si trattava di fatture emesse da ditte riferibili a stretti congiunti del ricorrente.
Nemmeno nel giudizio di primo grado l’imputato – che si era difeso sostenendo che, dopo l’anno 2007 (rispetto al quale aveva presentato denuncia di furto della relativa documentazione contabile), i costi avevano superato i ricavi – aveva prodotto documentazione ulteriore rispetto a quella già esaminata dalla Guardia di Finanza.
Il teste Semeraro aveva infatti precisato che, in ragione del volume di affari ricostruito a mezzo della fatturazione attiva, l’imputato era obbligato ad istituire i registri e i libri contabili previsti per il regime ordinario (registri IVA, libro giornale e registro degli inventari).
Per gli anni successivi al 2007 (per questo anno, in presenza della denuncia di furto, la Guardia di Finanza aveva correttamente ritenuto di non poter quantificare i costi, in assenza di documentazione di spesa), i militari della Guardia di Finanza avevano invece verificato (in particolare, per gli anni dal 2008 al 2010) il superamento delle soglie previste dall’art. 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000, tanto sulla base degli atti e, quindi, in forza dei rilievi circa la fatturazione sia attiva che passiva (utilizzando anche le risposte ai questionari inviati alle ditte che avevano intrattenuto rapporti con l’azienda del Cavallo).
Con riferimento alle voci passive, il teste Semeraro aveva sottolineato che, in assenza di libri contabili, si erano trovati in presenza solo di fatture passive, in alcuni casi solo di fotocopie, non suffragate dall’esistenza di contratti, corrispondenza, modalità di pagamento ossia di circostanze che si sarebbero invece potute rilevare dal libro giornale (non istituito), con la conseguenza che le fatture non erano supportate dalla documentazione prevista dalla normativa fiscale e, quindi, non erano state prese in considerazione.
Nel pervenire a tale conclusione, i Giudici del merito si sono attenuti al principio di diritto secondo il quale, in tema di reati tributari, ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000, il giudice può legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli uffici finanziari (Sez. 3, n. 24811 del 28/04/2011, Rocco, Rv. 250647).
La sentenza Rocco, in precedenza richiamata, ha infatti chiarito che, ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, sottolineando tuttavia come, per giurisprudenza consolidata della Corte, il giudice, in tema di reati tributari, può legittimante basarsi, per accertare la penale responsabilità dell’imputato per le omesse annotazioni obbligatorie ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, sull’informativa della Guardia di Finanza che abbia fatto ricorso anche all’accertamento induttivo dell’imponibile quando la contabilità imposta dalla legge sia stata tenuta, come nel caso in esame, irregolarmente, con la conseguenza che anche l’accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può, invero, rappresentare, un valido elemento di indagine per stabilire, in sede penale, se vi sia stata evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge, a condizione che il Giudice non si limiti a constatarne l’esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi in essi evidenziati, ma proceda a specifica autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti “aliunde”.
I giudici di merito – con motivazione corretta ed immune da vizi logici, insuscettibile pertanto di sindacato in sede di giudizio di legittimità – hanno, quindi, correttamente ricordato che è ben possibile ricorrere ad accertamenti indiziari purché nel rispetto del principio, nel caso in esame pienamente osservato, di quanto previsto dall’articolo 192 del codice di procedura penale.
Da ciò consegue come sia stata correttamente non presa in considerazione la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, dovendosi, a questo proposito, ricordare che detta rinnovazione nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820), ipotesi, quest’ultima, implicitamente esclusa, con cognizione di causa, dalla Corte territoriale, una volta che il giudice di secondo grado ha ritenuto validamente ricostruita e determinata l’imposta evasa.
3. Il secondo motivo è invece fondato.
La Corte distrettuale ha liquidato il motivo di appello relativo alla eccepita insussistenza dell’elemento soggettivo, affermando che, in materia di reati tributari, le soglie costituiscono condizioni obiettive di punibilità.
L’affermazione non è condivisibile.
La Corte di cassazione, superando un precedente contrasto giurisprudenziale, si è recentemente e stabilmente orientata nel ritenere che il superamento della soglia di punibilità non configura una condizione oggettiva di punibilità, bensì un elemento costitutivo del reato, sul rilievo che l’integrazione della soglia non dipende da un evento futuro ed incerto ma dallo stesso comportamento dell’agente che, con la condotta vietata, contribuisce alla realizzazione del fatto tipico, con la conseguenza che anche le soglie di punibilità devono essere investite dal fuoco del dolo (Sez. 3, n. 35611 del 16/06/2016, Monni, Rv. 268007; Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, dep. 2016 Vanni, Rv. 265938; Sez. 3, n. 6105 del 18/11/2015, dep. 2016, Marchese, Rv. 266273).
4. La fondatezza del secondo motivo di ricorso comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al periodo di imposta anno 2008, perché il reato, all’uopo contestato e ritenuto in sentenza, è estinto per prescrizione.
La sentenza impugnata va poi annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce che, ai fini della configurabilità dell’elemento soggettivo dei reati, si atterrà ai principi di diritto in precedenza affermato, procedendo, se del caso, anche alla rideterminazione della pena.
Il ricorso va rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al periodo di imposta anno 2008 perché il reato è estinto per prescrizione e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce limitatamente alla configurabilità dell’elemento soggettivo per i restanti reati ed alla eventuale rideterminazione della pena.
Rigetta nel resto il ricorso.