Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 32566 depositata il 19 novembre 2020
È inammissibile l’impugnazione depositata a mezzo posta elettronica certificata, in considerazione della natura tassativa delle modalità di presentazione stabilite dal codice di rito, non derogate dalle previsioni introdotte dall’art. 24, comma 4, d.l. n. 137 del 2020.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Bologna, in funzione il tribunale del riesame ex art. 309 cod. proc. pen., in accoglimento della richiesta di riesame presentata avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna in data 6 Marzo 2020:
– annullava il provvedimento cautelare emesso nei confronti di CG., C.S., C.D., M.E., N.L., N.A., P.G., R.E., R.O., S.N., T.L. e T.M., in relazione al reato di cui all’articolo 270-bis cod. pen. (capo a), per insussistenza della gravità indiziaria;
– annullava il provvedimento cautelare emesso nei confronti di P.G. in relazione al reato di cui al capo c), previa riqualificazione dei fatti ex artt. 110, 424 cod. pen., anziché 423 cod. pen.;
– annullava il provvedimento cautelare emesso nei confronti di CG., M.E., N.L., N.A., S.N. e T.L., in relazione al reato di istigazione a delinquere di cui al capo b), per insussistenza della gravità indiziaria;
– annullava il provvedimento cautelare, limitatamente alle circostanze aggravanti di cui agli artt. 270-bis.1 e 414, quarto comma, cod. pen., contestate con riguardo al reato di istigazione a delinquere di cui all’art. 414 cod. pen. (capo b), sostituendo per detto reato la misura della custodia in carcere nei confronti di C.S., D.C., R.E. e P.G. con quella dell’obbligo di dimora, revocando la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti di T.M., ferma restando a carico del medesimo la misura dell’obbligo di dimora, parimenti confermando la medesima misura nei confronti di R.O.
1.1. Il tribunale del riesame ha accolto, con riguardo al capo c), l’impugnazione proposta nell’interesse di P.G., ritenendo che dalla complessiva valutazione dei fatti è dato evincere che l’intendimento degli autori del reato fosse quello di danneggiare gli impianti presenti nel sito preso di mira e non già quello di provocare un incendio; ciò in considerazione dei seguenti elementi: il fuoco è stato appiccato versando del liquido infiammabile sul tetto di un fabbricato e in prossimità di un muro esterno di un altro manufatto; non risulta che fosse presente del materiale facilmente infiammabile nei pressi dei punti in cui è stato acceso il fuoco; il terreno sul quale è stata rinvenuta la tanica riempita per metà di benzina era bagnato e dalle fotografie in atti emerge che la costruzione in muratura che il fuoco avrebbe dovuto attingere è di dimensioni ridotte e non in comunicazione con altre.
1.2. Il tribunale del riesame ha accolto, con riguardo al capo b), l’impugnazione proposta che denunciava la insussistenza delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 414, quarto comma, e all’articolo 270-bis.1 cod. pen., perché l’incitamento riguarda la commissione di condotte violente, consistente nel provocare tafferugli con le forze dell’ordine in occasione di manifestazioni di piazza e, nel secondo caso, l’incitamento a compiere atti vandalici, consistenti nella rottura e nell’imbrattamento delle vetrine presenti nella sede della Lega o nel ribaltare i banchetti presenti in luoghi pubblici utilizzati dai militanti di tale partito politico per fini di propaganda; escludendo che si possano ritenere gli atti di cui è stato sollecitato il compimento integranti il delitto di terrorismo in quanto, ove eventualmente posti in atto, si sarebbe trattato comunque di condotte non in grado di arrecare un grave danno al Paese, se si considera il numero solitamente limitato di partecipanti alle manifestazioni indette dal gruppo ai quali gli autori di reato fanno riferimento e gli strumenti utilizzati per compiere gli atti violenti, costituiti da armi improprie e da petardi e giammai da armi da sparo; per la loro limitata portata, del resto, non si può ritenere che dovessero essere realizzate condotte poste allo scopo di intimidire la popolazione o per indurre i pubblici poteri a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto e comunque per distruggere le strutture economiche e sociali del Paese o di un’organizzazione internazionale.
Allo stesso modo il tribunale del riesame ha escluso la rilevanza delle pubblicazioni del dicembre 2018 («un lager in Emilia, a Modena di preciso …») evidenziando la vaghezza e genericità dell’incitazione, mancando qualunque indicazione delle azioni che si sarebbero dovute porre in essere, essendo rimessa al lettore la selezione degli strumenti più adeguati, tra cui rientrano quelli legali di boicottaggio e controinformazione.
Parimenti è stata esclusa la rilevanza dell’esortazione contenuta nel manifesto del 7 Febbraio 2019 («il prezzo da pagare è alto, ma non ci sono alternative …») perché l’espressione non costituisce incitamento a ricorrere alla violenza per contrastare le politiche in materia di immigrazione e per colpire le istituzioni impegnate nella gestione dei centri permanenti di rimpatrio, cosicché le frasi, oltre a esprimere solidarietà, rappresentano unicamente l’intento di mantenere fermi i propri convincimenti.
Allo stesso modo è stata esclusa la rilevanza delle espressioni contenute nel manifesto del 21 Marzo 2019 («lo stato avanza chiudendo i porti …») perché in nessuna delle frasi riportate si può cogliere un incitamento alla perpetrazione di reati e al compimento di atti violenti.
Ugualmente è stata esclusa la rilevanza delle «pillole argomentative» perché le espressioni non sono idonee a indurre i lettori a passare alle vie di fatto, costituendo piuttosto testi di programmazione di un’azione politica volta a porre in atto la controinformazione.
1.3. Il tribunale del riesame ha, infine, escluso la gravità indiziaria del reato di associazione terroristica di cui al capo a), evidenziando anzitutto la natura «liquida» del movimento anarchico – entro cui si inserisce il gruppo investigato-, costituito da singole celle indipendenti, sebbene in contatto tra loro, rispetto ad ognuna delle quali è necessario verificare se in concreto abbia o meno elaborato un programma delittuoso.
Si è evidenziato che non emerge alcun concreto programma di attacco alle strutture tecnologiche e che dalle captazioni eseguite non emerge neppure un comune orientamento, all’interno del gruppo, riguardo alla possibilità di programmare azioni violente dello stesso tipo di quelle di cui i gruppi estremisti si erano resi protagonisti nel corso degli anni ’70, emergendo piuttosto che le iniziative consistevano unicamente nell’intessere alleanze con gruppi gravitanti nella stessa area, nel predisporre adesivi propagandistici e altre azioni di propaganda.
Si è, inoltre, evidenziato che il gruppo anarchico non ha elaborato un programma criminoso fondato sul ricorso sistematico alla violenza, come emerge anche dal suo concreto operare nel corso delle manifestazioni pubbliche di cui si è reso promotore: quella del 13 Febbraio 2019 ha percorso alcune vie del centro storico di Bologna, e visto la partecipazione di circa 200 persone alcune delle quali hanno danneggiato uno sportello bancomat e hanno imbrattato con scritte minacciose e inneggianti alla violenza diversi muri dei fabbricati presenti lungo il percorso nonché quelli della caserma dei carabinieri, trattandosi di episodi che non risultano oggetto di una specifica programmazione e che anzi sembrano essere stati posti in essere da facinorosi estranei al gruppo.
Si è evidenziato, poi, come nel corso delle perquisizioni siano stati rinvenuti e sequestrati artifici pirotecnici, bastoni di legno con affisso all’estremità un drappo nero, strumenti che non rimandano alla pianificazione di azioni violente da parte di un gruppo organizzato, ma al più alla predisposizione di mezzi per effettuare azioni propagandistiche con sventolio di drappi, accensione di qualche artificio, l’offensività dei quali non è stata accertata.
D’altra parte, si è esclusa la rilevanza dell’acquisto 17 maschere antigas effettuato online da P.G. perché l’investigazione non ha consentito di accertare che detto acquisto sia stato programmato dalla cellula né che successivamente ne siano stati effettuati degli altri.
In conclusione, il tribunale del riesame ha evidenziato come l’episodio incendiario di cui al capo c) sia stato posto in essere unicamente da P.G. e non risultano elementi dai quali desumere che lo stesso fosse in realtà riconducibile al programma dell’associazione.
2. Ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna che denuncia:
– la violazione di legge, in relazione all’articolo 270-bis cod. pen., e il vizio della motivazione, anche derivante dal travisamento, per essere stata erroneamente esclusa la sussistenza del diritto di associazione terroristica e la relativa gravità indiziaria (primo e secondo motivo). Il tribunale del riesame, pur avendo dato conto come il gruppo di anarchici operante nel territorio bolognese, a conferma della stabilità della struttura organizzativa, avesse condiviso luoghi di incontri e spazi comuni, ne ha sminuito la rilevanza ai fini di ritenere sussistente la gravità indiziaria, così come, pur avendo correttamente ricostruito la circostanza secondo la quale i medesimi indagati risultano inseriti in una stabile rete di relazioni con altre realtà anarchiche, non ha valorizzato tale rilevante elemento incentrato sulla condivisione delle finalità violente ed eversive dei cosiddetti «gruppi di affinità», sulla base della teorizzazione, operata dall’ideologo Alfredo Bonanno, caratterizzata dall’esistenza di diversi gruppi territoriali, tra loro collegati, al fine di propagandare l’ideologia eversiva contro le istituzioni dello Stato. Il giudice del riesame ha erroneamente valutato che i reati fine posti in essere dall’organizzazione (istigazione a delinquere, imbrattamento degli edifici nonché il più grave delitto di cui al capo c) contestato a P.G.) siano privi di quei caratteri espressivi della effettività della possibile attuazione del programma criminoso, non essendo affatto richiesta la predisposizione di un programma di concrete azioni terroristiche. Trattandosi, infatti, di un reato di pericolo presunto è sufficiente che si dimostri l’esistenza di una struttura organizzata con grado di effettività tale da rendere almeno possibile l’attuazione del programma criminale. Del resto, la presenza di uno stabile e duraturo collegamento tra il singolo e il sodalizio, in funzione del quale il soggetto partecipe si mette a totale disposizione del gruppo criminale ai fini dell’attuazione del progetto terroristico eversivo, costituisce un elemento sufficiente ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’articolo 270-bis cod. pen. D’altra parte, il tribunale del riesame ha erroneamente interpretato la conversazione intercorsa tra CAPRIOLI, P.G. e NERI, dal contenuto chiaramente aggressivo e non difensivo, come erroneamente ritenuto dal tribunale, risultando ciò confermato dalla circostanza che detta conversazione è avvenuta a valle della manifestazione del 7 Febbraio 2019 nel corso della quale sono state poste in essere le azioni violente ai danni del bancomat e della caserma dei Carabinieri. è, del pari, erronea l’interpretazione della conversazione tra P.G., CAPRIOLI e NERI del 30 Marzo 2019 nel corso della quale quest’ultimo si dichiara insoddisfatto della mancanza di scontri violenti, i quali ormai si svolgono soltanto allo stadio, perché ciò, lungi dal dimostrare la mancanza di intento violento nel gruppo, dimostra unicamente la delusione del dichiarante per la mancata verificazione di più gravi atti di violenza. Inoltre, con riguardo all’acquisto delle 17 maschere antigas, l’ordinanza è illogica e contraddittoria quando omette di valorizzare che P.G. ha ceduto a vari soggetti le maschere e che quasi tutti gli indagati le stavano provando, così rendendo evidente la comune disponibilità dello strumento. Risulta, infine frutto di travisamento l’argomentazione impiegata dal tribunale secondo la quale le maschere antigas sarebbero state acquistate in un’unica occasione, risultando ciò contraddetto da un’informativa di polizia giudiziaria del 20 maggio 2020 dalla quale emerge che ci sarebbe stato in realtà un secondo acquisto di maschere antigas in numero non precisato.
– la violazione di legge, in relazione all’articolo 416 cod. pen., per non essere stata riconosciuta la sussistenza del delitto di associazione per delinquere in luogo di quello di associazione terroristica di cui al capo a) (terzo motivo). Il tribunale del riesame avrebbe dovuto, pur escludendo la qualificazione del fatto a norma dell’articolo 270-bis cod. pen., qualificare l’organizzazione alla stregua dell’articolo 416 cod. pen., sussistendone tutti i presupposti dianzi richiamati;
– la violazione di legge, in relazione all’articolo 423 cod. pen., per essere stata erroneamente esclusa la sussistenza del delitto di incendio (quarto motivo). Per individuare l’intenzione di P.G., elemento discretivo tra le ipotesi di incendio e quella di danneggiamento seguito da incendio, il tribunale avrebbe dovuto valorizzare tutti gli elementi disponibili, tra cui spicca l’ideologia anarco-insurrezionalista, tipicamente contraria all’utilizzo dei mezzi tecnologici, nonché le modalità dell’azione, posta in essere in tempo di notte, tali da rendere difficoltosa l’operazione di spegnimento, e la presenza dei ripetitori delle emittenti televisive in prossimità dei luoghi in cui si è sviluppato l’incendio, elementi tutti indicativi della intenzione di provocare una devastazione di vaste proporzioni anche per la difficoltà di far giungere rapidamente i soccorsi. Il tribunale del riesame non si è del resto, confrontato con la possibilità di qualificare la condotta alla stregua del tentativo di incendio;
– la violazione di legge, in relazione all’articolo 414 cod. pen., e il vizio della motivazione per essere stata erroneamente esclusa la configurabilità del delitto di istigazione a delinquere per talune delle manifestazioni espressive pubblicate (quinto motivo). L’idoneità all’istigazione dei messaggi diffusi dal gruppo anarchico doveva essere valutata tenendo presente le caratteristiche del sodalizio, dimostratosi capace di porre in essere nel tempo plurime azioni delittuose, sicché doveva dedursi la specifica idoneità delle istigazioni poste in essere. È illogica e contraddittoria la motivazione del tribunale del riesame che ha riconosciuto la gravità indiziaria nei confronti di T.M., R.E. e C.S., in ragione della presenza di un’immagine raffigurante scontri di piazza unitamente a frasi quali la «rabbia divampi», nonché per un altro scritto di P.G. e C.S. in cui si esortava il compimento di atti ritorsivi contro la Lega, mentre è stata esclusa per altre analoghe espressioni contenute nello scritto del 7 Febbraio 2019 le quali contengono i medesimi spunti violenti, che risultano, peraltro, accolti da circa 30 persone rimaste ignote che proprio quella sera avevano posto in essere i disordini in via Albani.
2.1. In data 2/11/2020 pervenivano in cancelleria, tramite posta elettronica certificata, motivi nuovi del Pubblico ministero ricorrente che denunciava la violazione di legge, in relazione all’art. 270-bis cod. pen., in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale del riesame è irrilevante, per configurare l’anzidetto delitto, la commissione di reati-scopo da parte dell’associazione terroristica, essendo sufficiente l’esistenza di un’organizzazione che renda almeno possibile la loro realizzazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato; i motivi nuovi sono inammissibili.
1.1. Dopo l’esame della questione sull’ammissibilità dei motivi nuovi, si procederà all’esame dei motivi di ricorso secondo l’ordine logico seguito dall’ordinanza impugnata.
2. Va, preliminarmente, dato atto dell’inammissibilità dei motivi nuovi trasmessi alla cancelleria di questa Corte tramite posta elettronica certificata in data 2 novembre 2020.
2.1. Si è precisato, con riguardo alle impugnazioni, che:
– «in tema di giudizio di appello, sono inammissibili i motivi aggiunti trasmessi mediante posta elettronica certificata, essendo consentito l’utilizzo di tale mezzo solo per le notificazioni e comunicazioni da effettuarsi a cura della cancelleria e potendo lo stesso operare unicamente in presenza del fascicolo telematico, non ancora instaurato nel processo penale» (Sez. 5, n. 12949 del 05/03/2020, Torti, Rv. 279072);
– «è inammissibile il ricorso per cassazione proposto mediante l’uso della posta elettronica certificata, in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 cod. proc. pen., sono tassative ed inderogabili» (Sez. 4, n. 52092 del 27/11/2019, PG Vlad, Rv. 277906);
– «in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi aggiunti trasmessi mediante posta elettronica certificata, atteso che l’utilizzo di tale mezzo è consentito unicamente per le notificazioni e comunicazioni da effettuarsi a cura della cancelleria» (Sez. 1, n. 2020 del 15/11/2019 dep. 2020, Turturo, Rv. 278163);
– «è inammissibile l’opposizione al provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata a mezzo di posta elettronica certificata, stante il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni, trattandosi di modalità non consentita dalla legge, in ragione dell’assenza di una norma specifica che consenta nel sistema processuale penale il deposito di atti in via telematica» (Sez. 4, n. 10682 del 19/12/2019 dep. 2020, Sayari, Rv. 278649);
– «è inammissibile l’opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo di posta elettronica certificata, stante il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni, trattandosi di modalità non consentita dalla legge, in ragione dell’assenza di una norma specifica che consenta nel sistema processuale penale il deposito di atti in via telematica, e nonostante che per espressa previsione di legge il valore legale della posta elettronica certificata sia equiparato alla raccomandata con ricevuta di ritorno» (Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D’Angelo, Rv. 272740).
2.2. Del resto, vi è una norma primaria che deroga alla diretta applicazione delle disposizioni del CAD (Codice dell’amministrazione digitale, approvato con d.lgs. n. 82 del 2005) nel processo penale (e civile); l’art. 4 (Misure urgenti per la digitalizzazione della giustizia) del decreto-legge n. 193 del 2009 espressamente stabilisce: «1. Con uno o più decreti del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, sentito il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione e il Garante per la protezione dei dati personali, adottati, ai sensi dell’articolo 17 comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono individuate le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni. Le vigenti regole tecniche del processo civile telematico continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore dei decreti di cui ai commi 1 e 2. 2. Nel processo civile e nel processo penale, tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica si effettuano, mediante posta elettronica certificata, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e delle regole tecniche stabilite con i decreti previsti dal comma 1. Fino alla data di entrata in vigore dei predetti decreti, le notificazioni e le comunicazioni sono effettuate nei modi e nelle forme previste dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto».
È, perciò, evidente, alla stregua di quanto previsto dal primo periodo del primo comma dell’art. 4, che il CAD si applica nei limiti stabiliti dal regolamento ministeriale e, quindi, venendo alla questione della posta raccomandata, l’equiparazione introdotta dall’art. 48 del CAD tra raccomandata e PEC non ha diretta applicazione all’uso di tale strumento da parte dei difensori nel processo penale (e civile), se non nei limiti di quanto previsto dal decreto del Ministro della giustizia del 21 febbraio 2011, n. 44, portante «Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24» e, in particolare, soltanto a seguito del decreto dirigenziale previsto dall’art. 35 del ridetto regolamento.
2.3. Sempre in merito alle impugnazioni, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato la specifica rilevanza dell’accertamento dell’identità di colui che sottoscrive l’atto, con particolare riguardo agli atti di impugnazione (Sez. 2, n. 25967 del 28/04/2004, De Silvio, Rv. 229709), sicché la procedura di deposito dell’atto assume una funzione essenziale, strumentale alla verifica della legittimazione di colui che propone l’impugnazione (costituente condizione di ammissibilità della stessa: art. 591 comma 1 lett. a) cod. proc. pen.), che non può essere sostituita dalla sua semplice trasmissione per mezzo del fax o della posta elettronica.
È bene precisare, sulla questione dell’identificazione, che la posta elettronica certificata non attribuisce la paternità del documento trasmesso, svolgendo unicamente la funzione di certificare la provenienza del messaggio dalla casella di posta del mittente e la ricezione di esso da parte del destinatario (art. 48 Codice dell’amministrazione digitale, approvato con d.lgs. n. 82 del 2005).
La paternità è, viceversa, attribuita dalla firma digitale che, tuttavia, in forza del citato DM n. 44 del 2011, non può essere utilizzata nel processo penale fino a quando non sarà adottato il già citato decreto previsto dall’art. 35 del regolamento n. 44 del 2011.
2.4. Rispetto a tale costante e condiviso orientamento giurisprudenziale, deve valutarsi l’eventuale portata innovativa dei commi 4 e 5 dell’art. 24 decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, che così prevedono: «4. Per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, fino alla scadenza del termine di cui all’articolo 1 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, è consentito il deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all’art. 7 del decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44. Il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati e pubblicato sul Portale dei servizi telematici. Con il medesimo provvedimento sono indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio. 5. Ai fini dell’attestazione del deposito degli atti dei difensori inviati tramite posta elettronica certificata ai sensi del comma precedente, il personale di segreteria e di cancelleria degli uffici giudiziari provvede ad annotare nel registro la data di ricezione e ad inserire l’atto nel fascicolo telematico. Ai fini della continuità della tenuta del fascicolo cartaceo provvede, altresì, all’inserimento nel predetto fascicolo di copia analogica dell’atto ricevuto con l’attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell’ufficio».
2.4.1. Va, anzitutto, definito il contesto dell’intervento normativo d’urgenza posto in essere per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19.
Il comma 1 dell’art. 24 cit. disciplina il deposito presso (alcuni) uffici della Procura della Repubblica di memorie, documenti, richieste, istanze di cui all’articolo 415-bis, comma 3, cod. proc. pen. Si prevede espressamente che tale adempimento possa avvenire esclusivamente utilizzando uno strumento denominato «portale del processo penale telematico», da individuarsi con provvedimento del direttore generale servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia e con le modalità ivi stabilite, anche in deroga alle vigenti modalità previste dal D.M. 44/2011 e successive modifiche.
Sulla base delle normative approvate durante l’emergenza COVID-19 (ad esempio art. 83, comma 12-quater.1, decreto-legge n. 18/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 27/2020, e successivamente modificato), con provvedimento direttoriale dell’Il maggio 2020 erano state già emanate delle disposizioni relative al deposito con modalità telematica di memorie, documenti, richieste e istanze indicate dall’articolo 415-bis, comma 3, cod. proc. pen.
Il nuovo art. 24, comma 1, DL n. 137 del 2020 riproduce, in termini sostanzialmente immutati, la disposizione emergenziale previgente (art. 83, comma 12-quater.1, decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18), precisando al comma 6 che «Per gli atti di cui al comma 1 e per quelli che saranno individuati ai sensi del comma 2 l’invio tramite posta elettronica certificata non è consentito e non produce alcun effetto di legge».
Ciò premesso, deve concludersi nel senso che la disposizione concernente il deposito telematico a valore legale di cui all’art. 24 DL n. 137 del 2020 è rivolta espressamente al solo settore penale e, in particolare, al deposito degli atti relativi alla fase ex art. 415-bis cod. proc. pen. presso gli uffici della Procura della Repubblica a ciò abilitati.
In proposito, infatti, non deve dimenticarsi che sono state richiamate le disposizioni tecniche emanate con provvedimento direttoriale n. 5477 dell’Il maggio 2020 (pubblicato sul portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia in data 12 maggio 2020) le quali, tra l’altro, prevedono espressamente le caratteristiche tecniche degli atti della fase ex art. 415-bis cod. proc. pen. oggetto di deposito presso gli uffici della Procura (art. 4), tra cui spiccano quelle concernenti il formato del file e la sottoscrizione con firma digitale.
2.4.2. Rispetto a tale innovazione, introdotta per il deposito degli atti della fase ex art. 415-bis cod. proc. pen. negli uffici della Procura della Repubblica, è necessario domandarsi quale sia il significato e la portata dei citati commi 4 e 5 del medesimo art. 24 DL n. 137 del 2020 che sembrano invece consentire il deposito di «tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati» mediante posta elettronica certificata.
La questione si pone sia rispetto all’ambito di applicazione della previsione derogatoria, sia con riguardo alla tipologia di atti oggetto della deroga.
La prima questione concerne, in effetti, l’eventualità di applicare la nuova modalità di deposito tramite posta elettronica certificata ai soli atti rivolti all’ufficio della Procura della Repubblica, quando esso non sia abilitato all’uso del portale di cui al comma 1 dell’art. 24 cit., valorizzando una lettura sistematica delle previsioni contenute nell’art. 24; in pratica, siccome il primo comma riguarda il deposito degli atti presso la Procura nella sola fase di cui all’art. 415- bis cod. proc. pen., le restanti disposizioni potrebbero essere interpretare alla luce del contesto di applicazione stabilito all’esordio dell’articolo e applicarsi, perciò, soltanto per il deposito negli (altri) uffici della Procura che non siano dotati del portale.
Del resto, potrebbe ritenersi illogico interpretare in senso più ampio la previsione dei commi 4 e 5 dell’art. 24, così da introdurre una maggiore portata applicativa al deposito tramite pec rispetto al modello di riferimento costituito dal portale; se il legislatore avesse voluto prevedere l’uso della pec come modalità di deposito generalizzata di tutti gli atti del processo penale a qualunque ufficio indirizzati, avrebbe manifestato in modo chiaro tale volontà, anteponendo le norme contenute nei commi 4 e 5 dell’art. 24 DL n. 137 del 2020 alla modalità di deposito tramite portale, che rivestirebbe perciò applicazione residuale, sia con riferimento alla tipologia di ufficio cui si riferisce (alcuni uffici di Procura), sia con riguardo alla elencazione degli atti oggetto di deposito telematico (solo quelli della fase ex art. 415-bis cod. proc. pen.).
2.4.3. Del resto, non risulta ad oggi che il direttore generale dei sistemi informativi del ministero della giustizia abbia adottato il provvedimento con il quale devono essere individuate le caselle di pec cui indirizzare gli atti, né l’elenco degli atti oggetto di tale modalità di deposito e le loro caratteristiche tecniche.
Alla data di celebrazione dell’udienza (3 novembre 2020) non è stato adottato alcuno dei provvedimenti direttoriali previsti dall’art. 24, comma 4, DL n. 137 del 2020, essendo stato unicamente emesso in data 2/11/2020 il provvedimento previsto dall’art. 23 del medesimo decreto, sicché risulta totalmente assente, ove eventualmente rilevante ai fini che qui interessano, la normativa tecnica che dovrebbe applicarsi nel caso di specie.
2.5. Più in generale, però, deve essere evidenziato che è dubbio che un provvedimento dirigenziale di natura tecnica possa derogare a precise previsioni di rango primario che regolano il deposito di significativi atti del processo penale, come – per quanto qui interessa – le impugnazioni, per i quali sono stabilite modalità e forme particolari, in mancanza di una espressa deroga contenuta in una norma di livello sovraordinato.
2.5.1. Va, perciò, chiarita la gerarchia delle fonti.
La digitalizzazione del processo civile e penale è stata introdotta dall’art. 4 del decreto-legge n. 193 del 2009, che ha specificamente attribuito a un regolamento (poi emanato con DM n. 44 del 2011), adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il compito di individuare «le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni».
D’altra parte, il regolamento in questione, adottato ex art. 17, comma 3, l. n. 400 del 1988, ha natura di regolamento delegato o di delegificazione, e costituisce una fonte di «livello secondario particolare» in quanto disciplina una materia, non coperta da riserva di legge, già disciplinata dalla legge (fonte di livello primario). Il regolamento in questione è stato, infatti, preceduto da una legge «di autorizzazione» o «di delega» che lo prevede, sicché risulta rispettata la gerarchia delle fonti.
Ciò premesso, deve essere evidenziato che la disposizione di livello primario (art. 4 DL n. 193 del 2009) non risulta espressamente derogata, quanto all’uso della pec, dal DL n. 137 del 2020, né tale ultimo atto normativo prevede una qualche sorta di «legificazione» degli ambiti normativi già attribuiti al regolamento n. 44 del 2011, sicché risulta necessario individuare la portata innovativa del DL n. 137 del 2020 rispetto al codice di rito e alle norme per la digitalizzazione del processo, nonché individuare la portata dei poteri conferiti all’autorità tecnica chiamata, tra l’altro, a dettare «le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio».
Del resto, l’intervento d’urgenza non ha modificato le norme processuali inserite nel codice di rito, né ha inteso derogare espressamente a tale specifica regolamentazione o a quella introdotta dal DM n. 44 del 2011, sicché le innovazioni introdotte vanno lette e interpretate nei limiti in cui alle stesse possa darsi applicazione nel rispetto delle clausole generali e dei principi espressi dal codice di procedura penale, cui è attribuita primazia nella regolazione degli istituti del processo.
Venendo alla questione del deposito degli atti processuali tramite pec deve concludersi che, quando il codice di rito prevede forme o modalità particolari per il deposito dell’atto processuale dallo stesso specificamente individuato, l’intervento d’urgenza introdotto con il DL n. 137 del 2020 non esplica efficacia derogatoria, né, tanto meno, può essere attribuito alcun raggio di azione al provvedimento emesso dall’autorità tecnica che eventualmente intervenga in questa materia.
Manca, del resto, un’espressa deroga, con riguardo all’uso della pec, alle disposizioni normative contenute nel DL n. 193 del 2009 e nel relativo regolamento delegato n. 44 del 2011, sicché la regolamentazione introdotta dal DL n. 173 del 2020 non è in grado di derogare – nella materia delle impugnazioni – alle disposizioni dianzi citate.
Si noti, a conferma di tale impostazione, che l’art. 24, comma 1, DL n. 137 del 2020, che ha introdotto la diversa modalità di deposito tramite portale degli atti della fase ex art. 415-bis cod. proc. pen., contiene, invece, una deroga espressa all’applicazione del DM n. 44 del 2011, il che rafforza, ove ve ne fosse bisogno, le conclusioni dianzi esposte con riguardo al deposito degli atti di impugnazione tramite posta elettronica certificata, modalità che non ha copertura normativa.
2.5.2. L’unico ambito di applicazione della previsione normativa d’urgenza è, quindi, costituito dalla regolamentazione delle modalità di deposito degli atti di parte per i quali il codice di rito non disponga modalità e forme particolari.
È bene ricordare in proposito che la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la validità di forme di deposito non codificate degli atti di parte nell’ambito della clausola generale di cui all’art. 121 cod. proc. pen., escludendo, tuttavia, che tali modalità siano utilizzabili per il deposito degli atti di impugnazione.
Al di fuori delle impugnazioni, si è ad esempio affermato che «la richiesta di incidente di esecuzione può essere recapitata a mezzo di posta ordinaria, tuttavia resta a carico del proponente ogni eventuale conseguenza deR.E.nte dai vizi formali dell’atto – con particolare riguardo all’identificazione del mittente e alla corretta individuazione dell’ufficio destinatario – e dallo strumento prescelto» (Sez. 1, n. 22302 del 06/07/2020, Mirra, Rv. 279521) e che, d’altra parte, «costituisce una causa di rinvio dell’udienza il legittimo impedimento del difensore, purché prontamente comunicato con qualunque mezzo, inclusa la posta elettronica certificata, sicché quando una tale circostanza risulti il giudice che ne abbia conoscenza è tenuto, qualora ne ricorrano i presupposti, a rinviare l’udienza» (Sez. 1, n. 21981 del 17/07/2020, Lungu, non massimata; in generale sull’istanza di rinvio per impedimento trasmessa tramite pec: Sez. 6, n. 54427 del 16/10/2018, Badoer, Rv. 274314; Sez. 6, n. 2951 del 25/09/2019 dep. 2020, Di Russo, Rv. 278127; Sez. 2, n. 47427 del 07/11/2014, Pigionanti, Rv. 260963).
2.6. Deve, quindi, concludersi per l’inammissibilità della proposizione di motivi nuovi (ex artt. 585, comma 4, e 311, comma 4, cod. proc. pen.), inviati dal Pubblico ministero tramite pec alla cancelleria della Corte di cassazione in data 2 novembre 2020, con forme e modalità non conformi alle disposizioni di cui agli artt. 582 e segg. cod. proc. pen., in considerazione della natura tassativa delle modalità di presentazione delle impugnazioni, non derogate per tutte le ragioni sopra esposte dalle previsioni introdotte dall’art. 24, comma 4, DL n. 137 del 2020, e mancando, del resto, l’individuazione, tramite le necessarie norme tecniche, dell’indirizzo elettronico abilitato alla ricezione e delle specifiche tecniche relative ai formati degli atti che possono essere trasmessi.
L’eventuale, successiva, adozione delle specifiche tecniche da parte del direttore generale dei sistemi informativi non varrebbe, per le ragioni dette a proposito dell’ambito di applicazione dell’art. 24 DL n. 137 del 2020, della gerarchia delle fonti e della natura tassativa delle disposizioni che regolano le impugnazioni, ad attribuire efficacia al deposito telematico degli atti di impugnazione, ancorché fossero individuati i formati degli atti e gli indirizzi elettronici; ciò perché — in difetto di una previsione normativa che, in deroga al codice di rito, al DL n. 193 del 2009 e al regolamento di cui al DM n. 44 del 2011, consenta di attribuire valore legale agli atti trasmessi con la pec — non sono state emanate le specifiche di cui all’art. 35 del DM citato chiamate ad abilitare, tra l’altro, l’uso della firma digitale in modo da assicurare la provenienza certa dell’atto dal soggetto di cui deve essere verificata la legittimazione a proporre lo specifico rimedio impugnatorio.
2.6.1. Del resto, manca uno dei presupposti essenziali per attribuire validità legale agli atti elettronici nel processo penale: non è stato, infatti, individuato il reposítory documentale ove far confluire gli atti inviati tramite posta elettronica a norma dell’art. 24, comma 5, DL n. 137 del 2020.
La disposizione stabilisce, infatti, al comma 5 “Ai fini dell’attestazione del deposito degli atti dei difensori inviati tramite posta elettronica certificata ai sensi del comma precedente, il personale di segreteria e di cancelleria degli uffici giudiziari provvede ad annotare nel registro la data di ricezione e ad inserire l’atto nel fascicolo telematico».
Da ciò si desume che l’attestazione di deposito, da cui possono farsi scaturire gli effetti di legge, lungi dal derivare dalla ricevuta di ricezione del messaggio di posta da parte del sistema in uso agli uffici giudiziari, è costituita piuttosto dall’annotazione nel «registro» e dall’inserimento dell’atto nel «fascicolo telematico».
A differenza del processo civile telematico, non risulta allo stato individuato, per gli uffici giudiziari penali, il repository documentale nel quale deve essere inserito e conservato l’atto telematico; si tratta, in effetti, di un archivio elettronico che, a norma dell’art. 20 del CAD, deve rispettare le linee guida emanate in attuazione di detto d.lgs. e, per quanto riguarda l’applicazione in campo giudiziario, le disposizioni di cui all’art. 9 DM n. 44 del 2011, il quale prevede, sotto la rubrica «Sistema informatico di gestione del fascicolo informatico», che «1. Il Ministero della giustizia gestisce i procedimenti utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, raccogliendo in un fascicolo informatico gli atti, i documenti, gli allegati, le ricevute di posta elettronica certificata e i dati del procedimento medesimo da chiunque formati, ovvero le copie informatiche dei medesimi atti quando siano stati depositati su supporto cartaceo. 2. Il sistema di gestione del fascicolo informatico è la parte del sistema documentale del Ministero della giustizia dedicata all’archiviazione e al reperimento di tutti i documenti informatici, prodotti sia all’interno che all’esterno, secondo le specifiche tecniche di cui all’articolo 34. 3. La tenuta e conservazione del fascicolo informatico equivale alla tenuta e conservazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo, fermi restando gli obblighi di conservazione dei documenti originali unici su supporto cartaceo previsti dal codice dell’amministrazione digitale e dalla disciplina processuale vigente. 4. Il fascicolo informatico reca l’indicazione: a) dell’ufficio titolare del procedimento, che cura la costituzione e la gestione del fascicolo medesimo; b) dell’oggetto del procedimento; c) dell’elenco dei documenti contenuti. 5. Il fascicolo informatico è formato in modo da garantire la facile reperibilità ed il collegamento degli atti ivi contenuti in relazione alla data di deposito, al loro contenuto, ed alle finalità dei singoli documenti. 6. Con le specifiche tecniche di cui all’articolo 34 sono definite le modalità per il salvataggio dei log relativi alle operazioni di accesso al fascicolo informatico».
Risultano al momento non individuati i sistemi di gestione documentale degli atti telematici, sicché manca altresì la base normativa per procedere al previsto deposito dell’atto telematico trasmesso ex art. 24, comma 4, DL n. 137 del 2020. Infatti, a eccezione di alcuni uffici giudiziari (prevalentemente le Procure della Repubblica per la fase di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., tanto che per detti uffici è stato previsto l’upload telematico dei documenti proprio dall’art. 24, comma 1, DL n. 137 del 2020), non risulta indicato il repository documentale della Corte di cassazione deputato al deposito telematico degli atti trasmessi tramite pec.
2.7. L’atto trasmesso via pec dal pubblico ministero ricorrente sarà pertanto considerato da questo Collegio alla stregua di una memoria di parte.
3. Il quarto motivo di ricorso, che denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 423 cod. pen., è nel complesso infondato.
3.1. Sono, invero, ai limiti dell’ammissibilità le doglianze sviluppate in punto di diritto perché sono costituite, piuttosto, da censure all’apparato motivazionale che risulta, però, nel complesso immune da vizi.
La motivazione del provvedimento impugnato è logica e coerente, con riguardo alla qualificazione giuridica del reato di cui al capo c), essendosi evidenziata sia la scarsa diffusività dell’incendio sia il fatto che, dal punto di vista soggettivo, l’intenzione degli autori di esso era univocamente diretta a danneggiare la struttura di trasmissione, ma non a provocare una devastazione con un rischio di diffusione delle fiamme.
Il ricorso, che sviluppa prevalentemente censure alla ricostruzione in fatto e alle valutazioni compiute sul punto dal giudice dell’impugnazione cautelare, non è in grado di superare tali logiche conclusioni che si basano su una non contraddittoria valorizzazione di elementi di fatto concernenti l’assenza di capacità di propagazione delle fiamme a causa della conformazione dei luoghi e delle caratteristiche degli strumenti utilizzati per commettere il fatto, oltre che dell’assenza di pericolo di causazione di significativi danni e di messa in pericolo delle strutture di tele-radiodiffusione, in disparte l’incontroversa assenza di pericolo per le persone.
3.2. Anche per quello che riguarda la valutazione dell’elemento psicologico del reato, che costituisce il punto discretivo maggiormente valorizzato dall’ordinanza impugnata, il ricorso non è idoneo a confutare le conclusioni cui sono giunti i giudici del riesame, conclusioni che, del resto, sono conformi all’orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale «i delitti di incendio e di danneggiamento seguito da incendio si distinguono in relazione all’elemento psicologico in quanto mentre il primo è connotato dal dolo generico, ovvero dalla volontà di cagionare l’evento con fiamme che, per le loro caratteristiche e la loro violenza, tendono a propagarsi in modo da creare un effettivo pericolo per la pubblica incolumità, il secondo è connotato dal dolo specifico di danneggiare la cosa altrui, senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche prima indicate o il pericolo di siffatto evento» (Sez. 1, n. 29294 del 17/05/2019, Feno, Rv. 276402).
In proposito i giudici del riesame hanno evidenziato, senza essere specificamente contraddetti dal ricorso, che lo scopo dell’azione, alla luce delle motivazioni ideologiche dei suoi autori — per come ricostruite valorizzando proprio i propositi del gruppo anarchico cui i fatti sembrano riferibili —, era proprio quello di danneggiare le strutture di radio-telecomunicazione, ritenute espressive dell’assoggettamento alle tecnologie da parte delle istituzioni dello Stato e della società nel suo complesso, piuttosto che di causare un pericolo di devastazione di maggiori proporzioni.
3.3. Non colgono, infine, nel segno le questioni concernenti la qualificazione del fatto alla stregua di tentativo di incendio perché, oltre a limitarsi a ipotizzarne la configurabilità, non si confrontano con la decisiva considerazione, in proposito sviluppata dall’ordinanza impugnata, concernente proprio la finalità della condotta materiale, che è stata giudicata incompatibile con il richiesto dolo generico di incendio, mancando il quale viene meno qualunque ipotesi di tentativo.
4. Sono infondate anche le doglianze sviluppate al quinto motivo in merito al reato di cui all’art. 414 cod. pen. contestato al capo b).
4.1. In disparte l’inammissibilità della denunciata violazione di legge, posto che il ricorso non sviluppa alcuna critica in diritto, la motivazione del provvedimento impugnato risulta logica e coerente in relazione alla corretta esclusione delle contestate aggravanti — rispetto alle quali il ricorso non sviluppa critiche specifiche — e della rilevanza penale di alcune condotte.
Alcune delle condotte istigative e apologetiche, nell’ambito di una complessiva tenuta – per altre condotte – dell’ipotesi accusatoria per come confermata anche dal tribunale del riesame, sono state, con motivazione logica e coerente, puntualmente basata su elementi valutativi di merito, ritenute insussistenti perché prive di penale rilevanza.
Il riferimento, che secondo il pubblico ministero ricorrente avrebbe valore centrale, alla idoneità dei messaggi a fungere da elemento di concreta istigazione a delinquere in forza delle caratteristiche del sodalizio da cui promanano, risulta, però, infondato alla luce di quanto si dirà in ordine all’insussistenza del delitto associativo di cui al capo a).
4.2. Del resto, la censura sviluppata dal pubblico ministero ricorrente sovrappone due piani che devono restare distinti: da un lato, la valutazione della idoneità della condotta di istigazione a delinquere e, dall’altro, il contesto di riferimento di coloro che — in ipotesi — la pongono in essere.
Sovrapporre i due piani determina l’illogica conseguenza di ritenere ex se idonea qualunque diffusione di messaggi o idee solo perché posta in essere da un soggetto ritenuto appartenente a una organizzazione terroristica, mentre ciò che rileva sono la capacità e l’idoneità del messaggio a indurre taluno a commettere delitti, mentre l’appartenenza all’organizzazione potrà costituire la spia, qualora il messaggio inciti alla commissione di delitti di terrorismo, dell’eventuale sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 414, quarto comma, cod. pen.
Certo, quando il messaggio proviene da note e riconoscibili organizzazioni terroristiche, la valutazione di merito non potrà non tenere conto che il «marchio di origine» della propalazione costituisce un elemento fortemente indicativo della finalità di istigazione e della stessa capacità di persuasione del messaggio (Sez. 5, n. 1970 del 26/09/2018 dep. 2019, Halili, Rv. 276453, che ha esaminato la diffusione di documenti inneggianti al martirio per lo Stato islamico, alle attività terroristiche dell’Isis e alla figura del suo portavoce, in considerazione della natura di organizzazioni terroristiche delle consorterie di ispirazione jihadista operanti su scala internazionale cui il messaggio si riferisce), ma, quando ciò non è riscontrabile, il giudice di merito è chiamato a uno sforzo ricostruttivo maggiormente penetrante perché rivolto a riscontrare la specifica finalità e idoneità suggestiva della propalazione.
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che «affinché possa ravvisarsi la materialità del delitto di istigazione a delinquere di cui all’art. 414 cod. pen., occorre che sia posta in essere pubblicamente la propalazione di propositi aventi ad oggetto comportamenti rientranti in specifiche previsioni delittuose, effettuata in maniera tale da poter indurre altri alla commissione di fatti analoghi: di talché è indefettibile l’idoneità dell’azione a suscitare consensi e a provocare “attualmente e concretamente” – in relazione al contesto spazio- temporale ed economico-sociale e alla qualità dei destinatari del messaggio – il pericolo di adesione al programma illecito. La valutazione circa la sussistenza di quest’ultimo requisito non può prescindere dalle stesse modalità del comportamento tenuto dal soggetto attivo, sì che il giudice di merito deve individuare il perché la condotta incriminata – assistita dal c.d. dolo istigatorio, consistente nella coscienza e volontà di turbare l’ordine pubblico o la personalità dello Stato – sia da ritenere dotata di forza suggestiva e persuasiva tale da poter stimolare nell’animo dei destinatari la commissione dei fatti criminosi propalati o esaltati» (Sez. 1, n. 10641 del 03/11/1997, Galeotto, Rv. 209166).
4.3. Nel caso di specie, in effetti, il tribunale del riesame ha analizzato, con giudizio di fatto ancorato alle emergenze processuali e perciò non sindacabile in questa sede, la specifica forza suggestiva dei messaggi, senza dimenticare, ai fini della valutazione di idoneità, il contesto dal quale essi provengono, ma appuntando correttamente l’attenzione sull’idoneità a stimolare nell’animo dei destinatari la commissione dei fatti criminosi che, nelle dette occasioni, è stata esclusa per la genericità del messaggio contenuto nello scritto del 7 febbraio 2019.
Di contro, il ricorso si limita a criticare la decisione impugnata, senza riuscire però a indebolirne la capacità persuasiva.
5. Sono nel complesso infondati anche il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso che riguardano il reato associativo di cui al capo a).
5.1. Sono infondate le censure in diritto sulla fattispecie dell’art. 270-bis cod. pen.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che «ai fini della configurabilità del delitto di partecipazione ad un’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico, di cui all’art. 270-bis cod. pen., è sufficiente, in presenza di una struttura organizzata, che la condotta di adesione ideologica del soggetto si sostanzi in seri propositi criminali volti a realizzare una delle finalità associative, senza che sia necessario, data la natura di reato di pericolo presunto, l’inizio della materiale esecuzione del programma criminale» (Sez. 2, n. 14704 del 22/04/2020, Bekaj, Rv. 279408).
Più in particolare, con riferimento alle organizzazioni di matrice anarchica, si è chiarito che «il compimento di atti di violenza di matrice anarchica non consente di ritenere integrato il reato associativo di cui all’art. 270-bis cod. pen., qualora sia supportato da una mera adesione individuale al programma di un’associazione ispirata a tale ideologia, essendo invece necessario che i soggetti agenti abbiano costituito una “cellula” della predetta associazione, o un “gruppo di affinità” alla stessa, alla quale risultino riconducibili le azioni delittuose poste in essere» (Sez. 2, n. 28753 del 01/04/2016, P.G. in proc. Iacovacci, Rv. 267512).
Il tribunale del riesame ha chiarito, con una motivazione immune da vizi logici perché ancorata alle risultanze di fatto che sono state valutate in modo insindacabile in questa sede, che difettano i caratteri propri del reato associativo, non essendo stata ravvisata l’esistenza di una struttura organizzativa stabile finalizzata al compimento di atti terroristici.
Non è, in effetti, sufficiente, contrariamente a quanto ritenuto dal pubblico ministero ricorrente, che gli indagati facciano parte di un gruppo politico aderente all’ideologia anarchica e che altri gruppi, di analoga matrice ideologica, abbiano invece costituito organizzazioni terroristiche a carattere insurrezionale, e che con tali ultime i primi abbiano instaurato non meglio precisati «contatti», perché ciò che difetta è la prova dell’effettiva elaborazione, da parte del gruppo investigato, di un programma delittuoso di natura terroristica, né risulta sufficiente per colmare tale deficit probatorio l’esistenza di contatti con gruppi ritenuti terroristici perché non ne viene illustrata la specificità e rilevanza.
Non è, in effetti, predicabile, soltanto in ragione della comune adesione all’ideologia anarchica, un effettivo e reale «contagio» del gruppo investigato da parte delle idee e finalità terroristiche eventualmente sviluppatesi in altre cellule della galassia anarchica, mentre è richiesto al giudice di merito di fornire la prova di una tale concreta contaminazione che deve portare alla gemmazione di cellule autonome (l’ideologia anarchica confligge con la possibilità di configurare la tipica struttura verticistica delle tradizionali organizzazioni terroristiche), aventi ciascuna le caratteristiche tipiche di cui all’art. 270-bis cod. pen.
Ebbene, nel caso di specie il tribunale del riesame ha correttamente escluso che l’esistenza di generici contatti con altri gruppi della galassia anarchica costituisca indice sufficiente della sussistenza di un gruppo terroristico organizzato.
L’ordinanza del tribunale del riesame è, infatti, esente da critiche perché ha posto in evidenza come, al di là di un generico collegamento con altre organizzazioni anarchiche, non sussiste affatto una condivisione di scopi insurrezionali posta in essere con condotte di tipo terroristico, ciò in forza anche della non illogica valorizzazione di alcune conversazioni e degli stessi comportamenti dei protagonisti della vicenda che si sono, per un verso, dichiarati preoccupati di eventuali più gravi conseguenze che potessero derivare dai comportamenti posti in essere durante le manifestazioni, e, per altro verso, dai concreti comportamenti in occasione dei cortei che, al di là di qualche imbrattamento e danneggiamento, non hanno mai posto in concreto pericolo o dimostrato di voler porre in concreto pericolo l’incolumità pubblica.
5.2. D’altra parte, come neppure risulta specificamente avversato dal ricorso, i programmi di azione e le concrete manifestazioni esteriori del gruppo investigato, secondo la motivata e logica valutazione compiuta dal tribunale del riesame, non hanno raggiunto quella soglia di concretezza da cui possa inferirsi il perseguimento di seri propositi criminali, essendo piuttosto necessaria la sussistenza di una struttura criminale che si prefigga la realizzazione di atti violenti qualificati da detta finalità e abbia la capacità di dare agli stessi effettiva realizzazione, non essendo sufficiente una mera attività di proselitismo e indottrinamento (Sez. 5, n. 48001 del 14/07/2016, Hosni, Rv. 268164).
In proposito, il tribunale del riesame, che sul punto è solo genericamente avversato dal ricorso, ha, in realtà, precisato che sono emersi elementi di segno opposto rispetto alla paventata seria proposizione di progetti criminosi; gli indagati, in non sporadiche occasioni, hanno piuttosto espresso preoccupazione per le possibili azioni violente che avrebbero potuto essere poste in essere da terzi approfittando delle manifestazioni di protesta organizzate dal gruppo, mentre in altre occasioni i soggetti più movimentisti, preso atto dell’impossibilità di fare ricorso alla violenza nell’ambito delle attività del gruppo, hanno manifestato la volontà di aggregarsi a gruppi ultras dell’area calcistica per dare sfogo alle proprie pulsioni violente che in detto contesto, non infrequentemente, trovano condivisione e concreta realizzazione.
5.3. Il tribunale del riesame ha, infine, esaminato, con una motivazione immune da vizi logici, la tematica del possesso di armi e di altri strumenti che possano risultare espressivi di propositi violenti.
Si è anzitutto fatto notare, senza che il ricorso sviluppi critiche specifiche, che non sono state rinvenute armi, ma unicamente artifici pirotecnici, aste e bastoni impiegati, come risulta dal rinvenimento contestuale di vessilli, per dispiegare bandiere o altri stendardi, mentre l’accertato acquisto da parte di un indagato di alcune maschere antigas, oltre a essere logicamente ascritto a una specifica iniziativa del singolo, piuttosto che del gruppo, — tanto è vero che poi egli ne ha cedute alcune dietro corrispettivo ad altri soggetti del gruppo e a terzi —, non è apparso deliberato dal gruppo e tanto meno finalizzato al compimento di azioni violente quanto, piuttosto, a scopi protettivi in vista di possibili azioni delle forze dell’ordine in occasione delle manifestazioni di piazza, non assumendo, del resto, specifico rilievo la circostanza, ipotizzata in una informativa di polizia, che l’acquisto di maschere sia stato in seguito reiterato, non risultando un diverso scopo di esso.
5.4. È inammissibile e manifestamente infondato il terzo motivo che denuncia l’omessa riqualificazione del reato di cui all’art. 270-bis cod. pen. nell’ipotesi associativa base di cui all’art. 416 cod. pen.
In disparte la genericità della deduzione, che di per sé comporta l’inammissibilità del motivo di ricorso, perché priva di substrato argomentativo a sostegno della proposta riqualificazione, non può farsi a meno di notare che i caratteri propri del reato di cui all’art. 416 cod. pen. sono estranei alla contestazione formulata, che, come noto, è caratterizzata dalla forte anticipazione della soglia di punibilità di condotte che, se poste sotto l’ombrello repressivo dell’art. 416 cod. pen., sarebbero verosimilmente irrilevanti dal punto di vista penale.
Nel caso di specie, come si è visto, è risultato mancare un progetto delittuoso e la programmazione di una serie indeterminata di reati-fine, sicché non risulta ipotizzabile la riqualificazione ex art. 416 cod. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.