CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32619 depositata il 1° settembre 2021
Reati tributari – Emissione di fatture per operazioni inesistenti – Condotte criminose – Misura cautelare degli arresti domiciliari
Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Bologna, quale giudice del riesame cautelare personale, con ordinanza del 20 ottobre 2020, ha solo in parte accolto la istanza di riesame presentata da B.G. avverso la ordinanza con la quale, in data 7 settembre 2020, il Gip del Tribunale di Reggio Emilia aveva applicato a suo carico la misura cautelare degli arresti domiciliari, avendo ritenuto sussistere, oltre alle esigenze cautelari legate al pericolo di reiterazione delle condotte criminose, gravi indizi di colpevolezza in danno di quello in ordine ad una ipotesi di associazione per delinquere, finalizzata alla commissione di reati tributari, della quale il B., unitamente a numerose altre persone, sarebbe stato partecipe, nonché in relazione a diversi altri reati fine, relativi alla emissione di fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi la evasione delle imposte sul valore aggiunto e sui redditi; all’occultamento o distruzione di scritture contabili delle quali è obbligatoria la conservazione al fine di rendere difficoltosa la ricostruzione dello stato reddituale della ditta individuale da lui gestita; alla omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, quale amministratore di fatto della L.T. Srl relativamente all’anno di imposta 2014 ed all’autoriciclaggio.
Come detto il giudice del riesame, nel riformare parzialmente la ordinanza impugnata, ha ritenuto non ricorrere un’adeguata gravità indiziaria quanto ad una delle ipotesi di emissione di fatture per operazioni inesistenti, sia pure limitatamente al periodo di tempo antecedente alla assunzione della amministrazione di fatto della società cartiera da parte del B., ed al reato di autoriciclaggio ed ha, pertanto, annullato l’ordinanza cautelare quanto ad essi, disponendo la liberazione del B. in relazione ai reati in questione; liberazione che, tuttavia, è rimasta in sostanza ineseguita, essendo stato confermato il provvedimento cautelare quanto ai restanti reati in provvisoria contestazione.
Avverso la predetta ordinanza ha interposto ricorso per cassazione il B., affidando le sue lagnanze a otto motivi di doglianza.
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente si è doluto del fatto che non siano stati trasmessi al Tribunale del riesame tutti gli atti di indagine sulla base dei quali è stata emessa la misura.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente ha lamentato la omessa motivazione della ordinanza impugnata in relazione alla denunziata inutilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie rese dal teste S.
Il terzo motivo di ricorso attiene alla ritenuta apparenza della motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia.
Con il quarto motivo di ricorso è stata denunziata la carenza di motivazione in relazione alla censura riguardante il giudizio di attendibilità riservato alle dichiarazioni accusatorie rese dallo S.
Il quinto motivo di censura riguarda, sempre con riferimento alla attendibilità dello S., la dedotta violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. e la contraddittorietà ed illogicità della motivazione della ordinanza impugnata.
Il sesto motivo riguarda il fatto che nella ordinanza del Tribunale del riesame siano stati esaminati anche taluni capi di imputazione provvisoria in relazione ai quali la stessa ordinanza genetica del Gip di Reggio Emilia aveva escluso la sussistenza della gravità indiziaria.
Il settimo motivo ha ad oggetto il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del reato di associazione per delinquere.
Infine, l’ottavo motivo è concernente la motivazione, ritenuta solo apparente, in tema di ricorrenza delle esigenze cautelari.
Avendo il Procuratore generale rassegnato le proprie conclusioni scritte nel senso della inammissibilità del ricorso, con memoria del 14 aprile 2021 la difesa del ricorrente ha argomentatamente insistito, invece, per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso proposto è risultato inammissibile e, pertanto, lo stesso per tale deve essere dichiarato.
Procedendo nell’esame dei motivi di impugnazione secondo lo stesso ordine della prospettazione di essi formulato dalla ricorrente difesa, osserva il Collegio che il primo motivo è inammissibile.
Deve, infatti, rilevarsi che, nell’indicare gli atti la cui trasmissione al Tribunale del riesame sarebbe asseritamente stata omessa da parte del Pm procedente, il ricorrente ha fatto riferimento a) al “decreto del Pm”, atto dalla non chiara collocazione sistematica (fattore questo che già di per sé determinerebbe, con riferimento allo specifico punto controverso, la inammissibilità della doglianza del ricorrente stante la sua genericità) che, laddove sia indentificato nell’atto con il quale il Pm ha fatto richiesta di emissione della misura cautelare, non rientra fra quelli che debbono essere trasmessi al Tribunale del riesame, non essendo un atto di indagine; b) la fonoregistrazione dell’interrogatorio di garanzia reso dal B., in relazione al quale si osserva, intanto che non vi è alcuna prova del fatto che siffatta operazione fu registrata con strumenti elettronici, ed altresì che non vi era alcuna necessità di trasmetterla, laddove sia stato trasmesso, come deve ritenersi dato il fatto che non è stata allegata dal ricorrente anche la omissione della trasmissione di tale altro documento, il verbale, redatto in forma sintetica, delle dichiarazioni dell’indagato, verbale che, per essere stato da questi sottoscritto deve presumersi corrispondere al l’effettività di quanto dallo stesso dichiarato nel corso dell’interrogatorio; c) la trascrizione del contenuto di un’intercettazione che si riferisce essere stata menzionata nella ordinanza genetica, ma il cui contenuto non è fra gli atti trasmessi per il riesame, sul punto si rileva che la doglianza è piuttosto generica, atteso che non si chiarisce in che termini il contenuto della conversazione telefonica oggetto del mancato deposito della sua trascrizione – senza che peraltro sia mai stato contestato il fatto naturale che tale conversazione sia effettivamente intervenuta – abbia inciso ai fini della adozione della misura in questione.
Passando al secondo motivo di ricorso, riguardante l’omessa motivazione in relazione alla inutilizzabilità, in quanto non raccolte con le garanzie di cui all’art. 63 cod. proc. pen., delle dichiarazioni accusatorie dello S., si osserva, segnalando la derivante inammissibilità per manifesta infondatezza della censura, che, conformemente ai condivisibili rilievi del Procuratore generale, il motivo di impugnazione non pare essere correttamente parametrato sull’effettivo contenuto della motivazione della ordinanza impugnata, posto che in essa sono state plausibilmente chiarite le ragioni per le quali la posizione dello S., al momento in cui questi ha reso le sommarie informazioni in qualità di persona informata sui fatti e non di indagato, non era tale da fare presumere che egli avrebbe potuto essere, appunto, indagato.
Peraltro, nella ordinanza è stato altresì precisato che le dichiarazioni accusatorie dello S. erano anche integrate dal contenuto della denunzia querela da questi sporta il 6 marzo 2017, atto questo che, per essere spontaneamente presentato dal dichiarante, esula indubbiamente dal paradigma normativo di cui all’art. 63 cod. proc. pen.
Riguardo al terzo motivo di ricorso, con il quale è lamentata la apparente motivazione sul punto decisivo ai fini della soluzione data al ricorso in sede di riesame, cioè sulla conservazione in capo allo S. della posizione di amministratore della società, pur a distanza di tempo dalla formale dismissione della carica, si osserva che la censura appare destinata non a contestare la motivazione della ordinanza impugnata ma risulta essere finalizzata a richiedere a questa Corte un inammissibile complessivo riesame di una considerevole parte del materiale probatorio richiamato dal ricorrente e, di fatto, non prende in esame la giustificazione con la quale il Tribunale felsineo ha chiarito le ragioni per le quali lo S., pur cessato dalla carica rappresentativa di taluna delle società coinvolte nella operazione illecita, aveva comunque conservato un interesse personale, legato al fatto che aveva conservato alcune deleghe operative, alla verifica della gestione della Società in precedenza da lui amministrata.
Riguardo al quarto motivo di impugnazione,, il cui contenuto, sviluppato da parte ricorrente anche nel corso della memoria illustrativa del 14 aprile 2021, è riferito al vizio di motivazione in ordine alla valutazione della attendibilità delle dichiarazioni del teste S., trattasi all’evidenza di questione che involge valutazioni di merito (in tal senso: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 16 marzo 2020, n. 10153), ed essa è pertanto inammissibile in sede di legittimità, tanto più ove il procedimento si trovi ancora, come nella presente occasione, nella sua fase cautelare.
Il quinto motivo, riguardante la contraddittorietà della motivazione della ordinanza impugnata e la ritenuta violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., è argomentato sulla base di un presupposto, cioè che la posizione dello S. sia in tutto e per tutto assimilabile a quella del chiamante in correità, che appare essere frutto di un’autentica petizione di principio, posto che siffatta posizione non è desumibile attraverso sforzi di carattere interpretativo, ma è ricavabile dal fattore oggettivo che il soggetto cui si attribuisce questa qualifica abbia concorso, o quanto meno sgravato da indizi di colpevolezza quanto alla sua partecipazione concorsuale, in un reato con l’individuo interessato dalle dichiarazioni del primo.
Posto che non risulta che lo S. sia indagato unitamente al B. in alcuno dei delitti provvisoriamente contestati a questo, la doglianza formulata dal ricorrente è priva del suo presupposto logico ed è, pertanto, inammissibile.
Quanto al sesto motivo di impugnazione, con il quale è segnalata la circostanza che la ordinanza del Tribunale del riesame abbia motivato anche in ordine a due aspetti della provvisoria imputazione in relazione ai quali, essendo stati esclusi i gravi indizi di colpevolezza del B. già da parte del Gip del Tribunale di Reggio Emilia, la misura cautelare richiesta dal competente Pm non era stata disposta, si rileva che la doglianza è inammissibile per evidente carenza di interesse; infatti, l’eventuale errore in cui sarebbe caduto il Tribunale del riesame, stante la natura impugnatoria del giudizio di riesame, per il quale vale evidentemente il principio del divieto di reformatio in pejus, in assenza di impugnazione (peraltro neppure ammissibile nella forma pura del riesame) da parte del Pm, non sarebbe stato possibile al Tribunale di Bologna estendere l’applicazione della misura anche ad ipotesi di reato non originariamente contemplate dalla ordinanza applicativa della misura cautelare.
Siffatta impossibilità – in relazione alla quale il ricorrente non ha evidenziato elementi che possano fare ritenere che, diversamente provvedendo, il Tribunale abbia violato i propri limiti operativi, provvedendo a disporre la misura cautelare anche per ulteriori reati rispetto a quelli originariamente presi in considerazione del Gip di Reggio Emilia – rende pacificamente privo di interesse il ricorso del B. sul punto, posto che lo stesso attiene ad una violazione esclusivamente formale, l’avere cioè provveduto su aspetti non rilevanti della ordinanza impugnata, che non ha avuto alcuna ricaduta negativa quanto alla posizione sostanziale del ricorrente.
Venendo, a questo punto al settimo motivo di doglianza, riferito alla carenza e illogicità della motivazione della ordinanza censurata in relazione alla ritenuta ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza relativi al reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati in materia tributaria, si osserva che con esso il ricorrente, lungi dal contestare sotto il profilo della sua manifesta illogicità il procedimento inferenziale attraverso il quale i giudici del merito hanno ritenuto sussistere il reato di carattere associativo, si è limitato a proporre una diversa lettura degli elementi indiziari in base ai quali, invece, dapprima il Gip di Reggio Emilia e, quindi, il Tribunale di Bologna hanno ritenuto sussistere gli elementi posti a giustificazione, quanto alla associazione per delinquere, della impugnata misura.
Come, infatti, questa Corte ha chiarito, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Corte di cassazione, Sezione II penale, 24 giugno 2019, n. 27866).
Passando, infine all’ottavo ed ultimo motivo di doglianza, questa volta riferito alla apparenza della motivazione della ordinanza impugnata in punto di sussistenza delle esigenze cautelari, si rileva che parte ricorrente ha contestato il fatto che nella ordinanza impugnata siffatte esigenze siano state ritenute ricavabili, più che dalla effettiva, concreta ed attuale, possibilità per l’indagato di reiterare reati della stessa specie di quelli di cui alla provvisoria imputazione, dalla asserita gravità delle condotte in questione e dalla storia “giudiziaria” del B.
Si tratta, anche in questo caso, di argomenti non utilmente spesi dalla ricorrente difesa.
Quanto al secondo, è jus receptum che ai fini della sussistenza del pericolo di recidivanza, rilevante ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari atte a giustificare, ricorrendo anche gli ulteriori elementi a ciò necessari, la adozione di misure cautelari personali, è in facoltà della Autorità giudiziaria valutare non solo i precedenti penali del soggetto interessato, ma anche i suoi precedenti giudiziari, sebbene non sfociati in sentenza di condanna definitive, posto che si tratta di elementi che rilevano in ogni caso in cui debba essere operata una valutazione della personalità dell’imputato ovvero anche dell’indagato (Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 maggio 2017, n. 24123; idem Sezione VI penale, 24 agosto 2006, n. 29405).
Quanto alla perdurante attualità e concretezza delle esigenze poste a fondamento della misura, questi requisiti sono stati del tutto plausibilmente ritenuti sussistere in funzione non, come sostenuto dalla ricorrente difesa, della gravità delle condotte provvisoriamente attribuite al B., ma in ragione della sua particolare qualificazione professionale, dallo stesso messa, evidentemente, a servizio, con sofisticato impegno e ampia spendita di relazioni personali, di interessi ed intenti delittuosi, tale da potere far ragionevolmente presumere che, ove si riproponessero le medesime condizioni di cui alla vicenda oggetto di interesse giudiziario, lo stesso, per altro apparentemente allo stato privo di una lecita occupazione, si presterebbe nuovamente al loro asservimento a finalità illecite, e del fatto che il B. non risulta avere preso le distanze sia dalle sue precedenti scelte professionali sia da taluno dei soggetti con i quali aveva stretto i vincoli associativi di cui alla imputazione provvisoriamente contestatagli.
Anche l’ottavo motivo di censura formulato dalla ricorrente difesa appare, pertanto, manifestamente infondato ed esso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile.
Al complessivo giudizio di inammissibilità del ricorso presentato dalla difesa del B. consegue, visto l’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di quest’ultimo al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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