CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32628 depositata il 1° settembre 2021
Reati tributari – Dichiarazione infedele – Indicazione di costi maggiori rispetto a quelli reali – Evasione d’imposta – Sospensione del procedimento per essere ammesso alla messa alla prova – Presupposto – Risarcimento del danno cagionato dalla condotta illecita
Ritenuto in fatto
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vicenza ha, con ordinanza del 18 novembre 2020, rigettato la istanza con la quale N.L. – in sede di udienza preliminare celebrata in relazione alle imputazioni a lui contestate, aventi ad oggetto la commissione di reati a carattere fiscale – aveva chiesto la sospensione del procedimento penale a suo carico per essere ammesso alla messa alla prova, ai sensi dell’art. 168-bis cod. pen.
Il citato Gip ha rigettato la predetta istanza in quanto a suo avviso, ai sensi del comma 2 della norma sopraindicata “la sospensione del procedimento con la messa alla prova richiede quale condizione essenziale l’intervenuto risarcimento del danno cagionato dalla condotta illecita”.
Ha interposto ricorso per cassazione avverso la ordinanza la difesa del N., avendo osservando, in esito ad una ampia ricostruzione delle vicende che ne hanno preceduto la adozione, che il Tribunale di Vicenza avrebbe fatto cattiva applicazione della disposizione di cui all’art. 168-bis cod. pen., ed avrebbe non correttamente motivato il suo rigetto, posto che ai fini della messa alla prova non è richiesto che il risarcimento del danno debba considerarsi condicio sine qua non per ottenere la sospensione del procedimento, prevendendo la norma in questione che il risarcimento debba avvenire solo ove possibile.
Considerato in diritto
Il ricorso, essendo risultato manifestamente infondato il motivo posto a suo sostegno, è inammissibile.
Deve, infatti, premettersi che l’art. 168-bis cod. pen. prevede che la ammissione alla messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte, fra l’altro, al “risarcimento del danno cagionato dal reato”.
Tale disposizione è stata intesa dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, nel senso che, unitamente alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, anche il risarcimento del danno patito dalla persona offesa, costituisce un presupposto imprescindibile per la corretta applicazione dell’istituto (Corte di cassazione, Sezione V penale, 7 luglio 2017, n. 33277).
Posto che nel caso ora in esame il ricorrente – il quale deve rispondere di una serie di reati tributari (in particolare della violazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere indicato nelle dichiarazioni dei redditi presentate relativamente agli anni di imposta 2012, 2013 e 2014 in qualità di imprenditore individuale costi maggiorati rispetto a quelli reali, in tal modo conseguendo un indebito vantaggio fiscale pari, rispettivamente, ad euro 188.173,62, ad euro 217.813,77 ed a euro 265.880,03) dai quali è indubbiamente derivato un danno, pari al complessivo ammontare delle imposte evase, per la persona offesa, da identificarsi nella Amministrazione delle finanze statali – nel suo ricorso non ha assolutamente fatto cenno all’avvenuto ristoro del danno in tal modo inferto, deve ritenersi che il Gip del Tribunale di Vicenza, negando l’accesso del N. alla messa alla prova per mancanza dei necessari presupposti, abbia legittimamente dato applicazione dalla disposizione codicistica che tale ammissione subordina a determinate condizioni, nel caso in esame non verificatesi.
La manifesta infondatezza del ricorso, dalla quale deriva la sua inammissibilità, comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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