CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32655 depositata il 2 settembre 2021
Reati tributari – Sentenza di condanna – Ricorso in cassazione – Riproduzione integrale e pedissequa del contenuto dell’atto di appello – Inammissibilità
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Trento confermava la pronuncia emessa dal Tribunale di Trento e appellata dall’imputato, la quale aveva condannato D. L. alla pena ritenuta di giustizia in relazione ai seguenti delitti: art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, perché, quale titolare dell’omonima ditta individuale svolgente commercio di autoveicoli, effettuava nell’anno 2014 acquisti intracomunitari per euro 587.725 euro, senza adempiere all’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale I.V.A., di cui si sarebbe dovuta dichiarare un’imposta di almeno 104.341,31 euro (capo A); art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, perché, nella veste sopra indicata, al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occultava o distruggeva le scritture contabili e i documenti di cui è obbligatoria la conservazione (fatture di acquisto e vendita) in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari inerenti agli anni 2014 e 2015 (capo B).
2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il ministero del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione articolato in un unico e composito motivo, con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 605 e 546 cod. proc. pen. Dopo aver esposto la disciplina del “regime del margine” – vale a dire quel regime speciale i.v.a. previsto per i “rivenditori di beni usati”, tra cui potenzialmente rientrano le autovetture – applicabile allo scambio intracomunitario tra soggetti passivi di imposta di cui all’art. 36 d.l. n. 41 del 1995, evidenzia il difensore che il L. ben poteva accedere a detto regime, contrariamente da quanto riferito dal teste C., non essendovi prova, a dire del ricorrente, che il concessionario tedesco abbia o meno assolto al pagamento dell’i.v.a. o che essa sia stata assolta dall’eventuale privato, che abbia venduto la vettura al concessionario tedesco, il quale l’ha poi rivenduta al L.. Quanto al delitto di cu al capo B), esso sarebbe insussistente, perché le fatture vere sono state rinvenute nel computer sequestrato al L. e le restanti sono state consegnate dal commercialista alla polizia giudiziaria in occasione della perquisizione locale. Infine, si lamenta che le circostanze attenuanti generiche siano state negate solo sulla base dei soli precedenti penali.
3. Il ricorso è inammissibile perché totalmente generico.
4. Secondo l’univoco orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti dal giudice del gravame, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito puntualmente e logicamente argomentate, sia per la genericità delle doglianze che così come prospettate solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (cfr. Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 – dep. 28/10/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014 – dep. 13/03/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009 – dep. 14/05/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).
Infatti, come costantemente affermato dalla Corte di legittimità (ex plurimis, Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, Ruci, Rv. 267611; Sez.6, n.8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, la quale si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con la specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento che si contesta.
5. Un principio del genere vale, a fortiori, nel caso in cui, come quello in esame, il ricorso per cassazione riproduca integralmente l’atto di appello; infatti, dopo una brevissima introduzione in cui sì lamenta che la sentenza impugnata abbia fatto rinvio per relationem alla decisione di primo grado, il ricorso – da p. 5, dalla frase “In particolare, la sentenza impugnata”, a p. 10, sino alle parole “anche la concessione dell’indulto” – è identico all’atto di appello.
6. Un ricorso così confezionato – che si limiti, cioè, a riprodurre integralmente e pedissequamente il contenuto dell’atto di appello -, è per sua natura inammissibile perché, per un verso, è totalmente articolato in fatto, laddove procede a una contestazione delle prove, e, per altro verso, e soprattutto, l’oggetto della critica è rappresentato non dalle ampie e diffuse argomentazioni della sentenza impugnata, che non sono minimamente considerate, ma unicamente da quelle poste a fondamento della decisione emessa dal Tribunale.
A differenza di quanto opinato dal ricorrente, la Corte di merito ha integrato la motivazione della sentenza di primo grado, e, in particolare, quanto al capo A), dopo aver dettagliatamente esposto il compendio probatorio e proceduto a una minuziosa ricostruzione della vicenda (p. 9-13 della sentenza impugnata), ha spiegato che, dalle fatture vere trasmesse dall’autorità tedesca, risulta che il venditore avesse portato in detrazione l’i.v.a. in Germania e, pertanto, il L. avrebbe dovuto pagarla, in regime ordinario, prima dell’immatricolazione delle vetture, il che non è avvenuto. Al contrario, come ritenuto dalla Corte d’appello, il L. si è dolosamente adoperato per produrre fatture false all’autorità italiana, in modo da simulare la sussistenza delle condizioni per l’assolvimento dell’i.v.a. in regime del margine, al fine di evadere l’imposta dovuta.
Quanto poi al capo B), la Corte distrettuale ha stimato errato l’assunto difensivo, secondo cui le fatture vere fossero state rinvenute nel computer del L., in quanto non solo furono trovate solo venti fatture su circa settantaottanta trasmesse all’autorità tedesca, ma – e soprattutto – egli distrusse od occultò quelle vere e fornì quelle false al proprio commercialista.
7. Orbene, a fronte di un simile apparato argomentativo, che fornisce una puntuale risposta ai motivi che erano stati dedotti con l’appello, il ricorso difetta di qualsivoglia confronto critico, proprio perché, essendo identico all’appello, si misura unicamente con la motivazione della sentenza di primo grado, il che, all’evidenza, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione.
8. Essendo, perciò, il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.