CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32893 depositata il 31 agosto 2021
Reati tributari – Cessione di ramo d’azienda – Dissimulata cessione d’azienda con esclusione dei debiti tributari – Sottrazione fraudolenta di imposte ex art. 11 D. Lgs. n. 74/2000
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 21.1.2021 il Tribunale di Napoli, adito in sede di riesame, ha confermato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto avente ad oggetto, fra l’altro, le quote societarie della Manifattura A. s.r.l. in relazione al reato di sottrazione fraudolenta di imposte ex art. 11 d.lgs. 74/2000 per il quale sono stati indagati G.A., n.q. di legale rappresentante della A.I., s.r.l. e A.A., n.q. di legale rappresentante della Manifattura A. s.r.l., per aver con atto del 16.5.2016 il primo, in presenza di un’esposizione debitoria nei confronti del Fisco di circa 3.800.000 euro per IVA ed IRAP inevase, ceduto al secondo apparentemente un ramo di azienda avente ad oggetto la produzione di capi di abbigliamento al prezzo di 79.000 euro e dopo qualche mese vendutogli anche le rimanenze delle merci in magazzino al prezzo di circa 800.000 euro quantunque il valore complessivo fosse stato stimato in bilancio in € 1.765.000, nella realtà dissimulante invece la cessione dell’intera azienda ad esclusione dei debiti tributari rimasti in capo alla cedente che, dopo aver cessato l’attività, veniva dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Napoli in data 31.1.2019.
2. Avverso il suddetto provvedimento L.A., subentrata avendo acquistato nel giugno 2017 la totalità delle quote nella legale rappresentanza della Manifattura A. s.r.l., qualità nella quale aveva svolto anche l’istanza di riesame finalizzata all’annullamento del provvedimento di sequestro, ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale lamenta, pur precisando la sua estraneità ai fatti ma al contempo il proprio interesse ad agire in quanto soggetto avente diritto alla restituzione delle quote societarie attinte dalla misura cautelare, che la motivazione resa in ordine ai presupposti del sequestro sia solo apparente con conseguente vizio di violazione di legge. Contesta in particolare che i giudici del riesame abbiano integralmente tralasciato una pluralità di elementi addotti dalla difesa, quali: a) la prova, fornita attraverso una relazione tecnico-contabile, che il prezzo della cessione di azienda fosse stato determinato con il criterio del valore contabile dei beni esistenti, ovverosia secondo il valore di acquisto previa detrazione del costo della quota di ammortamento; b) la prova del suo pagamento integrale; c) la prova che il prezzo della cessione delle merci corrispondesse al costo sostenuto; d) la verosimile quantificazione del prezzo delle ulteriori rimanenze di magazzino in considerazione dell’abbattimento del valore dei capi di abbigliamento risalenti ad anni precedenti e perciò non più appetibili in un settore contraddistinto dai mutamenti della moda; e) la tracciabilità dei pagamenti per la parte non oggetto di compensazione con la fattura emessa dalla società cessionaria per € 549.000; f) il fatto che la Manifattura A. fosse un soggetto costituito nel 2013 con la denominazione “B.B. s.r.l.” e dunque operativa sul mercato in data antecedente alla cessione del ramo di azienda da parte della A. Italia s.r.l.; g) la mancata dimostrazione, neppure a livello di fumus, ad opera della pubblica accusa della pretesa intestazione fittizia delle quote alla Manifattura A.. Contesta altresì il periculum in mora in mancanza dei requisiti della concretezza e dell’attualità atteso che le quote della cessionaria non risultavano intestate agli indagati A.A. e G.A., né tanto meno nella loro disponibilità.
Considerato in diritto
Il ricorso non può essere ritenuto ammissibile.
Le censure articolate con il presente ricorso, lungi dall’individuare una carenza motivazionale in ordine ai presupposti della misura, la quale soltanto fra i vizi della motivazione integra la violazione di legge che consente di proporre, in conformità a quanto disposto dall’art. 325 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di sequestro, sono invece dirette a contestare la logicità e completezza di un percorso argomentativo, al contrario, contraddistinto da coerenza ed esaustività ed esente da illogicità alcuna. Non potrebbe in nessun caso versarsi in ipotesi di motivazione apparente, venendo evidenziati dall’ordinanza impugnata una pluralità di elementi, quali la medesima composizione della società cedente e della cessionaria entrambe partecipate al 50% dai due indagati, la promiscuità dei locali sedi delle rispettive attività commerciali, l’identità dell’oggetto sociale, nonché dei clienti e dei fornitori, volti a lumeggiare la sostanziale assenza di soluzione di continuità tra le due società.
La ricorrente peraltro attacca il provvedimento in esame senza individuarne le ragioni fondanti costituite, in presenza dell’ipotizzata operazione di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, dalla dispersione della garanzia patrimoniale rappresentata per l’Erario, creditore della somma di oltre € 3.800.000 nei confronti della A. Italia s.r.l., dal patrimonio della stessa società che, attraverso una fittizia cessione di ramo di azienda, era stato invece integralmente trasferito alla società Manifattura A. s.r.l. nell’amministrazione della quale era subentrata, successivamente al tempus commissi delicti, l’A.. La difesa, nel concentrare le dispiegate doglianze nell’evidenziazione della corrispondenza tra il prezzo di cessione ed il valore effettivo dei cespiti ceduti, a suo avviso costituito non già dal prezzo di mercato bensì dal loro valore contabile, nonché della costituzione della società cessionaria in epoca antecedente alla cessione, tralascia integralmente il rilievo, per vero centrale, dell’ordinanza impugnata, secondo il quale l’intera azienda, comprensiva dei macchinari per la produzione, delle strumentazioni di ufficio, dei software, degli accessori, dei contratti, del personale e di tutte le merci, era stata di fatto trasferita, ad eccezione soltanto dei debiti, compresi quelli fiscali, alla cessionaria, dissimulando perciò la cessione di ramo di azienda, formalmente posta in essere, l’alienazione di tutti i cespiti della società, così da svuotarne integralmente il patrimonio nel quale erano state lasciate solo le poste di segno negativo.
Perciò quand’anche il prezzo pattuito corrispondesse all’effettivo valore dei beni ceduti, deduzione questa che peraltro la difesa si limita ad ipotizzare come presumibile per le rimanenze di magazzino ventilando l’ipotesi che potesse trattarsi di capi di abbigliamento di anni precedenti, non viene in alcun modo confutata la simulazione relativa del negozio traslativo stante la non corrispondenza, così come ritenuto dai giudici del riesame, dello schema negoziale utilizzato alla effettiva volontà dei contraenti, volta, invece, alla cessione dell’intera azienda depurata dai debiti ad un altro soggetto (la Manifattura A., nella specie cessionaria) ai fini della continuità dell’ intera attività imprenditoriale, senza che il Fisco potesse più agire esecutivamente per il recupero del credito nei confronti della società inadempiente (cedente), privata della consistenza patrimoniale attiva configurante la garanzia del creditore. Invero in tanto può ipotizzarsi una cessione di ramo di azienda, in quanto una parte dell’azienda, intesa come complesso dei beni organizzati per l’esercizio di un’impresa, resti nella titolarità della parte cedente, evenienza questa radicalmente esclusa nel caso di specie in cui quanto rimasto in capo alla A. Italia, ovverosia i soli debiti pregressi, non consentiva in alcun modo l’esercizio dell’attività imprenditoriale, tanto è vero che la stessa dopo aver cessato, gioco forza, ogni attività, è stata dichiarata fallita.
Segue all’esito del ricorso la condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi, alla luce della sentenza del 13 giugno 2000 n.186, per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 3641 depositata il 13 settembre 2022 - Il delitto di sottrazione fraudolenta è reato di pericolo, integrato dal compimento di atti simulati o fraudolenti volti a occultare i propri o altrui beni, idonei…
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 36955 depositata il 3 settembre 2019 - In tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, gli atti dispositivi compiuti dall'obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l'esecuzione…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 30032 depositata il 2 agosto 2021 - Anche ai reati di cui all'art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000 è configurabile il concorso tra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 15026 depositata il 21 aprile 2021, n. 15026 - Responsabilità dell'amministratore di fatto per i reati di omessa dichiarazione e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte - In tema di reati…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 33417 depositata il 27 novembre 2020 - Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all'art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, qualora si articoli attraverso il compimento di una…
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 6926 depositata il 21 febbraio 2020 - In tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, gli atti dispositivi compiuti dall'obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l'esecuzione…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…
- L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione
L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione, infatti il risparmio fiscale…
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…
- E illegittimo il licenziamento del dipendente in m
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8381 depositata…
- Illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9937 depositata…