CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32929 depositata il 6 settembre 2021, n. 32929
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Bancarotta fraudolenta patrimoniale – Distrazione dell’avviamento commerciale dell’azienda – Esclusione – Trasferimento in assenza di corrispettivo – Subentro nei rapporti con fornitori e clienti, assunzione di alcuni dipendenti della società fallita
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del 18 gennaio 2018 del Tribunale di Milano, che, tra l’altro, per quanto di interesse in questa sede, ha affermato la penale responsabilità di D.M. per il delitto di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale e lo ha condannato alla pena di anni tre di reclusione, oltre alla pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici ed alle pene accessorie di cui all’ultimo comma dell’art. 216 r.d. n. 267 del 1942, la cui durata è stata fissata in anni dieci.
Con la sentenza di primo grado il M. è stato condannato per avere concorso con M.D., amministratore di fatto della V. s.r.l., dichiarata fallita il 29 novembre 2012, alla distrazione dell’azienda della società suddetta in favore della N.M. s.r.l., di cui il M. era amministratore di diritto.
Secondo l’ipotesi accusatoria, accolta dalle due sentenze di merito, M.D., amministratore di fatto della V. s.r.l., avendo compreso che questa, da poco posta in liquidazione, era ormai destinata al fallimento, aveva creato la N.M. s.r.l. della quale era divenuto amministratore di diritto il M., venendo anch’essa di fatto gestita dal D., che aveva operato in modo che i clienti ed i fornitori della V. s.r.l. diventassero clienti e fornitori della N.M. s.r.l. presso la quale sono stati pure assunti i lavoratori maggiormente in grado, per capacità e competenze acquisite, di consentire alla nuova società di subentrare nell’attività commerciale svolta dalla fallita; anche le merci inizialmente ordinate dalla V. s.r.l. presso i suoi fornitori, si evidenzia nella sentenza di primo grado, erano state da questi in parte consegnate alla N. M. s.r.l. e non era stato possibile accertare se esse, nella parte consegnata alla N. M. s.r.l., fossero state pagate da questa società o dalla società poi fallita.
Secondo la sentenza di appello, invece, la distrazione avrebbe interessato anche le merci ed i contratti stipulati con i fornitori della fallita.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso D.M., a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento sulla base di cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla affermazione della sua penale responsabilità per le condotte distrattive che gli vengono contestate come commesse in concorso con M. D. quale amministratore di fatto della N.M. s.r.l..
2.1.1. Con l’atto di appello si era dedotto che i cespiti oggetto della condotta distrattiva non erano in realtà suscettibili di distrazione.
Difatti, non sussisteva alcuna possibilità di cedere l’azienda a terzi ed i dipendenti, non potendo continuare a rimanere alle dipendenze della V. s.r.l., erano stati licenziati.
Successivamente, alcuni di essi erano stati assunti dalla N.M. s.r.l., ma tale assunzione non aveva arrecato alla V. s.r.l. alcun danno patrimoniale, atteso che questa società non avrebbe potuto proseguire l’attività di impresa. Il licenziamento dei dipendenti, riducendo i costi, era servito ad evitare un aggravamento del dissesto.
Quanto ai fornitori ed alle merci cinesi, la loro distrazione era stata esclusa dalla sentenza di primo grado. I pagamenti dei fornitori effettuati dalla società dopo la sua messa in liquidazione si riferivano a debiti maturati prima di tale momento.
Nessun rapporto di V. con fornitori cinesi era stato trasferito alla nuova società.
Infine con l’atto di appello si era dedotto che il D. non era amministratore di fatto della N.M. s.r.l. e comunque il M. non aveva concorso con il D. nella distrazione dell’azienda dalla V. s.r.l. alla N.M. s.r.l..
Anche le conversazioni telefoniche tra il M. ed il D., oggetto di intercettazione, avevano ad oggetto temi diversi da quello della gestione della N.M. e da esse comunque non poteva ricavarsi alcuna prova della distrazione da V. s.r.l. a favore della nuova società o della qualità di amministratore di fatto della N.M. in capo al D..
I file rinvenuti nei computer dei dipendenti della N.M. erano solo delle bozze che essi avevano portato con loro dalla V. s.r.l. per utilizzarli quali modelli di documenti e la difesa del ricorrente aveva chiesto di poter esaminare nuovamente i dipendenti quali testi su tale circostanza, ma la richiesta era stata rigettata. Tale richiesta era stata anche reiterata nell’atto di appello.
2.1.2. Il ricorrente evidenzia che la Corte di appello ha omesso di considerare che M. D. già operava in settori commerciali analoghi a quello della V. s.r.l. da diversi anni tramite la D&D s.r.l.. Per ampliare la sua attività il M. aveva creato la N.M. s.r.l.. Tale dato, se valutato dalla Corte di appello, avrebbe portato all’assoluzione del M..
2.1.3. La motivazione, sostiene il ricorrente, è contraddittoria poiché mentre il Tribunale ha asserito che oggetto di distrazione era il mero avviamento, la Corte di appello, considerato che nel momento in cui la distrazione era stata attuata il valore dell’avviamento si era ridotto a zero, ha affermato che oggetto della distrazione era l’azienda, sebbene i beni di cui si contesta la distrazione non fossero di per se stessi suscettibili di distrazione; in particolare, il passaggio dalla V. s.r.l. alla N.M. dei fornitori e delle merci era elemento che non poteva essere valutato e posto a base della decisione nel presente giudizio perché si trattava di elementi che neppure avevano costituito oggetto di contestazione nel capo di imputazione. Quanto ai dipendenti della V. s.r.l., solo alcuni di essi, non tutti, erano stati assunti da N.M., ma solo dopo che essi erano stati licenziati dalla V. s.r.l., impossibilitata a continuare la attività di impresa. Inoltre, la Corte di appello ha concluso che il D. era amministratore di fatto della N.M. s.r.l. sulla base di conversazioni intercettate dalle quali risultava che il D. intratteneva i rapporti con i clienti ed i fornitori cinesi — omettendo di considerare che il compito affidato al D. dalla N.M. s.r.l. in virtù del contratto di consulenza era proprio quello di occuparsi di tali rapporti — e che il D. chiedeva al M. di prenotargli a tal fine alcuni voli aerei. Né poteva attribuirsi valore di prova ai documenti cartacei che due dipendenti della N.M. avevano portato con sé dopo la cessazione del loro rapporto di lavoro con la V. s.r.l..
2.1.4. Infine, la motivazione risulta illogica, poiché da una parte si ammette che la V. s.r.l. era ormai incapace di proseguire l’attività imprenditoriale e destinata all’estinzione e dall’altra si sostiene che l’attività distrattiva ha interessato proprio quei cespiti che erano il «cuore» della produttività della società poi fallita.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 177 e segg., 522 e 604 cod. proc. pen. per avere la Corte di appello rigettato l’eccezione di nullità della sentenza per la incompletezza e genericità del capo di imputazione. Nel capo di imputazione si accusava il M. di avere concorso con il D., indicato quale amministratore di fatto della V. s.r.l. e quale amministratore di diritto o di fatto di altre società, tra le quali anche la N.M. s.r.l., nella distrazione dell’azienda della fallita.
Nel capo di imputazione non si chiariva quale ruolo avesse svolto il D. all’interno della N.M. s.r.l. e neppure si precisava attraverso quale condotta materiale il M. avrebbe contribuito alla distrazione dell’azienda della V. s.r.l..
La Corte di appello aveva rigettato l’eccezione osservando che la contestazione era abbastanza specifica e che comunque il M. aveva potuto difendersi, ma tale conclusione non era condivisibile poiché nel capo di imputazione non erano state esplicitate le condotte attraverso le quali egli aveva concorso nel delitto di bancarotta; l’eccezione di nullità ex art. 522 cod. proc. pen. viene dal ricorrente riproposta innanzi a questa Corte di cassazione.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., della violazione dell’art. 131-bis cod. pen..
L’istanza di applicazione della causa di non punibilità prevista dalla citata disposizione è stata rigettata dalla Corte territoriale mentre dagli atti risultava che nel momento della condotta la V. s.r.l. versava in uno stato di dissesto irreversibile e mai avrebbe potuto proseguire l’attività imprenditoriale, cosicché il danno patrimoniale era pressoché inesistente.
2.4. Con il quarto motivo il M. si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., della violazione dell’art. 219, terzo comma, r.d. n. 267 del 1942, dell’art. 62-bis cod. pen. e della omessa applicazione del minimo edittale, da sostituire ai sensi dell’art. 53 della legge n. 689 del 1981, per ragioni che il ricorrente si riservava di esplicitare in una memoria contenente motivi nuovi.
Comunque la Corte di appello ha mal esercitato i poteri discrezionali di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen..
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., l’omessa assunzione di una prova decisiva costituita dalla rinnovazione dell’esame dei due dipendenti della N.M. s.r.l. che sono stati trovati in possesso di documenti della V. s.r.l..
3. Il difensore del ricorrente ha fatto pervenire a questa Corte di cassazione una memoria contenente motivi nuovi con la quale si illustrano le ragioni a sostegno del terzo, del quarto e del quinto motivo di ricorso.
3.1. Sostiene, quanto al terzo motivo di ricorso, che essendo applicabile l’attenuante ad effetto speciale prevista dall’art. 219, terzo comma, r.d. n. 267 del 1942, può trovare applicazione anche la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. e che il danno è pressocché insussistente, essendo la distrazione stata commessa quando l’avviamento della fallita era privo di valore.
3.2. Assume, relativamente al quarto motivo, che la Corte territoriale si è limitata a recepire acriticamente gli argomenti posti a base del rigetto della circostanza attenuante di cui all’art. 219, terzo comma, r.d. n. 267 del 1942 e delle circostanze attenuanti generiche da parte del Tribunale, che si era basato su circostanze inconcludenti ed estranee agli indici di cui all’art. 133 cod. pen.. Il diniego delle attenuanti generiche non era motivato, mentre la stessa Corte di appello, pur ammettendo che l’inventario della fallita era privo di valore, ha condannato il M. per la sua distrazione.
Deduce, quanto alle pene accessorie fallimentari, che esse risultano illegali, essendo stata confermata la loro applicazione, sebbene la Corte costituzionale abbia dichiarato l’illegittimità dell’art. 216, ultimo comma, r.d. n. 267 del 1942 nella parte in cui stabiliva la loro durata nella misura fissa di anni dieci.
3.3. Relativamente al quinto motivo, la istanza di rinnovazione dell’esame dei testi era stata rigettata dalla Corte di appello che aveva osservato che la documentazione prodotta dal Pubblico ministero, sulla quale i testi avrebbero dovuto essere riesaminati, era già parte del fascicolo del Pubblico ministero e la difesa dell’imputato avrebbe potuto porre domande ai testi su tali documenti già nel momento in cui essi erano stati esaminati per la prima volta; inoltre, secondo la Corte di appello, da detta documentazione comunque emergeva la prova della distrazione delle merci.
In realtà, sostiene il ricorrente, la difesa non aveva posto domande ai testi perché i documenti non erano stati prodotti dal Pubblico ministero nel corso del loro esame e pertanto risultava violato il diritto di difesa. Inoltre, l’affermazione della Corte di appello, secondo la quale la documentazione dimostrava la distrazione delle merci provenienti dalla Cina in favore della N.M. s.r.l. era contraddetta dalla motivazione della sentenza di primo grado, che aveva escluso la distrazione delle merci.
Considerato in diritto
1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere trattati unitariamente, in quanto strettamente connessi, e sono fondati.
2. Al M. è stato contestato il concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso da M.D. quale amministratore della V. s.r.l. e consistito nella distrazione della azienda della predetta società, trasferita in assenza di corrispettivo alla N.M. s.r.l., amministrata dall’odierno ricorrente.
3. Il Tribunale di Milano ha ritenuto sussistente il delitto di bancarotta poiché, pur in assenza di un formale atto di cessione dell’azienda, il D., essendo ormai evidente che la V. s.r.l. era destinata al fallimento, avrebbe operato in modo che la N.M. s.r.l. potesse subentrare alla V. s.r.l. nell’esercizio dell’attività di impresa. In particolare, i fornitori cinesi ed i clienti della V. s.r.l. erano divenuti fornitori e clienti della N.M. s.r.l. Anche taluni dei dipendenti della V. s.r.l., e precisamente quelli maggiormente qualificati, erano divenuti dipendenti della N.M..
Il Tribunale dà pure atto che talune delle forniture, gestite in modo unitario dalla V. s.r.l. e dalla N.M. s.r.l., riguardavano merci che dovevano essere consegnate in parte alla V. s.r.l. ed in parte alla N.M., cosicché «sorge fortissimo il sospetto che la fallita stesse sostenendo anche i costi della merce destinata alla N.M.».
Il Tribunale, tuttavia, esclude che gli elementi di prova acquisiti siano sufficienti a dimostrare eventuali distrazioni di merce dalla fallita alla N.M. ed osserva che comunque una simile condotta non rientra nella contestazione mossa al M., al quale si imputa il concorso nella distrazione dell’azienda.
La distrazione dell’azienda, secondo il Tribunale, sussiste perché il D. ha operato in modo che i fornitori, i clienti ed i dipendenti più qualificati divenissero fornitori, clienti e dipendenti della N.M. in modo che le potenzialità imprenditoriali della fallita non andassero disperse e quindi ciò «che è stato dirottato sulla N.M., senza alcun corrispettivo, era la sua parte ancora vitale, l’unica che avesse un valore e che era suscettibile di essere qualificata come avviamento».
4. Con il quarto motivo di appello il M. ha censurato la decisione del Tribunale, osservando che i fornitori, i clienti ed i dipendenti non erano elementi che componevano l’azienda e non erano suscettibili di essere alienati a terzi dalla fallita e quindi nemmeno potevano costituire oggetto di distrazione. Tali elementi potevano essere utili per la valutazione dell’avviamento di un’azienda, ma l’avviamento era concetto diverso da quello di azienda, che, ai sensi dell’art. 2555 cod. civ. è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Il Tribunale aveva invece erroneamente identificato l’azienda nell’avviamento ed aveva ritenuto che questo potesse costituire oggetto autonomo di distrazione.
5. La Corte di appello ha rigettato il motivo di gravame.
5.1. Essa, richiamando la giurisprudenza di questa Corte di cassazione in tema di bancarotta fraudolenta (Sez. 5, n. 5357 del 30/11/2017, dep. 2018, Sirna, Rv. 272108), ha ammesso che non è suscettibile di distrazione l’avviamento commerciale dell’azienda se, contestualmente, non sia stata oggetto di disposizione anche l’azienda medesima o quanto meno i fattori aziendali in grado di generare l’avviamento.
Il rilievo risulta corretto.
Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte di cassazione, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta è necessario che la distrazione sia riferita a rapporti giuridicamente ed economicamente valutabili, con la conseguenza che non può costituire oggetto di distrazione l’avviamento commerciale di un’azienda ove questo venga identificato come prospettiva di costituire rapporti giuridici solo teoricamente immaginabili (Sez. 5, n. 26542 del 19/03/2014, Riva, Rv. 260689, che ha escluso che potesse costituire condotta distrattiva l’avere l’agente indirizzato i principali clienti della società fallita alla impresa individuale con la quale aveva proseguito l’attività produttiva al fine di favorire la instaurazione di futuri rapporti contrattuali in capo a quest’ultima).
Secondo la giurisprudenza civile, l’avviamento va definito, nei suoi termini generali, come capacità di profitto di un’attività produttiva ossia come l’attitudine di un complesso aziendale di conseguire risultati economici diversi (ed, in ipotesi, maggiori) da quelli che si possono ottenere attraverso l’utilizzazione isolata dei singoli beni aziendali (vedi Sez. 2 civ., n. 12575 del 06/12/1995, Rv. 494967).
Essendo esso una qualità dell’azienda ed esprimendo il maggior valore che i beni che compongono l’azienda acquistano per effetto della loro organizzazione a fini produttivi attuata dall’imprenditore, l’avviamento non può essere ceduto senza che venga ceduta l’azienda o i cespiti più rilevanti ai fini della capacità di questa di generare profitto.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte di cassazione lo sviamento della clientela può costituire oggetto della distrazione, rilevante ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, qualora realizzi un atto di ingiustificata disposizione dei rapporti giuridici suscettibili di valutazione economica, cioè quando abbia ad oggetto la cessione di contratti già stipulati con clienti e dipendenti (Sez. 5, n. 3816 del 15/01/2018, Gentile, Rv. 272325) e ad identiche conclusioni deve pervenirsi in ordine ai fornitori. In altri termini, oggetto di potenziale distrazione non sono i «clienti» o i «dipendenti» o i «fornitori», bensì i rapporti giuridici suscettibili di valutazione economica intrattenuti con essi dall’azienda. Laddove la cessione di tali rapporti comporti di fatto, per la loro rilevanza economica, la cessione anche dall’avviamento aziendale, potrà ritenersi integrato il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale qualora essa avvenga in assenza di adeguato corrispettivo. Non è invece possibile ipotizzare la distrazione dell’aspettativa che i clienti o i fornitori continuino ad instaurare nuovi rapporti con l’azienda in forza dei rapporti intrattenuti in passato con la stessa ovvero quella che i dipendenti decidano di rimanere in azienda, piuttosto che licenziarsi e passare alla concorrenza.
5.2. La Corte di appello ha asserito, per giustificare l’affermazione di penale responsabilità del M., che il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale sussiste perché la distrazione ha avuto ad oggetto anche le merci ed i contratti.
5.2.1. Quanto alle merci, tuttavia, la Corte territoriale omette di considerare che il Tribunale aveva escluso che le prove acquisite dimostrassero che le merci avessero costituito oggetto di distrazione e, ancor prima, che tale condotta potesse rientrare nel capo di imputazione.
In sostanza, la Corte di appello viene ad affermare la penale responsabilità del M. per un fatto ritenuto insussistente dal Tribunale, pur non avendo il Pubblico ministero proposto impugnazione.
In ogni caso si tratta di un fatto estraneo al capo di imputazione.
Difatti, se la distrazione dell’azienda è, ai sensi dell’art. 2555 cod. civ., la distrazione del complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’azienda, è necessario, affinché essa possa ritenersi avvenuta, che i beni, prima di essere distratti, siano divenuti parte di tale complesso organizzato, mentre nel caso di specie, secondo quanto riportato nelle due sentenze di merito, le merci provenienti dai fornitori cinesi ed oggetto di distrazione non sarebbero mai state consegnate alla V. s.r.l. e non sarebbero mai entrate a far parte dell’azienda di questa, ma sarebbero state consegnate direttamente alla N.M. s.r.l.. Affinché possa ritenersi distratta l’azienda occorre l’autonomia funzionale del complesso dei beni ceduti a consentire l’esercizio dell’impresa; solo in tale ipotesi un insieme di beni può essere considerato quale «azienda».
In sostanza, risulta, in tale parte, violato il principio di corrispondenza tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza di cui all’art. 521 cod. proc. pen..
5.2.2. Quanto alla distrazione dei contratti, la Corte di appello si limita ad affermarla genericamente senza chiarire a quali contratti essa si riferisca.
In ordine ai dipendenti, nella sentenza si afferma che essi sono stati licenziati prima che essi fossero assunti dalla N.M., cosicché deve escludersi che oggetto di cessione siano stati i contratti relativi ai rapporti di lavoro subordinato.
Nel resto della motivazione non si chiarisce quali contratti avrebbero costituito oggetto di cessione; non si indica se tali contratti siano quelli con i clienti o quelli con i fornitori e quanto a questi neppure si esplicitano le ragioni per le quali la distrazione avrebbe avuto ad oggetto i contratti di fornitura, in modo che la N.M. s.r.l. si sostituisse alla V. s.r.l. quale parte contrattuale, e non le merci oggetto di tali contratti.
In sostanza, la motivazione della sentenza della Corte di appello non fornisce risposta al motivo di appello formulato dall’odierno ricorrente con il quale si deduceva che gli elementi di cui era stata affermata la distrazione non erano suscettibili di valutazione economica e, laddove asserisce che sono stati distratti i «contratti», non consente di comprendere il percorso logico-giuridico che ha condotto a ritenere sussistente la penale responsabilità del M..
6. Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Gli ulteriori motivi di ricorso restano assorbiti.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
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