CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 33065 depositata il 7 settembre 2021
Reati tributari – Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti – Fatture per prestazioni da società estera controllata – Onere di prova contraria
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
1. Con ricorso per Cassazione C.F. ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Milano che, confermando la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Monza, lo condannava alla pena di mesi otto di reclusione per avere, in qualità di legale rappresentante prò tempore nonché firmatario della dichiarazione della W.T.C.S. S.r.l. in fallimento dal 14.03.2013, al fine di evadere le imposte sui redditi, dichiarato elementi passivi fittizi in relazione all’anno di imposta 2010, avvalendosi di false fatture relative ad operazioni inesistenti emesse dalla società di diritto bulgaro W.S.B. S.r.l. per un totale di 100.000,00 euro, così integrando il reato di cui all’art. 2, commi 1 e 2, del D.lgs. n. 74 del 2000.
2. Con il primo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione in ordine al giudizio di responsabilità, avendo la Corte Territoriale introdotto un’indebita inversione dell’onere della prova a carico dell’imputato laddove, al fine di ritenere provata la esistenza delle operazioni suindicate, ha imposto al prevenuto l’onere di allegazione delle attività di consulenza asseritamente svolte quale elemento a suo discarico, travalicando i principi fondamentali regolatori del processo penale.
3. Con il secondo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione in ordine alla carenza dei requisiti, così come censurati dalla difesa, di precisione e di concordanza degli indizi posti alla base della decisione di condanna, indispensabili, unitamente al requisito della gravità, al fine di assurgere al rango di prova.
Sul piano della gravità e della precisione indiziaria il fatto, valorizzato dalla sentenza impugnata, che la segnalazione di nuovi clienti avvenisse tramite comunicazione telefonica, e non invece per iscritto, non resisterebbe all’obiezione che sia lecita e credibile una modalità di comunicazione meno formale e più celere tra società controllata (bulgara) e controllante (italiana); così come la genericità della descrizione dell’oggetto delle fatture non resisterebbe alla prova specifica consistita comunque nell’indicazione del contratto di riferimento.
Sul piano della concordanza tra gli indizi la medesima risulterebbe carente a fronte della presenza di un unico indizio ovvero la mancanza di riferimento all’attività di intermediazione della società bulgara nel procacciamento dei clienti.
4. Con l’ultimo motivo di ricorso lamenta il vizio di violazione di legge in relazione al fondamento della penale responsabilità dell’imputato e della conseguente condanna su una prova meramente indiziaria e non diretta, rappresentata dalla genericità della descrizione delle fatture, dalla mancata descrizione della specifica attività di procacciamento dei clienti compiuta dalla società controllata (la W.S.B. Ltd.) nelle tre relazioni consegnate all’Agenzia delle Entrate, dalla mancanza di elementi documentali indicativi di un nesso eziologico tra le operazioni commerciali intervenute con clienti esteri e l’attività d’intermediazione della società bulgara controllata, e, infine, dalla mancata produzione del contratto menzionato nelle fatture.
Il percorso logico inferenziale adottato dalla Corte territoriale per confermare la sentenza, in virtù del quale, da tali fatti, si perverrebbe alla dimostrazione del fatto incerto da provare (ovvero l’inesistenza oggettiva delle operazioni di cui alle fatture succitate) risulterebbe inficiato dalla totale assenza di una regola di esperienza posta alla base di tale percorso argomentativo.
5. Il motivo di doglianza, sostanzialmente unico, è complessivamente infondato.
E’ anzitutto inammissibile, in quanto esorbitante dai limiti di sindacato di questa Corte, la prospettazione che vorrebbe, né più né meno, sindacare il ragionamento inferenziale-probatorio operato dalla sentenza impugnata, che ha confermato la sentenza di primo grado valorizzando, senza distorsioni logiche, il convincimento della sussistenza del fatto sulla base di elementi obiettivamente inducenti a ritenere oggettivamente inesistenti le operazioni di cui alla fattispecie, traendolo segnatamente dalla generica indicazione nella fatture di “prestazioni rese come da contratto del 22.12.2009, la mancata produzione di tale contratto di consulenza sulla cui base sarebbero state appunto rese le prestazioni oggetto di fatturazione; la mancanza di corrispondenza a tal proposito intervenuta tra società controllata e controllante, la genericità delle tre relazioni quadrimestrali redatte dalla società bulgara.
5.1. È poi infondato l’assunto volto a sostenere come, nella specie, sia stata operata una indebita inversione dell’onere probatorio.
Questa Corte ha già affermato che, nell’ordinamento processuale penale, a fronte dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, spetta all’imputato allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, poiché è l’imputato che, in considerazione del principio della c.d. “vicinanza della prova”, può acquisire o quanto meno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (da ultimo, Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373).
Nella specie, dunque, non di inversione di un onere della prova si è trattato, ma di logica attribuzione all’imputato, solo egli potendo disporre del relativo elemento, del compito di allegare o produrre, a confutazione dell’altrimenti logico ragionamento deduttivo, il contratto di consulenza stipulato tra le società e indicato nella fatture utilizzate.
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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