CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 33417 depositata il 27 novembre 2020
Reati tributari – Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte – Cessioni di immobili a società partecipate – Trasferimento quote a persone fisiche collegate da legami di parentela
Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di Torino, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado ed all’esito dell’annullamento della precedente sentenza di appello, da parte della Suprema Corte di Cassazione, ha condannato D.T., concesse le generiche, alla pena di anni 1 di reclusione, con il doppio beneficio della non menzione e della sospensione condizionale, oltre alle pene accessorie di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 74 del 2000, al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, alla confisca per equivalente dei beni nella disponibilità dell’imputato sino a concorrenza di euro 708.342,76, per il reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000 – per avere, nella sua qualità di legale rappresentante della T.I. s.r.I., al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto e di interessi e sanzioni amministrative relative a dette imposte per un valore superiore ad euro 200.000,00, trasferito in data 14 gennaio 2010 la piena proprietà di una serie di immobili alla Immobiliare M. s.r.I., interamente partecipata dalla società debitrice, le cui quote sono state successivamente trasferite, in data 1 febbraio 2013, dal nuovo legale rappresentante della T. I. s.r.l. (T.F., padre dell’imputato) ai figli dello stesso imputato, C. e E.T..
2. Avverso tale sentenza ha tempestivamente proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, l’imputato, che ha dedotto: 1) l’erronea applicazione della legge penale, non potendo ravvisarsi né un atto simulato né un atto fraudolento nel trasferimento, in data 14 gennaio 2010, degli immobili dalla società debitrice alla M. s.r.I., posto che l’acquirente ha integralmente pagato il corrispettivo, anche tramite l’accollo del mutuo (nella precedente sentenza della Corte di Appello, oggetto di annullamento da parte della Suprema Corte, si era precisato che le somme versate dalla M. vennero utilizzate per il ripianamento dei debiti di T. I.) e che sino al 1 febbraio 2013 Equitalia avrebbe potuto procedere al pignoramento delle quote della società acquirente, interamente partecipata dalla debitrice, o, comunque, impugnare, ai sensi dell’art. 2901 cod.civ., l’atto, e non potendo derivare il carattere fraudolento dal mero collegamento del trasferimento alla successiva cessione delle quote della società acquirente, operato dalla sentenza impugnata; 2) la mancanza e contraddittorietà della motivazione in riferimento all’elemento soggettivo, posto che la sentenza impugnata non ha valutato che nel gennaio 2010 la M. s.r.I., interamente partecipata dalla società debitrice, ha acquistato un ulteriore immobile, estendendo, di fatto, la garanzia patrimoniale di Equitalia, dato inconciliabile con il dolo specifico richiesto dal reato in esame.
3. Con successiva memoria del 1° ottobre 2020 il ricorrente, in ordine al secondo motivo, ha ulteriormente precisato che erroneamente la sentenza impugnata colloca la costituzione della M. s.r.I., che risale al 21 dicembre 2009, in epoca contemporanea al verbale di constatazione, che è del 22 dicembre 2010 e non, come erroneamente riportato in sentenza, del 22 dicembre 2009. Ha, inoltre, rilevato l’intervenuta prescrizione del reato in data 3 ottobre 2020.
4. Per mera completezza, va osservato che la Sez. 3 di questa Corte di Cassazione, con sentenza n. 11458 del 2019, ha annullato la precedente sentenza della Corte di Appello di Torino, in quanto si è pronunciata solo sull’appello della parte civile, omettendo di procedere alla conversione in appello del ricorso per cassazione proposto dal Procuratore Generale, così integrando non solo un error in procedendo, ma anche un error in iudicando, in considerazione del difetto di motivazione sulle censure della parte pubblica.
Considerato in diritto
1. Il ricorso non merita accoglimento.
2. Per quanto concerne la prima censura, che riguarda l’elemento oggettivo e, cioè, la sussistenza di un atto simulato o fraudolento, occorre premettere che il delitto previsto dall’art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 è reato di pericolo, integrato dal compimento di atti simulati o fraudolenti volti a occultare i propri o altrui beni, idonei – secondo un giudizio “ex ante” che valuti la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell’Erario – a pregiudicare l’attività recuperatoria dell’amministrazione finanziaria (Sez. 3, n. 46975 del 24/05/2018 cc. – dep. 16/10/2018, Rv. 274066 – 01) e che gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione (Sez. 3, n. 29636 del 02/03/2018 ud. – dep. 02/07/2018, Rv. 273493 – 01).
Tutti questi elementi sono stati correttamente ravvisati nella sentenza impugnata in ragione del collegamento esistente tra le due operazioni negoziali (vendita degli immobili dalla società debitrice alla partecipata; successiva cessione delle quote della società partecipata acquirente a terzi privati, legati da rapporto di parentela con l’originario legale rappresentante della società debitrice), che sono state valutate unitariamente dal giudice di secondo grado e non atomisticamente, contrariamente a quanto fatto giudice di primo grado. La lettura del giudice di appello risulta del tutto conforme al dato letterale dell’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, che menziona gli atti fraudolenti al plurale, esplicitamente ammettendo che la condotta delittuosa possa tradursi in più negozi, ed è coerente con gli elementi di fatto evidenziati, consistenti nell’epoca delle operazioni e nei soggetti (tutti facenti parte del medesimo gruppo familiare) che ne sono stati protagonisti.
La prospettazione difensiva si fonda, invero, su dati che sono stati espressamente negati dalla sentenza impugnata. In particolare il pagamento del corrispettivo da parte della società acquirente è stato escluso dalla Corte di appello nella presente sentenza, laddove si è precisato che tale adempimento è avvenuto con danaro prelevato dai conti della alienante (debitrice del fisco) e, quindi, comunque, riducendo, a prescindere dall’accollo del mutuo da parte dell’acquirente, la garanzia patrimoniale su cui Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a. avrebbe potuto fare affidamento, mentre risulta superata ogni contraria affermazione contenuta nella precedente sentenza annullata. La possibilità per Equitalia Servizi Riscossione s.p.a. di pignorare, nel periodo immediatamente successivo il trasferimento immobiliare del 2010, le quote della società M. s.r.l., partecipata dalla società debitrice, è stata smentita dalla Corte di Appello “essendo necessaria la previa notifica (avvenuta sola a novembre e dicembre del 2012) e definitività delle cartelle esattoriali”. Peraltro, lo stesso rinvio, da parte della difesa dell’imputato, al possibile esperimento dell’azione revocatoria ex art. 2901 cod.civ. conferma che già il primo trasferimento del 2010 era diretto ad eludere l’esecuzione esattoriale, rendendola più problematica, in considerazione dell’impossibilità di pignorare direttamente gli immobili e della necessità del previo pignoramento delle quote della società, in cui gli immobili erano confluiti.
3. Parimenti non merita accoglimento la seconda censura, avente ad oggetto la sussistenza del dolo specifico, atteso che il ricorrente non ha evidenziato alcuna manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, che ha desunto, in modo congruo e ragionevole, l’elemento soggettivo dalla tempistica delle operazioni e dalla consapevolezza, da parte dell’imputato, del debito tributario e dell’imminenza dell’esecuzione esattoriale, ma si è limitata a valorizzare una circostanza ritenuta poco significativa dalla Corte di Appello, consistente nell’acquisto di un ulteriore immobile, da parte della società M. s.r.I., delle cui quote, comunque, la società debitrice si è disfatta nel 2013, con la seconda operazione. Per quanto concerne, poi, il dato evidenziato nella memoria del 1 ottobre 2020 (l’erronea indicazione della data del verbale di contestazione, che risale al 22 dicembre 2010 e non al 22 dicembre 2009), si tratta di una circostanza non decisiva, in quanto non intacca nella sostanza il quadro probatorio complessivo in ordine al dolo specifico del debitore, che, come già evidenziato, è stato fondato sulla tempistica delle due operazioni di trasferimento e sulla consapevolezza del debito tributario da parte dell’imputato.
4. Per mera completezza, deve escludersi la prescrizione del reato, tenuto conto che i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli art. 2 a 10 del d.lgs. n. 74 del 2000 sono stati elevati di un terzo, ai sensi dell’art. 17, comma 1-bis, della l. n. 74 del 2000, introdotto dal d.l. n. 138 del 2011, convertito in l. n. 148 del 2011. In proposito va solo sottolineato che il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, qualora si articoli attraverso il compimento di una pluralità di trasferimenti immobiliari, costituenti una operazione unitaria finalizzata a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, si perfeziona nel momento in cui viene realizzato l’ultimo atto dispositivo (Sez. 3, n. 19524 del 04/04/2013 cc. – dep. 07/05/2013, Rv. 255900 – 01), sicché deve farsi riferimento alla seconda operazione risalente al 1 febbraio 2013 sia ai fini della individuazione della legge applicabile (anche in ordine alla prescrizione) sia ai fini del dies a quo del termine di prescrizione.
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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