CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 33548 depositata il 16 settembre 2022 

Infortunio sul lavoro – Reato di lesioni personali colpose – Responsabilità del neo amministratore delegato – Inesigibilità del rispetto della regola cautelare – Responsabilità del costruttore – Indebite modifiche apposte dall’utilizzatore al macchinario – Esclusione

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino del 15 novembre 2018, con cui C.F. e C.G. erano stati condannato alla pena di mesi due di reclusione ciascuno, C.P. alla pena di mesi due e giorni quindici di reclusione, tutti coi benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, in relazione al reato di cui agli artt. 113, 590, commi primo, secondo e terzo, cod. pen. in relazione all’art. 583, comma primo, nn. 1), e secondo, cod. pen., perché, in cooperazione colposa tra loro (e con B.A.H. giudicato separatamente), il C., quale presidente del consiglio di amministrazione e consigliere ed amministratore delegato, e, quindi, datori di lavoro della società R.G. s.p.a., avente ad oggetto la fabbricazione di altri articoli in materie plastiche”, il C., quale dirigente della R., munito di delega in materia di sicurezza e igiene sul lavoro conferita il 31 ottobre 2001 e il C., quale legale rappresentante della società I. S.G.I.C.M.A. s.p.a., fabbricante della macchina denominata “Linea di estrusione 1”, avente matricola n. 926, e recante marcatura CE, per colpa generica per inosservanza di leggi, regolamenti e discipline e, segnatamente:

1) il B. e il C. in violazione dell’art. 29, comma 1, d.lvo 8 aprile 2008, n. 81, perché non provvedevano ad elaborare il documento di valutazione dei rischi in conformità all’art. 17 d.lvo n. 81 del 2008;

2) il C. in violazione degli artt.: 37, comma 1, d.lvo n. 81 del 2008, perché non provvedeva affinché ciascun lavoratore fosse adeguatamente formato ed informato in relazione ai propri compiti in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro anche con riferimento alle conoscenze linguistiche; 70, comma 1, d.lvo n. 81 del 2008, in quanto non provvedeva a predisporre dispositivi di sicurezza atti ad impedire l’accesso alla zona di intrappolamento della calandra; 71, comma 2, d.lvo n. 81 del 2008, in quanto sceglieva le attrezzature di lavoro – in particolare T. – senza averne considerato i rischi derivanti dalle interferenze con altre attrezzature in uso;

3) il C. in violazione dell’art. 23 d.lvo n. 81 del 2008, in quanto fabbricava attrezzature da lavoro non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, cagionavano a G.A. – dipendente della M. s.r.l. con mansioni di operaio aiuto estrusionista, in servizio a decorrere dal maggio 2013 presso la R. – lesioni personali consistite in “amputazione con sguantamento III, IV e V dito mano sinistra”, dalle quali derivava uno stato di malattia per un tempo superiore ai 40 giorni, segnatamente giorni 402 nonché l’indebolimento permanente di un organo in quanto il lavoratore, intento ad effettuare la sostituzione di un rotolo di tessuto ormai esaurito con un nuovo rotolo in ingresso alla linea di estrusione 1 – zona calandra -, nell’atto di inserire il capo della bobina di tessuto, rimaneva pizzicato con la mano sinistra indossante il guanto di protezione dal calore tra i cilindri della calandra.

Con le aggravanti di avere cagionato una lesione personale grave e di avere commesso il fatto con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro – in Buriasco (TO), in data 10 agosto 2014.

1.1. Il Tribunale ricavava l’affermazione di responsabilità in base ai seguenti elementi di prova:

A) Dichiarazioni rese dalla persona offesa G.A.. La notte del 10 agosto 2014, il G., dipendente della M. s.r.I., ma dal maggio 2013 in servizio presso la R., mentre stava sostituendo la bobina di tessuto, rimaneva pizzicato con la mano sinistra, indossante il guanto di protezione dal calore, tra i cilindri della calandra in cui il tessuto andava inserito; la mano era trascinata dai grossi cilindri in movimento e così rimaneva dagli stessi schiacciata, ciò determinando lesioni personali sopra riportate ed un’incapacità dì attendere alle ordinarie occupazioni per giorni 402 nonché l’indebolimento permanente dell’organo della prensione.

B) L’accertata non conformità del macchinario adoperato dal lavoratore infortunato al momento del fatto, che era stato poi oggetto di prescrizioni ex d.lvo 19 settembre 1994, n. 758 puntualmente ottemperate dalla R..

C) L’accertata inadeguatezza del documento di valutazione dei rischi, che sottostimava il rischio di intrappolamento (valutando magnitudo e frequenza molto bassi) e non prevedeva misure di protezione dell’infortunio (i ripari della zona pericolosa), ma solo un sistema di arresto di emergenza ad infortunio in corso (la fune), alla mancanza di riparo dei rulli della calandra e all’inadeguatezza del dispositivo di arresto di emergenza (la fune) poiché non si attivava con una semplice pressione in ogni direzione come imposto dalla normativa in materia di sicurezza.

D) L’accertato erroneo utilizzo del macchinario in quanto impiegato per attività diverse da quelle previste dal suo costruttore il quale aveva previsto che l’incorsamento del tessuto avvenisse con un telo (che avrebbe trainato la pasta plastica) in un punto diverso della linea a macchina ferma, evitando il rischio di intrappolamento degli arti nella calandra (presso la quale non era prevista la presenza di operatori).

E) Sussistenza del nesso causale tra la condizione del macchinario e le sue modalità di utilizzo e l’evento verificatosi: l’infortunio avveniva, mentre il G. stava effettuando un’operazione rientrante nelle sue mansioni cioè l’incorsamento del tessuto tra i cilindri della calandra presso un macchinario palesemente pericoloso e perché i rulli in movimento non erano stati segregati (e, dunque, erano raggiungibili) ed erano privi dei ripari imposti dalla normativa rispetto a questo tipo di macchinari; le lesioni si erano verificate a causa della mancanza dei presidi di sicurezza normativamente imposti con conseguente violazione delle prescrizioni imposte dall’art. 70 e del punto 5.9 della parte seconda del d.lvo n. 81 del 2008, All. 5.

F) Il C., dirigente dello stabilimento delegato per la sicurezza sin dal 2001 era responsabile, in quanto non aveva verificato la sicurezza dei macchinari messi a disposizione dei dipendenti; egli dava conto di sapere le modalità d’uso della linea in esame, non rilevando che l’imputato aveva confidato sulla certificazione della conformità alla normativa di sicurezza da parte del fornitore della calandra.

G) Il C., amministratore delegato della società a far data dal gennaio 2014 e formale datore di lavoro dell’infortunato, è stato ritenuto responsabile in quanto, ancorché dimostratosi sensibile al tema della sicurezza, non aveva rispettato l’obbligo di cui all’art. 17, comma 1, lett. a) d.lvo n. 81 del 2008 di redigere un D.V.R. adeguato o, in presenza di un documento già predisposto dal suo predecessore, di verificarne l’adeguatezza e l’efficacia; il D.V.R. era generico e poco chiaro (non dando conto nel dettaglio delle lavorazioni e delle procedure operative adottate), come sottostimasse il rischio inveratosi (attribuendo alle linee di estrusione magnitudo della gravità dell’infortunio media; attribuendo anche alla mansione svolta dal G. magnitudo media e probabilità minima; nel nuovo D.V.R., invece, la magnitudo era massima) e, inoltre, non prevedeva misure precauzionali (cioè presidi volti a scongiurare o limitare il più possibile il verificarsi dei rischi evidenziati).

H) La responsabilità del C., legale rappresentante della società costruttrice del macchinario – I.S.G.I.C.M.A. s.p.a.

– cui il lavoratore era intento al momento dell’infortunio – ossia la calandra di cui sopra – rivelatosi ex post inadeguato da un punto di vista delle precauzioni antinfortunistiche – è stata riconosciuta perché, sebbene tale macchinario fosse stato modificato per adeguarlo alle esigenze produttive della R., non era stato provato che l’I. non fosse a conoscenza delle modifiche all’impianto e della possibilità di utilizzare una filiera di lunghezza inferiore ai due metri. I testi a difesa erano poco attendibili, in quanto erano anche solo involontariamente interessati a rendere tale versione (anche solo per non sentirsi indirettamente responsabili dell’infortunio) e poiché ben difficilmente potevano rammentare dettagli relativi ad un progetto risalente al 2009/2010. Inoltre, in senso contrario si esprimevano il C. e il C.; ne conseguiva allora che il C. doveva rispondere del delitto, per aver fornito alla R. una calandra priva dei ripari imposti dalla normativa di settore e per non averla informata adeguatamente dell’importanza ai fini della sicurezza dell’uso della filiera di ampiezza pari a quella della calandra, ciò concorrendo al verificarsi dell’infortunio, ex art. 3 d.lvo n. 17 del 2010 (attuativo della direttiva macchine).

1.2. La Corte di appello ha confermato la pronunzia di condanna emessa nei confronti dei tre imputati.

In ordine alla posizione del C., ha premesso che l’assunzione della carica di amministratore delegato della R. aveva comportato ipso iure l’assunzione da parte del medesimo della posizione di garanzia prevista dal d.lvo n. 81 del 2008: il C. sosteneva di non poter essere chiamato a rispondere delle “conseguenze” correlate alle erronee valutazioni contenute nel D.V.R. predisposto dal suo predecessore, non avendo avuto il tempo necessario per avvedersi della reale situazione circa il rispetto della normativa antinfortunistica all’interno della società.

Siffatta prospettazione doveva ritenersi erronea, in quanto dal momento di assunzione della posizione di garanzia derivante ope legis non sono ipotizzabili momenti di sospensione ovvero di attenuazione di tale status che consentano al soggetto gravato dall’obbligo di non adempiere integralmente a quanto normativamente imposto.

Sin dalla data di assunzione della veste di amministratore delegato della società R. il C. aveva iniziato a ricoprire la carica di datore di lavoro nell’accezione di cui al d.lvo n. 81 del 2008 e dal quel momento era, pertanto, tenuto a rispettare ed a fare rispettare tutte le normative vigenti nella materia de qua, anche qualora il D.V.R., in precedenza elaborato, si presentasse incompleto od erroneo.

Con riferimento alla posizione del C. ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’imputato nella sua qualità come contestata nell’addebito rilevavano la richiesta al lavoratore di operare su un macchinario privo delle necessarie protezioni e l’incidenza di tale mancanza sul verificarsi dell’evento lesivo.

L’imputato ricopriva la posizione di garanzia ex art. 70 d.lvo n. 81 del 2008, in forza della quale sul delegato dal datore di lavoro in materia di igiene e di sicurezza grava un obbligo, di natura dinamica, di assicurarsi costantemente della sicurezza dei macchinari utilizzati dai lavoratori per lo svolgimento delle loro prestazioni lavorative, indipendentemente dal possesso dei requisiti formali di adeguatezza.

L’imputato ricopriva da ventidue anni la carica di responsabile della produzione all’interno della società, per cui conosceva perfettamente le esigenze produttive ed era consapevole della pregressa richiesta alla società, che produceva i macchinari di sostituire e/o aggiungere nuove componenti. Inoltre, il macchinario era seriamente pericoloso, tenuto conto della presenza di pesanti rulli in movimento non interamente segregati in un punto, dove era previsto il frequente impiego di operai.

Non operava la presunzione di cui all’art. 4 d.lvo n. 17 del 2010, in quanto l’imputato era stato informato dei successivi interventi eseguiti sul macchinario la cui certificazione CE non poteva più ritenersi adeguata, afferendo ad una condizione che la calandra non possedeva più. Il C. aveva segnalato che il rapporto tra la I. e la R. non era commerciale, ma era decisamente più stretto ed il suo difensore, a supporto di tale asserzione, aveva richiesto l’acquisizione di documentazione, tuttavia, non ammessa dal Tribunale. Tale tema di prova poteva ritenersi valutato anche sulla scorta di altre prove dichiarative e documentali e non possedeva il valore dimostrativo dell’assenza di colpa che l’atto di impugnazione gli attribuiva, giacché la regolarità formale – documentale delle condizioni del macchinario non escludeva la responsabilità dell’imputato il quale, stante la posizione di garanzia ricoperta, avrebbe dovuto avvedersi ictu ()culi che la calandra sulla quale era intento a lavorare il G. non era sicura, in quanto gli organi in movimento della stessa erano “avvicinabili” anche accidentalmente dal lavoratore. Gravava, quindi, su di lui l’obbligo di verificare la sicurezza in concreto del macchinario utilizzato dal lavoratore.

Quanto alla posizione del C., in base al quadro probatorio, la Corte di merito ha ricavato la conoscenza dell’avvenuta modifica del macchinario mediante collocazione di un inappropriato estrusore (di dimensioni diverse da quello originale progettato dalla I.) che presentava componenti in movimento non protette da contatto, anche accidentale, tra l’operatore e gli ingranaggi.

Nel corso dell’udienza istruttoria del 14 aprile 2018, la difesa dell’imputato aveva prodotto un documento – acquisito ex art. 234 cod. proc. pen. al fascicolo per il dibattimento – denominato “offerta n. 12.09.386-1/ZZ – Linea calandratura lastra WPC”: si trattava, come si comprendeva dai messaggi di posta elettronica allegati a tale documento di un’offerta di acquisto del macchinario e di altre componenti, nella quale si descriveva il prodotto nei dettagli tecnici. Orbene, dalla lettura del documento si prevedeva espressamente la possibilità di sostituire l’estrusore: “Quando andrete a sostituire l’estrusore per raggiungere i 1.500 Kg/h sarà opportuno considerare la seguente apparecchiatura”. Doveva ritenersi acclarato che la calandra, a seguito delle modifiche apportate dalla R., aveva perso le caratteristiche di conformità alla disposizione regolamentare citata che, però, formalmente manteneva e che doveva ritenersi altrettanto pacifico che la I. aveva previsto, nello stesso contratto di compravendita del bene, l’ipotesi che si potesse procedere alla sostituzione di un suo componente. Tuttavia, occorreva prendere atto che il contratto non prevedeva l’obbligo per l’acquirente di informare quantomeno il produttore di una modifica apportata su un macchinario sul quale il produttore aveva apposto il marchio CE e ciò poneva l’I. nelle condizioni di avere immesso in circolazione un macchinario funzionante con componenti diverse da quelle originarie.

2. Gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello

3. C. (due motivi di ricorso)

3.1. Violazione degli artt. 43 e 590 cod. pen..

Si deduce che il C. aveva assunto la carica di amministratore delegato e la qualifica di datore di lavoro il 24 gennaio 2014 e si era immediatamente attivato per farsi carico della gestione delle complesse tematiche HSE, riguardanti lo stabilimento produttivo di rilevanti dimensioni di Buriasco, per acquisire le conoscenze della situazione attuale e per valutare i necessari miglioramenti. Nei sei mesi intercorsi tra l’assunzione della carica e l’infortunio per cui si procede egli non aveva potuto esplorare l’adeguatezza dell’organizzazione della sicurezza e dell’analisi del rischio di cui al DVR ereditato dal predecessore. Il C. attendeva gli esiti di una generale ed approfondita attività di revisione e implementazione della valutazione del rischio affidata alle conoscenze e all’esperienza di una impresa terza specializzata, A. s.r.l..

3.2. Vizio di motivazione in relazione all’art. 43 cod. pen. e all’inesigibilità di una condotta diversa da quella tenuta.

Si osserva che il ricorrente si era immediatamente impegnato per affrontare al meglio le tematiche HSE. Nel corso di numerose riunioni, voleva acquisire le conoscenze in ordine alla situazione attuale nella gestione della sicurezza, presupposto necessario per valutare i necessari miglioramenti. Lo Z. riferiva dei numerosi incontri col C., finalizzati ad informarlo dei temi collegati alla sicurezza, alla ristrutturazione aziendale in atto per accogliere un reparto con nuove linee riproduttive con incarico alla A. di revisionare il DVR esistente e all’organizzazione di corsi di formazione. La calandra non era mai stata modificata. Ciò non era emerso nell’istruttoria dibattimentale, che invece aveva evidenziato la destinazione della medesima calandra alla produzione di lastre di diversa larghezza e, quindi, ad essa potessero essere applicate teste di estrusore di diverse dimensioni. L’estrusore (con la relativa testa) è una macchina diversa e distinta dalla calandra.

3.3. Con memoria difensiva del 4 febbraio 2022, si ribadisce l’esigenza di verificare se il periodo di permanenza in carica dell’imputato fosse sufficiente a conoscere la situazione in cui era chiamato ad operare e, in ragione di ciò, adottare le opportune iniziative. Da una mera analisi documentale il C. non avrebbe potuto rendersi conto dell’inadeguatezza del D.V.R., trattandosi di un rimprovero di sottostima del rischio e non di omessa valutazione dello stesso.

4. C. (quattro motivi di ricorso)

4.1. Vizio di motivazione con riferimento all’elemento soggettivo del reato.

Si deduce che i giudici di merito non hanno considerato le risultanze processuali, dalle quali emergeva la non riconoscibilità del pericolo insito in una macchina accompagnata dalla certificazione di conformità CE.

A) Nella specifica tecnica di progetto del 16 novembre 2009 ai punti 3 e 3.2 si prescriveva che l’apparecchiatura dovesse essere certificata CE e dotata di un “sistema di incorsamento che garantisca con facilità l’avvio di produzione e in assoluta sicurezza”; e, infatti, la linea di calandratura “lastra WPC” era marcata CE e dichiarata conforme dal costruttore, tra le altre, alla Direttiva Macchine 2006/42 CE e alla norma UNI EN ISO 12301:2008 Calandre – requisiti di sicurezza.

B) La calandra era stata collaudata presso il costruttore e presso lo stabilimento della R.. In tali occasioni il costruttore non aveva mai registrato irregolarità del macchinario o del suo utilizzo nell’ambito della linea di produzione. Né aveva evidenziato la necessità di utilizzare una filiera come protezione per i cilindri, né all’interno dei documenti tecnici che accompagnavano la macchina, né in sede di collaudo.

L’affermazione di cui alla sentenza impugnata della rilevabilità ictu oculi della pericolosità della calandra appariva manifestamente illogica alla luce delle seguenti risultanze: a) la ridotta zona scoperta dal riparo costituito dalla testa dell’estrusore;

b) la necessità degli operatori, formati ed addestrati, di lavorare a debita distanza dai cilindri; l’operazione di incorsamento, infatti, prevedeva che essi si ponessero in una posizione accovacciata ed utilizzassero uno specifico attrezzo per imboccare il tessuto nei rulli, ciò che escludeva la possibilità di avvicinarsi alla zona di intrappolamento: una simile circostanza, infatti, non si era mai verificata prima dell’agosto 2014.

4.2. Violazione di legge con riferimento alla mancata assunzione di prova decisiva – vedi ordinanza del 19 giugno 2018 in punto di produzioni documentali richieste dalla difesa il 24 maggio 2018.

Si deduce che tali documenti rivestivano rilevanza decisiva, in quanto dimostravano: a) la non rilevabilità da parte del C. dei profili di pericolosità della macchina, mai prospettati dal produttore in occasione dei collaudi; b) la consapevolezza del produttore dell’utilizzo della calandra con teste di estrusore di diverse dimensioni, con conseguente mancata integrale copertura dei cilindri; c) l’assenza di modifiche alla calandra; d) il cambio delle dimensioni delle teste di estrusore applicate.

4.3. Vizio di motivazione in ordine all’ordinanza del 19 giugno 2018 di rigetto delle richieste formulate ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen..

Si rileva che erano state erroneamente rigettate le richieste di audizione dei testi F. e G. dipendenti della R. e dell’ing. C., responsabile per il MISE della procedura di cui all’art. 70, comma 4, d.Lgs. n. 81 del 2008. I primi due testi avrebbero dovuto riferire in ordine ai rapporti intercorsi tra la R. e il fornitore I., al fine di evidenziare la non rispondenza al vero di quanto affermato al riguardo dai testimoni dell’I..

Il terzo avrebbe dovuto illustrare la procedura volta a verificare la conformità del macchinario ai requisiti di sicurezza.

La motivazione del rigetto della richiesta di assunzione della testimonianza del C. appariva manifestamente illogica, in quanto basata sull’assunto dell’applicazione alla calandra di una nuova componente che la avrebbe resa insicura. Ciò nonostante i documenti la cui richiesta di acquisizione era stata rigettata evidenziavano che era stato originariamente previsto che alla calandra fossero applicate teste di estrusore di diverse larghezze e, a fronte di ciò, il fabbricante non avesse mai rilevato che ciò comportava l’insicurezza della macchina ed al contrario avesse rilasciato la certificazione CE. Era manifestamente illogica anche la motivazione del rigetto della richiesta di assunzione delle testimonianze di F. e G.. Infatti, i rapporti tra le società utilizzatrice e fabbricante della macchina risultavano dalle produzioni documentali, laddove la stessa Corte di merito ha respinto l’impugnazione dell’ordinanza con cui il Tribunale aveva rigettato proprio la richiesta di acquisizione dei documenti relativi a detti rapporti.

4.4. Vizio di motivazione in ordine al diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen..

Si deduce che la Corte torinese ha erroneamente ritenuto non dimostrata Vintegralità del danno risarcito.

In realtà, l’entità della somma versata dall’I.N.A.I.L. risultava dalla richiesta del difensore di fiducia del G. di quantificazione delle pretese risarcitorie della persona offesa a titolo di danno differenziale rispetto alla somma percepita dall’I.N.A.I.L.. D’altra parte, dalla richiesta di rivalsa pervenuta dall’ente risultava la somma versata alla persona offesa e il Tribunale avrebbe potuto acquisirla se la reputava indispensabile ai fini della valutazione circa l’integralità del risarcimento. Risultava quindi palese l’illogicità della sentenza impugnata, laddove la Corte territoriale negava la concedibilità dell’attenuante, nonostante disponesse del documento in cui l’I.N.A.I.L. indicava tale somma con la richiesta di rivalsa. L’acquisizione di prova documentale nel grado d’appello, infatti, non implica la necessità di una formale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, trattandosi di prova precostituita.

5. Il C., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo sette motivi di impugnazione.

5.1. Violazione degli artt. 2, lett. I), Direttiva Macchine 2006/42/CE e 23 d.Lgs. n. 81 del 2008, in relazione alla definizione di fabbricante.

Si osserva che il C. risponde in qualità di fabbricante della sola calandra e non della più complessa macchina denominata “Linea di estrusione 1” (come erroneamente ancora riportato in sentenza), sulla quale era occorso l’infortunio. Le modifiche apportate dalla R. alla linea di estrusione per la quale la I.C.M.A. aveva progettato, prodotto e certificato la propria calandra, l’avevano resa differente da quella per la quale la I.C.M.A. aveva progettato e venduto la propria calandra. Le caratteristiche di conformità CE della calandra presenti al momento della vendita erano venute meno a causa delle modifiche apportate dalla R.. L’aggiunta del T., componente sconosciuto alla I. e installato autonomamente dalla R. sulla linea di produzione nonché la decisione della società acquirente di montare una testa di estrusione di dimensioni ridotte rispetto a quella inserita nelle specifiche date alla I., avevano sostanzialmente modificato il macchinario originario.

5.2. Travisamento della prova (documento “Offerta n. 12.09.286-1/ZZ – Linea Calandratura Lastra WPC”).

Si rileva che non era condivisibile il passaggio in cui la Corte di appello (salvo poi fornire tutt’altra motivazione) ha tentato di affermare che il C. sapesse delle modifiche che la R. voleva apportare alla “Linea di estrusione 1”; essa ha erroneamente disatteso la pronuncia di primo grado che, viceversa, aveva motivato la condanna solo su questo profilo (la conoscenza – conoscibilità da parte della I.) con varie argomentazioni, tutte censurate nell’atto di appello.

5.3. Violazione degli artt. 23, 87 e 72 d.Lgs. n. 81 del 2008 in relazione alle condotte doverose del venditore.

Si deduce che la motivazione della sentenza di appello è fondata sull’errato presupposto della conoscenza da parte dell’I. delle modifiche apportate. La verifica circa la sussistenza o meno dei requisiti di sicurezza e, conseguentemente, la certificazione vanno rapportati al momento della consegna a chi acquisti. Se, in un momento successivo, e a totale insaputa del venditore-certificatore l’acquirente apporta modifiche sostanziali che richiedono – per i rischi insorti a seguito di esse – nuovi e diversi dispositivi di sicurezza, ciò diventa incontrovertibilmente responsabilità esclusiva di chi tali modifiche ha posto in essere (il quale, come già eccepito, assume ex novo la qualifica di fabbricante).

5.4. Travisamento della prova in relazione alla deposizione del c.t. ing. M.V..

Si osserva che non poteva essere tratto alcunché dalle dichiarazioni del c.t. della difesa ing. M.V., rispetto alla responsabilità della I., atteso che la loro portata scontava la prova della conoscenza da parte della I. stessa in ordine alle modifiche/aggiunte successivamente apportate dalla R., così di fatto travisando le stesse dichiarazioni del c.t.. Il c.t. intendeva solo distinguere la c.d. “macchina finita” dalla c.d. “quasi macchina” (laddove la prima era quella pronta all’uso, “che può svolgere un compito da sola”, mentre la seconda è quella destinata ad essere inserita in una filiera), al fine di precisare che da tale distinzione discendevano due diverse tipologie di certificazioni CE.

5.5. Violazione di legge in relazione al nesso causale e vizio di motivazione.

Si rileva che le modifiche sostanziali apportate dalla R. al macchinario venduto e originariamente certificato dalla I. – anche ove non fossero ritenute tali da trasferire sulla medesima società la qualifica di “fabbricante” – risultavano quantomeno idonee ad interrompere il nesso causale rispetto all’evento infortunistico.

5.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’insussistenza dell’elemento soggettivo.

Si deduce che, in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo, che la Corte di appello ha erroneamente riportato che il C. “ha veduto o fatto vedere o comunque gestito il post vendita del macchinario de qua in tal modo assumendo una posizione di garanzia rispetto al macchinario ed in ciò si sostanzia la componente soggettiva della sua condotta colposa”, in quanto la condotta doverosa del venditore si esaurisce al momento della consegna del macchinario, col collaudo, e non può essere estesa a qualsivoglia momento successivo.

5.7. Vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.

Si osserva che la Corte di appello ha erroneamente negato la formulazione di un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante e ha irrogato una pena di entità eccessiva.

Considerato in diritto

1. I ricorsi proposti da C.G. e da C.F. sono fondati nei termini meglio precisati nell’esposizione in diritto. Il ricorso di C.P. è infondato.

2. Sono fondati i due motivi di ricorso – da trattare congiuntamente per ragioni di ordine logico – con cui il C. deduce che, nei sei mesi intercorsi tra l’assunzione della carica di amministratore delegato della R. G. s.p.a. e l’infortunio per cui si procede, egli non aveva potuto esplorare l’adeguatezza dell’organizzazione della sicurezza e dell’analisi del rischio di cui al DVR, per cui ciò determinava la carenza dell’elemento soggettivo del reato contestatogli e l’inesigibilità del rispetto della regola cautelare.

In linea generale va premesso che la colpa, infatti, ha un versante oggettivo, incentrato sulla condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare, e un versante di natura più squisitamente soggettiva, connesso alla possibilità dell’agente di osservare la regola cautelare.

Il rimprovero colposo riguarda infatti la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l’osservanza delle norme cautelari violate (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, E., Rv. 261106 e ss.). Il profilo soggettivo e personale della colpa è generalmente individuato nella possibilità soggettiva dell’agente di rispettare la regola cautelare, ossia nella concreta possibilità di pretendere l’osservanza della regola stessa: in poche parole, nell’esigibilità del comportamento dovuto.

Si tratta di un aspetto che può essere collocato nell’ambito del principio di colpevolezza, intesa anche con riferimento al suo profilo costituzionale (art. 27 Cost.), in quanto esprime il rimprovero personale rivolto all’agente.

Si tratta di un profilo della responsabilità colposa recentemente approfondito dalla giurisprudenza nel tentativo di personalizzare il rimprovero dell’agente attraverso l’introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell’oggettiva violazione di norme cautelari ma anche della concreta possibilità dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali e la situazione di fatto in cui ha operato (Sez. 4, n. 1096 del 08/10/2020, dep. 2021, V., Rv. 280188; Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019, R., Rv. 276797).

L’assunzione di una determinata carica, che comporti l’acquisizione di una posizione di garanzia, implica l’accertamento della sussistenza della concreta possibilità dell’agente di uniformarsi alla regola violata, valutando la situazione di fatto in cui ha operato.

In particolare, occorre stabilire tempi e modi di apprensione delle informazioni connesse al ruolo svolto in ordine al giudizio sull’esigibilità del comportamento dovuto, circostanza indispensabile per fondare uno specifico rimprovero per un atteggiamento antidoveroso della volontà.

Diversamente opinando, infatti, si porrebbe in capo al datore di lavoro un’inaccettabile responsabilità penale «di posizione», tale da sconfinare in responsabilità oggettiva, in luogo di una invece fondata sull’esigibilità del comportamento dovuto (sul rischio di sconfinamento nella responsabilità oggettiva in ragione della mera posizione assunta, vedi Sez. 4, n. 1096 del 08/10/2020, dep. 2021, V., non massimata sul punto; Sez. 4, n. 32507 del 2019 cit., non massimata sul punto; Sez. 4, n. 20833 del 03/04/2019, S., non massimata sul punto).

Nella fattispecie in esame, il C. assumeva la posizione di garanzia alla data di nomina quale amministratore delegato.

Nelle società di capitali, infatti, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 8118 del 01/02/2017, G., Rv. 269133, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza di condanna del Presidente del Consiglio di amministrazione di una società per l’infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancata manutenzione dei macchinari cui lo stesso era assegnato).

Nella sentenza impugnata si è affermato che, alla data di assunzione dell’incarico, (il C. avrebbe dovuto acquisire preventivamente notizie circa la situazione aziendale in materia di sicurezza e così porsi in condizione di adempiere immediatamente ai propri doveri.

Sul punto, tuttavia, deve rilevarsi che, nella fattispecie, la Corte territoriale non risulta aver svolto un adeguato accertamento in ordine all’elemento soggettivo e, in particolare, alla possibilità di pretendere il rispetto della regola cautelare violata.

Più nello specifico, è mancata una verifica finalizzata a verificare le ragioni del mancato avvio di iniziative in tema di sicurezza del lavoro e se, nel lasso temporale intercorrente tra la data di investitura quale legale rappresentante e quella del sinistro, alla luce delle dimensioni della società e della tipologia di attività espletata, egli poteva ragionevolmente mettersi in condizione di conoscere ogni eventuale problema connesso al lavoro dei dipendenti, operare gli approfondimenti tecnici necessari, anche attraverso deleghe a persone esperte ed effettuare una corretta valutazione dei rischi (Sez. 4, n. 55005 del 10/11/2017, Pesenti, non massimata sul punto).

In particolare, sebbene sia generalmente auspicabile, in un ambito di normali rapporti tra amministratori che si succedono tra loro, che prima della designazione il subentrante venga preventivamente informato della situazione della società in relazione a tutti i risvolti, tra cui quello della sicurezza sul lavoro, non è detto che ciò sia realmente avvenuto. Occorre anche stabilire i tempi per provvedere alle verifiche dello stato dei luoghi, per comunicare coi precedenti addetti, per predisporre gli appositi interventi tecnici qualora necessari, ecc..

A ciò va aggiunto che il dato riportato nella sentenza impugnata dei tre pregressi infortuni alle mani degli operai non appare decisivo al riguardo: trattandosi di un’azienda di elevate dimensioni, sarebbe stato necessario ripercorrere le modalità di tali vicende e specificare se riguardassero lo stesso settore di operatività del lavoratore infortunato.

In sostanza, è mancata un’analisi complessiva circa la possibilità del titolare della posizione di garanzia di incidere concretamente ai fini dell’eliminazione degli inconvenienti riscontrati, che avevano provocato l’evento lesivo.

3. E’ fondato anche il ricorso proposto dal C., legale rappresentante della società costruttrice del macchinario – I.S.G.I.C.M.A. s.p.a.

Il ricorrente osserva che, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, non era a conoscenza delle modifiche apportate al macchinario per adeguarlo alle esigenze produttive della R. G. s.p.a..

Va ricordato al riguardo, che la responsabilità colposa del costruttore, che deriva all’inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, cioè dalla mancata predisposizione dei sistemi di sicurezza previsti dalla normativa di settore e da quelli che, in relazione alla singola apparecchiatura, si rivelino idonei ad evitare che l’uso del macchinario costituisca pericolo per colui che lo utilizza, può essere esclusa solo quando si provi che l’utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura e di entità tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento (Sez. 4, n. 1216 del 26/10/2005, dep. 2006, M., Rv. 233174).

Qualora un infortunio sia dipeso dall’utilizzazione di macchine o impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell’imprenditore che li ha messi in funzione, senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta, non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi (Sez. 4, n. 2494 del 03/12/2009, dep. 2010, C., Rv. 246162; Sez. U, n. 1003 del 23/11/1990, dep. 1991, T., Rv. 186372). Il costruttore infatti, in quanto titolare di una posizione di garanzia, risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione del prodotto ove risulti privo dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza e sempre che l’utilizzatore non ne abbia fatto un uso improprio, tale da poter essere considerato causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l’evento (Sez. 4, n. 42110 del 21/10/2021, D., Rv. 282300; Sez. 4, n. 5541 del 08/11/2019, dep. 2020, S., Rv. 278445; Sez. 4, n. 39157 del 18/01/2013, B., Rv. 256390); a meno, quindi, che l’utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tali da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento (Sez. 4, n. 5541 dell’8/11/2019, dep. 2010, S., Rv. 278445). Né rileva, di per sé, la distanza temporale della condotta colposa rispetto all’evento da essa causato (Sez. 4, n. 5541 del 2019 cit.).

Ciò posto sui principi operanti in materia, va osservato che, nella fattispecie in esame, il C. aveva costruito un solo macchinario (la calandra) e non il complesso macchinario denominato “Linea di estrusione 1”, al quale la R. G. s.p.a. aveva aggiunto modifiche mediante l’installazione di un componente nuovo (Trasco) e di una testa di estrusione di dimensioni ridotte rispetto a quella prevista dal progetto.

Il macchinario, pertanto, era stato alterato in senso diverso rispetto a quello originario, che aveva ottenuto la certificazione CE. Tali innovazioni avrebbero comportato la necessità di un positivo espletamento di un nuovo iter certificativo per conseguire la marcatura CE.

Come dimostrato dal documento – acquisito ex art. 234 cod. proc. pen. al fascicolo per il dibattimento – denominato “offerta n. 12.09.386-1/ZZ – Linea calandratura lastra WPC” – e depositato nella presente sede ai fini dell’autosufficienza, l’atto societario dal quale la Corte di appello ha desunto la conoscenza da parte della I. delle modifiche effettuate dalla R. G.. s.p.a. riguardava un banco di raffreddamento da inserire eventualmente tra calandra e rastrelliera, mentre la R. sostituiva non l’estrusore bensì la testa di estrusione e posizionava autonomamente un diverso componente, il T., avente funzione del tutto differente.

Sotto il profilo contrattuale, il rapporto tra costruttore ed acquirente cessava alla data della vendita. Il costruttore, pertanto, non poteva sapere anticipatamente che l’acquirente avrebbe modificato il macchinario né, tanto meno, che sarebbe stato profondamente alterato rispetto alla struttura originaria con un componente di tipologia nettamente diversa. Né ovviamente il fabbricante aveva poteri di controllo per verificare la permanenza delle condizioni di sicurezza e per scongiurare modifiche al macchinario rischiose per l’incolumità degli operatori.

Le modifiche sostanziali apportate dalla R. G. s.p.a. al macchinario venduto e originariamente certificato dalla I., pertanto, determinavano quantomeno l’interruzione del nesso causale rispetto all’evento infortunistico.

In sostanza, il C. non aveva nessun dovere di compiere azioni per evitare i pericoli insorti ex post a seguito delle modifiche apportate dal compratore, in quanto, ai sensi dell’art. 15 d.Lgs. n. 17 del 2010 (art. 15) è punito “chiunque apporta modifiche ad apparecchiature dotate della prescritta marcatura CE, che comportano la non conformità ai medesimi requisiti”. Si trattava di un’innovazione dovuta ad esclusiva volontà ed all’autonoma iniziativa dell’utilizzatore dell’impianto, non prevista dal contratto di vendita e difforme da qualsiasi indicazione del costruttore.

In conseguenza delle modifiche al macchinario non previste dal costruttore, pertanto, si realizzava un subentro dell’acquirente nella posizione di garanzia, per non aver assolto all’obbligo di fornire misure di sicurezza utili ed efficaci.

4. Il ricorso proposto dal C. è infondato.

4.1. Con riferimento al primo motivo di ricorso, con cui si contesta l’affermazione di responsabilità dell’imputato, va osservato che il C. è stato riconosciuto responsabile in qualità di dirigente dello stabilimento delegato per la sicurezza sin dal 2001, avente l’onere di verificare la regolarità dei macchinari messi a disposizione dei dipendenti, il quale non poteva ritenersi assolto solo confidando nella certificazione della conformità alla normativa di sicurezza nazionale e comunitaria da parte del fornitore della calandra.

In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, infatti, grava su ogni gestore del rischio, nell’alveo del suo compito fondamentale di vigilare sull’attuazione delle misure di sicurezza, l’obbligo di verificare la conformità dei macchinari alle prescrizioni di legge e di impedire l’utilizzazione di quelli che, per qualsiasi causa – inidoneità originaria o sopravvenuta -, siano pericolosi per la incolumità del lavoratore che li manovra (Sez. 4, n. 3917 del 17/12/2020, dep. 2021, D.M., Rv. 280382; in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva ritenuto entrambi responsabili il direttore generale della società e il responsabile di stabilimento, dotati di specifiche deleghe in materia di sicurezza, per le lesioni di cui era rimasto vittima un lavoratore in conseguenza dell’uso di un macchinario privo dei necessari dispositivi di sicurezza).

Nella sentenza impugnata si è precisato che, ricoprendo da ventidue anni la carica di responsabile della produzione all’interno della società, conosceva perfettamente le esigenze produttive ed era consapevole delle intervenute modifiche al macchinario, estremamente pericoloso in ragione della presenza di pesanti rulli in movimento non interamente segregati in un punto, dove era previsto il frequente impiego di operai.

La Corte territoriale ha rilevato una carenza nei ripari, cioè nelle misure tecniche atte a prevenire il contatto coi rulli in movimento, in quanto le parti scoperte del macchinario avevano causato la tritatura delle dita, essendo stato impiantato un estrusore (macchina, usata soprattutto nell’industria delle materie plastiche, che permette di ottenere degli estrusi, ossia delle forme di sezione costante prestabilita dalla forma della trafila e di lunghezza determinata dall’intervallo di taglio) di dimensioni diverse rispetto a quello originario.

Stanti l’intervenuta modifica ed il ruolo di responsabile della sicurezza, il C. era sicuramente a conoscenza delle innovazioni apportate al macchinario, che avrebbe dovuto verificare personalmente, senza affidarsi alla preg ressa certificazione CE, ormai inadeguata perché rilasciata in ragione delle caratteristiche originarie.

Il ricorrente non si confronta con le logiche argomentazioni illustrate dalla Corte di merito e incentra la propria critica sulla non visibilità delle modifiche apportate. La decisione impugnata si colloca infatti nel solco da tempo tracciato dalla giurisprudenza di legittimità che, in plurime pronunce, ha ribadito la concorrente responsabilità del datore di lavoro con quella del costruttore, nel caso di evento dannoso provocato dall’inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina. Grava, infatti, sul datore di lavoro l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare le predette macchine e di adottare tutti i più moderni strumenti offerti dalla tecnologia per garantire la sicurezza dei lavoratori (Sez. 4, n. 41147 del 27/10/2021, F., Rv. 282065; Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, M.P., Rv. 275114).

4.2. Col secondo e col terzo motivo di ricorso il ricorrente si duole del mancato accoglimento di plurime richieste di rinnovazione istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen..

Va ricordato che, in base all’insegnamento di questa Corte, l’art. 603, commi 1 e 3, cod. proc. pen., stabilisce che la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in grado di appello ha luogo quando il giudice è impossibilitato a decidere allo stato degli atti e ritiene assolutamente necessaria la prova richiesta; tale previsione, interpretata alla luce dell’art. 111 Cost., consente al giudice – nel caso in cui la situazione processuale presenti effettivamente un significato incerto – di ammettere la prova richiesta che venga ritenuta decisiva ed indispensabile, ossia che possa apportare un contributo considerevole ed utile al processo, risolvendo i dubbi o prospettando una soluzione differente (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, R., Rv. 266820). In tema, infatti, opera pacificamente il principio della presunzione di completezza dell’istruttoria in primo grado.

La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello, pertanto, deve ritenersi un’evenienza eccezionale, subordinata ad una valutazione giudiziale di assoluta necessità conseguente all’insufficienza degli elementi istruttori già acquisiti, che impone l’assunzione di ulteriori mezzi istruttori pur se le parti non abbiano provveduto a presentare la relativa istanza nel termine stabilito dall’art. 468 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 41808, del 2/9/2013, M., Rv. 256968). Si è, altresì, chiarito che con il ricorso per Cassazione può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 273577; Sez, 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, PR., Rv. 261799; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, dep. 2014, C., Rv. 258236).

Tanto premesso sui principi operanti in materia, la Corte piemontese ha fornito una motivazione lineare e coerente in ordine alle ragioni della non necessità delle varie integrazioni istruttorie (acquisizioni documenti, testimonianze):

1) Il ricorrente evidenzia che l’esame del teste C. del M.I.S.E. era finalizzato a meglio circostanziare la prova documentale prodotta all’udienza del 5 aprile 2018 e costituita dalle segnalazioni indirizzate dal Dipartimento di Prevenzione S.Pre.S.A.L. – sede di Pinerolo – del 24 dicembre 2014 (rif. prot.11o 013444733/643), con le quali era richiesto al M.I.S.E. l’avvio delle procedure di cui all’art. 6, comma 3, d.lvo n. 17 del 2010: tale esito, tuttavia, non rilevava ai fini del giudizio, non assumendo rilievo nella fattispecie il dato formale – ossia la presenza della certificazione CE sul macchinario – bensì il dato sostanziale, cioè la successiva installazione su tale macchinario di una nuova componente, all’uopo predisposta per soddisfare le esigenze della produzione – che aveva reso la calandra insicura, da un punto di vista del rispetto della normativa antinfortunistica, in quanto, a seguito di tale modifica, essa presentava degli organi in movimento non protetti;

2) L’esame dei testi F. e G. non poteva, ugualmente, con giudizio ex post, definirsi necessario in quanto i rapporti fra la R. G. e la I. erano stati adeguatamente ricostruiti attraverso le produzioni documentali, di guisa che le dichiarazioni di tali soggetti non avrebbero mai potuto aggiungere ovvero smentire il rilievo probatorio posseduto da un documento avente valore giuridico (come un certificato di collaudo, un documento fiscale, ecc.).

In sostanza, per entrambe le richieste integrazioni istruttorie, la risposta negativa della Corte di appello si è basata sulla corretta osservazione della mancanza di rilievo dei dati formali (certificazione CE, certificato di collaudo), occorrendo invece che il C. eseguisse la verifica in concreto delle condizioni del macchinario, potendo egli avvedersi ictu oculi che la calandra sulla quale era intento al lavorare G.A. non era sicura, in quanto gli organi in movimento della stessa erano avvicinabili, anche accidentalmente, dal lavoratore.

Analoghe considerazioni valgono anche con riferimento alle richieste di acquisizioni di documentazione varia, finalizzata principalmente a far rilevare l’esistenza di profili di pericolosità del macchinario non comunicati dal produttore.

La richiesta di acquisizione di documenti ex art. 234 cod. proc. pen. era stata rigettata, perché la difesa intendeva dimostrare che la calandra, acquistata nell’anno 2010, era stata sottoposta ad un doppio collaudo: uno presso lo stabilimento di produzione ed uno presso i locali della R. G. s.p.a. e che la produzione era finalizzata a smentire l’affermazione che la calandra non fosse stata collaudata. La Corte territoriale ha ritenuto tale motivo di impugnazione inammissibile, in quanto non illustrava quali limitazioni del diritto alla controprova fossero derivate al C., il quale aveva comunque riferito in merito al contenuto dei documenti dei quali il Tribunale non aveva disposto l’acquisizione ex artt. 234 e 237 cod. proc. pen..

In ogni caso, come sopra analizzato, si è evidenziato che la vicenda non era ascrivibile a responsabilità del costruttore, bensì alle indebite modifiche successivamente apposte da parte dell’utilizzatore sul macchinario, in modo da aumentarne la pericolosità, senza adottare le conseguenti misure precauzionali per i lavoratori.

4.3. Col quarto motivo di ricorso il ricorrente si duole del diniego della circostanza attenuante del risarcimento del danno prevista dall’art. 62, n. 6, cod. pen.

Va rammentato che, secondo il consolidato principio di questa Corte, l’attenuante del risarcimento del danno di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, prima parte, cod. pen. esige esclusivamente che la riparazione del danno – mediante le restituzioni o il risarcimento – sia integrale e avvenga prima del giudizio, non richiedendo, invece, che l’attività del reo sia anche spontanea (come nella seconda ipotesi della stessa disposizione), giacché è sufficiente che si tratti di attività volontaria (Sez. 2, n. 46758 del 24/11/2021, S., Rv. 282321).

Peraltro, la quietanza integralmente liberatoria rilasciata dalla parte offesa non è ex se vincolante, essendo rimesso al sindacato del giudice l’apprezzamento dell’avvenuto ravvedimento del reo e della neutralizzazione della sua pericolosità sociale, che l’integrale risarcimento del danno implica (Sez. 5, n. 116 del 08/10/2021, dep. 2022, M., Rv. 282424). Analogamente, anche la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, C., Rv. 278368).

Nella fattispecie in esame, il Tribunale, con motivazione integralmente condivisa dalla Corte territoriale, ha osservato che non era stato fornito al Giudice nessun elemento di prova in ordine al quantum di danno risarcito (rectius: indennizzato) dall’I.N.A.I.L., per cui non poteva essere compiuta nessuna stima circa la natura integralmente satisfattiva della somma offerta a titolo risarcitorio dall’appellante.

In proposito, si è logicamente osservato che il C. non si era attivato per corrispondere un risarcimento né per partecipare a quanto corrisposto dalla R..

In base a tali considerazioni non è stato riconosciuto il diritto al risarcimento, evidenziandosi che il risarcimento del danno prima del giudizio rappresenta una prova tangibile dell’avvenuto ravvedimento del reo e, quindi, della sua minore pericolosità sociale, deve essere totale ed effettivo, non potendo ad esso supplire un ristoro soltanto parziale. Si è osservato, con motivazione immune da vizi rilevabili in sede di legittimità, che il dato fornito non risultava sufficientemente preciso, per consentire di verificare la possibilità di ritenere il risarcimento integrale e pienamente soddisfacente per la parte civile.

5. Per tali ragioni la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di C.G. perché il fatto non sussiste.

La sentenza va impugnata nei confronti di C.F. con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.

Il ricorso proposto dal C. va rigettato con conseguente condanna del medesimo al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di C.G. perché il fatto non sussiste.

Annulla la medesima sentenza nei confronti di C.F. e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Torino.

Rigetta il ricorso di C.P. che condanna al pagamento delle spese processuali.