CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 33820 depositata il 30 novembre 2020
Reati tributari – Occultamento o distruzione delle scritture e dei documenti contabili obbligatori – Condanna – Giudicato esterno – Sentenza di assoluzione per il reato di bancarotta – Rilevanza – Obbligo di valutazione da parte del giudice
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza emessa in data 12 luglio 2019, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Monza che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato la penale responsabilità di O.F. e di D.V., il primo per il reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini IVA per l’anno 2011 per la società cooperativa “L.S. a r.l.”, a fronte di componenti positivi pari a 1.624.306,00 euro, cui corrisponde un debito di imposta pari a 324.895,00 euro, ed entrambi per il reato di occultamento o distruzione delle scritture e dei documenti contabili obbligatori della medesima società al fine di non consentire la ricostruzione del volume degli affari della stessa, commesso con condotta accertata in epoca anteriore e prossima al 6 marzo 2012, e li ha condannati alle pene ritenute di giustizia.
2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe O.F. e D.V., con un unico atto a firma degli avvocati F.V. e F.P., articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli art. 234 e 238-bis cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo alla omessa valutazione della sentenza di assoluzione di O.F. per il reato di bancarotta fraudolenta.
Si deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto la sentenza di assoluzione emessa dal G.u.p. del Tribunale di Monza il 14 marzo 2019 nei confronti di O.F. per il reato di bancarotta fraudolenta non ancora irrevocabile. Si rappresenta che la sentenza di assoluzione appena citata era divenuta irrevocabile il 29 maggio 2019, per la mancata proposizione di impugnazioni, e, quindi, prima dell’udienza del 12 luglio 2019, data in cui era stata prodotta, e che tale effetto prescinde dall’apposizione dell’annotazione da parte della cancelleria.
Si deduce, inoltre, che, anche a non voler ritenere la sentenza ancora irrevocabile, la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare la stessa come documento, a norma dell’art. 234 cod. proc. pen, e, quindi, come prova della esistenza della decisione e delle vicende processali in essa rappresentate.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 620, lett. h), cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo al mancato rilievo del contrasto di giudicati tra la sentenza di primo grado del presente processo e la sentenza di assoluzione per il reato di bancarotta fraudolenta.
Si deduce che è stato violato il divieto di bis in idem nella sua dimensione processuale. Si premette che la sussistenza di un rapporto di specialità tra il reato di bancarotta ed il reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 determina l’ammissibilità di un concorso formale tra gli stessi, ma non preclude la possibile incompatibilità tra distinte decisioni aventi ad oggetto i due reati. Si segnala, poi, che, nella specie, la citata sentenza di assoluzione di F. per non aver commesso il fatto dall’accusa concernente il reato di bancarotta fraudolenta ha affermato la completa estraneità del medesimo ai fatti in contestazione, in quanto «posto a paravento del vero artefice della bancarotta documentale».
Si osserva, quindi, che F., se, non era l’effettivo amministratore della società cooperativa “L.S. a r.l.” secondo la sentenza di assoluzione per il reato di bancarotta, non poteva essere l’amministratore del medesimo ente ai fini della configurabilità del reato tributario, avente ad oggetto il medesimo fatto materiale, ossia l’occultamento o distruzione di documenti contabili, e che, per questo, si impone l’assoluzione anche dal reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000. Si aggiunge, infine, che identica conclusione deve valere anche per V., pur formalmente non imputato nel processo per bancarotta a carico di F.: si evidenzia che, secondo la sentenza di assoluzione più volte richiamata, altri era l’effettivo responsabile della tenuta delle scritture contabili, e precisamente il commercialista B., reale gestore della società.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di occultamento o distruzione di documenti contabili.
Si deduce che la sentenza impugnata erroneamente ha ritenuto la protrazione della condotta illecita di V. fino alla data dell’accertamento dell’occultamento delle scritture e dei documenti contabili, compiuto il 22 novembre 2012, sebbene questi sia stato sostituito da F. nella carica di amministratore della società “L.S. a r.l.” il 29 marzo 2011.
Si osserva che un amministratore non può rispondere della tenuta della contabilità per il periodo successivo alla dismissione dalla carica (si cita Sez. 5, n. 15988 del 11/03/2019).
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini IVA.
Si deduce che la sentenza impugnata ha premesso che è indiscussa la mancata presentazione di dichiarazioni fiscali da parte della società “L.S. a r.l.”, ma non ha spiegato perché la soglia di punibilità deve ritenersi superata.
3. O.F., con atto a firma degli avvocati F.V. e F.P., ha articolato un motivo nuovo, con il quale chiede l’applicazione della continuazione tra la condanna irrogata dalla sentenza impugnata ed altra condanna emessa il 14 gennaio 2019.
Si premette che l’istanza è stata presentata in questa sede, perché la condanna pronunciata in altro processo è divenuta irrevocabile solo dopo la pronuncia della sentenza impugnata, e precisamente dopo dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione in data 28 novembre 2019. Si rileva, poi, che le condotte, in entrambi i casi, riguardano il reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, la medesima società “L.S. a r.l.”, e due periodi temporali contigui, precisamente gli anni di imposta 2010 e 2011.
Considerato in diritto
1. Il ricorso di O.F. è fondato limitatamente alla parte in cui contesta la mancata valutazione dei fatti indicati nella sentenza irrevocabile di assoluzione nei suoi confronti per il reato di bancarotta, ai fini del giudizio in ordine alla sua responsabilità per il reato di occultamento di documenti contabili ex art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, mentre è inammissibile nel resto.
Il ricorso di D.V., invece, è infondato.
2. Fondate sono le censure dedotte nei primi due motivi di ricorso, nelle parti riferite ad O.F., che debbono essere esaminate congiuntamente, e che contestano la mancata valutazione dei fatti indicati nella sentenza irrevocabile di assoluzione nei suoi confronti per il reato di bancarotta, ai fini del giudizio in ordine alla sua responsabilità per il reato di occultamento di documenti contabili ex art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000.
2.1. Secondo un principio più volte affermato e mai contestato nella giurisprudenza di legittimità, qualora nel corso del giudizio venga prodotta una sentenza passata in giudicato, che accerta fatti che si assumono essere inconciliabili con quelli in contestazione, il giudice è tenuto, onde evitare che si determini una situazione tale da giustificare una futura richiesta di revisione, a verificare la possibile incidenza della decisione irrevocabile, e degli elementi di fatto da essa risultanti, sulla posizione dell’imputato (così Sez. 2, n. 292 del 04/12/2013, dep. 2014, Coccorullo, Rv. 257993-01, nonché Sez. 5, n. 81 del 24/10/2005, dep. 2006, Atrany, Rv. 232637-01).
Il Collegio ritiene di dover condividere questo principio sia per le evidenti ragioni di economia processuale, e di razionalità dell’accertamento giudiziale, sia per l’esigenza di evitare il rischio ragionevole, e verificabile, di una condanna “ingiusta”, sebbene suscettibile di revisione.
2.2. Deve inoltre precisarsi che l’obbligo del giudice di merito di verificare la possibile incidenza della decisione irrevocabile, e degli elementi di fatto da essa risultanti, impone al medesimo giudice, qualora abbia dubbi circa l’irrevocabilità della stessa, di esperire tutti gli accertamenti utili.
Ed infatti, deve considerarsi che i dubbi in ordine all’irrevocabilità della decisione debbono essere superate, perché la questione della producibilità della stessa a norma dell’art. 238-bis cod. proc. pen. può essere riproposta con esito positivo davanti alla Corte di cassazione. Si è infatti più volte affermato che, in sede di legittimità, è consentita l’acquisizione di una sentenza irrevocabile quando l’interessato non sia stato in grado di produrla nei precedenti gradi di giudizio, e che tale evenienza, non potendo essere la precisata decisione oggetto di valutazione ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen. davanti alla Corte di cassazione, impone l’annullamento con rinvio della pronuncia impugnata al fine di una rivalutazione nel merito della situazione probatoria emersa nel giudizio non ancora definito a seguito della proposizione del ricorso, ferme restando le preclusioni processuali già formate (così, per tutte, Sez. 2, n. 19409 del 13/02/2019, Biscotti, Rv. 276653, e Sez. 5, n. 38569 del 07/2014, Dell’Orefice, Rv. 259904-01, entrambe con riferimento ad una decisione divenuta irrevocabile nelle more del giudizio di legittimità, che, pur nota nel suo contenuto, non era stata oggetto di valutazione da parte del giudice di merito).
2.3. Nella specie, la sentenza impugnata si è limitata ad affermare che la sentenza prodotta nel giudizio di appello non era ancora irrevocabile – erroneamente, perché era divenuta tale il 29 maggio 2019, quindi un mese e mezzo prima dell’udienza conclusiva – e che, comunque, siccome relativa al reato di bancarotta fraudolenta documentale è priva di rilevanza, posto che questo reato e quello di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 possono concorrere.
La sentenza prodotta nel giudizio di appello nell’interesse dell’odierno ricorrente, ed allegata anche al ricorso in esame, però, nel decidere sull’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale nei confronti di O.F., esamina la posizione del medesimo all’interno della società “L.S. a r.l.”
O.F. è stato assolto dall’accusa di bancarotta fraudolenta documentale per non aver commesso il fatto, perché, pur essendo il liquidatore dell’ente, deve essere ritenuto non consapevole del ruolo assunto. La sentenza passata in giudicato, in particolare, rappresenta che F., persona munita di semplice licenza elementare, ha dichiarato di essere stato indotto ad assumere la carica di amministratore della società per conservare il posto di lavoro, quale operaio della ditta, dal vero gestore della stessa, il commercialista A.B., il quale aveva anche conservato il potere di firma sul conto corrente. La sentenza, poi, aggiunge che il precisato B. ha ammesso di aver avuto il possesso di una carta di credito, di un telefono e di un’autovettura intestati alla società e che anche il precedente amministratore, l’odierno coimputato D.V., ha indicato B. come socio di fatto e tenutario della contabilità aziendale.
2.4. In considerazione dei principi giuridici evidenziati degli elementi di fatto rilevati, deve ritenersi che la sentenza impugnata ha violato il dovere di verificare quale fosse l’incidenza della decisione irrevocabile prodotta, e degli elementi di fatto da essa risultanti, sulla posizione dell’imputato ai fini della ricostruzione del fatto sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000.
Il problema, infatti, non è quello dell’autonomia dei giudizi concernenti il reato di bancarotta fraudolenta documentale e di occultamento di documenti contabili, come erroneamente ritiene la sentenza impugnata.
Il problema attiene alla corretta ricostruzione del fatto.
Invero, posto che il ricorrente – in ragione di quanto accertato nel processo a suo carico per bancarotta fraudolenta documentale – risulta essere completamente estraneo alla concreta gestione aziendale, resta da verificare se il medesimo non abbia avuto alcuna contezza delle scritture contabili, e queste non siano state occultate già da epoca precedente all’assunzione, da parte di lui, della carica di amministratore e poi di liquidatore della società.
La necessità di verificare questa ipotesi discende da quanto evidenziato nella stessa sentenza impugnata: tale pronuncia, infatti, rappresenta che la documentazione contabile fu esaminata dalla Direzione provinciale del lavoro nel marzo/aprile 2010 e che il commercialista B. ha riferito notizie sull’esistenza di tale documentazione presso la società “L.S. a r.l.” fino alla fine del 2010, ossia epoche in cui amministratore era ancora D.V., rimasto in tale carica dal 23 gennaio 2007 al 28 marzo 2011, e sostituito da F. solo il 29 marzo 2011.
3. Manifestamente infondate e in parte diverse da quelle consentite sono le censure enunciate nel quarto motivo di ricorso, specificamente relativo ad O.F., che contestano l’affermazione di responsabilità del medesimo per il reato di omessa presentazione della dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto per l’anno 2011, sul rilievo dell’omessa motivazione circa il superamento della soglia di punibilità.
3.1. Occorre innanzitutto precisare che le ragioni poste a base dell’annullamento della condanna per il reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, non sono tali da determinare il medesimo esito con riferimento al reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000.
Il reato di omessa presentazione della dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto è un reato proprio, che si ricollega alla violazione di un preciso obbligo gravante su chi riveste la carica di rappresentante legale di una società, indipendentemente dal ruolo di effettivo gestore dell’impresa o di mero prestanome.
Di conseguenza, il legale rappresentante “prestanome”, se omette di presentare la dichiarazione fiscale, in caso di superamento della soglia di punibilità, realizza, in ogni caso, sotto il profilo oggettivo, la condotta delittuosa di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000.
Resta da esaminare solo il profilo dell’elemento psicologico, la cui sussistenza però, può essere desunta anche da indizi.
Nella specie, da un lato, nessuna specifica questione è stata sollevata in ordine al profilo della sussistenza del dolo specifico.
Dall’altro, comunque, l’accettazione di una carica nel più completo disinteresse dei doveri alla stessa connessi, e nella consapevolezza che altri gestiscono occultamente l’impresa, la conoscenza della realtà aziendale, in quanto già dipendente della stessa, e l’elevatissima componente positiva di reddito emersa, pari a 1.624.306,00 euro nell’anno 2011, sono elementi idonei a ritenere non manifestamente illogica o lacunosa l’affermazione della sussistenza del dolo specifico in capo al ricorrente.
3.2. Va poi rilevato, quanto alla questione specificamente dedotta nel ricorso, concernente l’omessa motivazione in ordine al superamento della soglia di punibilità, che la sentenza impugnata non è affetta da alcuno vizio o lacuna.
Invero, la Corte d’appello non solo ha fatto riferimento alla sentenza di primo grado, anche laddove questa aveva affermato che i ricavi erano pari a 1.624.306 euro, cui corrispondeva IVA da versare per 324.895,00 euro.
Ma, soprattutto, ha risposto in modo puntuale al motivo di appello in proposito. Le censure formulate sul punto con il gravame contestavano che l’imponibile era stato determinato sulla scorta dei soli ricavi, al lordo dei costi di esercizio, il cui computo avrebbe attestato l’evasione al di sotto della soglia. Il Giudice di secondo grado ha puntualmente osservato che non è stata fornita alcuna prova certa dei costi sostenuti dalla società, solo genericamente richiamati, in assenza di qualunque documentazione.
4. Manifestamente infondate sono le censure presentate con i motivi nuovi nell’interesse di O.F., e che attengono alla richiesta di applicazione della continuazione tra la condanna irrogata dalla sentenza impugnata ed altra condanna emessa il 14 gennaio 2019.
È sufficiente richiamare, in proposito, l’ormai ampiamente consolidato principio secondo cui è improponibile davanti alla Corte di cassazione la richiesta di applicazione della continuazione tra il reato per il quale si procede, ancora sub iudice, e altro reato, per il quale sia intervenuta condanna definitiva successivamente alla pronuncia della sentenza gravata di ricorso, potendo in tal caso la continuazione essere applicata in sede esecutiva (cfr., per tale enunciazione, tra le tantissime, Sez. 6, n. 54638 del 20/09/2018, Rodriguez, Rv. 274708-01, e Sez. 2, n. 31974 del 02/07/2015, Ciavoni, Rv. 264180-01, alla cui motivazione, estremamente articolata, si rinvia, per l’individuazione delle ragioni giustificative di tale indirizzo; per la soluzione opposta, ormai meno diffusa, la più recente massimata è Sez. 4, n. 49810 del 16/10/2012, Ferrara, Rv. 254091-01).
5. Manifestamente infondate e in parte diverse da quelle consentite sono le censure formulate nei primi due motivi di ricorso, nelle parti riferite a D.V., che debbono essere esaminate congiuntamente, e che contestano la mancata valutazione dei fatti indicati nella sentenza irrevocabile di assoluzione nei confronti di O.F. per il reato di bancarotta, ai fini del giudizio in ordine alla responsabilità di V. per il reato di occultamento dei documenti contabili ex art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000.
L’accertamento contenuto nella sentenza di bancarotta fraudolenta documentale nei confronti di O.F., e che evidenzia il ruolo di mero prestanome di quest’ultimo, privo di qualunque conoscenza dei fatti aziendali, non opera automaticamente, per traslazione, anche a vantaggio di D.V.
Invero, in disparte da ogni altra considerazione, D.V. è stato legale rappresentante della “L.S. a r.l.”, in un periodo diverso, rispetto ad O.F., di durata ben più lunga, e durante il quale certamente esistevano documenti e scritture contabili di cui era obbligatoria la conservazione.
Si è già segnalato, precisamente, che: a) D.V. è stato amministratore della società dal 23 gennaio 2007 al 28 marzo 2011, mentre O.F. è stato legale rappresentante dell’ente, dapprima come amministratore e poi come liquidatore, dal 29 marzo 2011 in poi; b) la documentazione contabile dell’impresa è stata esaminata dalla Direzione provinciale del lavoro nel marzo/aprile 2010 ed è stata indicata dal commercialista B. come esistente e presente presso la sede della società fino alla fine del 2010, ossia periodi in cui amministratore era sempre (e solo) D.V.
Di conseguenza, la sentenza di assoluzione di O.F. per il reato di bancarotta fraudolenta documentale non evidenzia alcuna situazione tale, di per sé, da giustificare una futura richiesta di revisione dell’affermazione di responsabilità di D.V. in ordine all’occultamento dei documenti e delle scritture contabili della società “L.S. a r.l.”.
6. Infondate, infine, sono le censure esposte nel terzo motivo di ricorso, specificamente relativo a D.V., che contestano l’affermazione di colpevolezza, a carico del medesimo, per il reato di occultamento di documenti contabili, deducendo che un amministratore non può rispondere della tenuta della contabilità per il periodo successivo alla dismissione dalla carica.
6.1. Occorre rilevare, innanzitutto, che il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili ex art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 non è un reato proprio, perché può essere commesso da «chiunque», sicché è irrilevante, ai fini della sua configurabilità, se l’imputato sia o meno amministratore dell’ente cui si riferiscono i documenti e le scritture contabili che si assumono occultate (o distrutte).
Va poi evidenziato che nessun argomento in contrario può essere desunto dal precedente citato nel ricorso, perché, anzi, questa decisione rappresenta espressamente che l’amministratore cessato dalla carica risponde dell’occultamento della contabilità relativa al periodo della sua gestione; si precisa infatti: «l’amministratore cessato rimane responsabile per l’effettiva e regolare tenuta della contabilità nel periodo in cui ha ricoperto la carica, rispondendo altresì dell’eventuale occultamento della stessa, in tutto o in parte, al momento del passaggio delle consegne al nuovo amministratore» (così Sez. 5, n. 15988 del 11/03/2019, non massimata, in motivazione, § 2.1).
Nella specie, la documentazione contabile della società “L.S. a r.l.” è stata esaminata dalla Direzione provinciale del lavoro nel marzo/aprile 2010 ed è stata indicata dal commercialista B. come esistente e presente presso la sede della società fino alla fine del 2010: la stessa, quindi, era esistente proprio quando l’amministratore dell’impresa era D.V.. Della stessa, invece, non risulta alcuna traccia nel periodo successivo, quando amministratore e poi liquidatore è stato O.F.. La Corte d’appello evidenzia come la “scomparsa” della documentazione contabile sia avvenuta dopo un accesso ispettivo da cui erano derivate conseguenze pregiudizievoli per la società, e in correlazione con la condizione di “evasore totale” della medesima.
In considerazione di quanto indicato, risulta immune da vizi la conclusione della sentenza impugnata secondo cui D.V. ha occultato i documenti e le altre scritture contabili obbligatorie della società “L.S. a r.l.”, in modo da non consentire la ricostruzione del volume di affari di tale ente.
6.2. Per completezza, occorre aggiungere che corretta è anche la individuazione della data del commesso reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, ascritto a D.V..
La data del reato in questione è stata indicata in epoca antecedente e prossima al 6 marzo 2012, giorno degli accertamenti da cui era emersa la indisponibilità della documentazione contabile.
Ora, come affermato costantemente dalla giurisprudenza, il reato di occultamento di documenti contabili di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 costituisce un reato permanente, che si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorre il termine di prescrizione (così, per tutte Sez. 3, n. 14461 del 25/05/2016, dep. 2017, Quaglia, Rv. 269898-01, e Sez. 3, n. 38376 del 09/07/2015, Palermo, Rv. 264676-01).
Inoltre, si è anche precisato che, quando si contesta l’occultamento o, in alternativa, la distruzione delle scritture contabili, l’imputato, per avvalersi della maturazione della prescrizione in conseguenza della qualificazione della condotta come distruttiva, deve dimostrare sia la circostanza che la documentazione contabile è stata distrutta, e non semplicemente occultata, sia l’epoca di tale distruzione (così, ancora, Sez. 3, n. 14461 del 2017, cit.).
7. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di O.F. limitatamente all’affermazione di responsabilità per il reato di occultamento delle scritture contabili, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo giudizio su tale capo.
Il giudice del rinvio accerterà, alla luce di tutti gli elementi disponibili, e di quelli ulteriori eventualmente necessari, se O.F. abbia o meno istituito o comunque avuto la disponibilità di scritture contabili o di documenti di cui era obbligatoria la conservazione, per poi occultarli, ovvero, in caso negativo, se sia o meno dolosamente concorso nella condotta di occultamento da altri realizzata.
La manifesta infondatezza e la diversità da quelle consentite delle ulteriori censure dedotte da O.F. determinano l’inammissibilità del suo ricorso nel resto, con conseguente irrevocabilità dell’accertamento della responsabilità penale del medesimo per il reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, e della pena irrogata a tale titolo, pari ad un anno e quattro mesi di reclusione, all’esito dell’applicazione della diminuente per il rito abbreviato.
La complessiva infondatezza delle censure proposte da D.V., invece, determina il rigetto del ricorso di questi e la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con riguardo a F.O. limitatamente all’occultamento delle scritture contabili con rinvio per nuovo giudizio su tale capo ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso dello stesso.
Rigetta il ricorso di V.D. che condanna al pagamento delle spese processuali.
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