CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 34600 depositata il 20 settembre 2022
Lavoro irregolare – Reato di caporalato – Nozione di stato di bisogno – Profitto confiscabile ex art. 603-bis.2 c.p.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza depositata il 15 dicembre 2021, a scioglimento della riserva assunta il 18 novembre, il Tribunale di Pavia, in funzione di Tribunale del riesame per le misure cautelari reali, ha rigettato l’istanza di riesame presentata nell’interesse di F.C. in relazione al sequestro del compendio aziendale e delle quote sociali, nonché al sequestro preventivo nei confronti del medesimo (oltreché dei coindagati A.C. e L.S.), nella sua qualità di amministratore di fatto della F.A.O.I.C. sociale – o, in caso di incapienza, a carico della citata società -, finalizzato alla confisca diretta o, in subordine, per equivalente ex art. 603-bis.2 cod.pen., fino alla concorrenza della somma di € 167.155,82.
Tanto in relazione ad ipotesi di reato di frode in pubbliche forniture, turbativa d’asta e sfruttamento dei lavoratori (artt. 356, 353, 603-bis cod.pen.) a carico dei predetti indagati A. e F.C. e L.S., oltreché dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25-quinquies contestato alla predetta società.
1.1. Oggetto del procedimento sono in primo luogo le presunte irregolarità della gara d’appalto originata da una delibera dell’ASST di Pavia in data 23 dicembre 2016, la cui aggiudicazione aveva condotto all’assunzione, da parte della F.A., di servizi di trasporto sanitario presso vari presidi ospedalieri disseminati su tutto il territorio nazionale, mediante gare d’appalto di cui si é ipotizzata l’irregolarità (con conseguente imputazione provvisoria di turbata libertà degli incanti e di frode nelle pubbliche forniture) nei confronti di vari personaggi, tra cui A. e F.C., ritenuti amministratori di fatto della F.A., nei cui confronti é stata anche emessa ordinanza applicativa di misura cautelare personale. Nel prosieguo delle indagini, sono stati raccolti altresì elementi deponenti per attività di caporalato nell’esecuzione dei servizi di trasporti sanitari affidati alla F.A., nei confronti del personale impiegato in detti servizi.
1.2. L’ordinanza del Tribunale pavese, dopo avere respinto l’eccezione di incompetenza per territorio sollevata dalla difesa, ha del pari disatteso le doglianze del ricorrente in ordine alla questione della sussistenza o meno del fumus commissi delicti relativo al reato di caporalato, ravvisandone gli estremi sulla base delle dichiarazioni rese dai lavoratori che si presumono vittime di sfruttamento, con approfittamento del loro stato di bisogno. Infine, in punto di esigenze cautelari, è stato ravvisato il periculum in mora, riferito tra l’altro alla finalizzazione del sequestro preventivo alla confisca diretta del profitto del reato di caporalato o, in subordine, per equivalente, anche nei confronti dell’odierno ricorrente, nei cui confronti – afferma il Tribunale – l’apposizione del vincolo cautelare reale si basa sulla strumentalizzazione della compagine societaria alle condotte illecite degli indagati ed é fra l’altro correlata al fatto che il reato di cui all’art. 603-bis è contestato anche in proprio al ricorrente e, pertanto, si rivolge anche alle somme di danaro di cui egli, secondo l’impostazione accusatoria, si sarebbe appropriato.
2. Avverso la prefata ordinanza ricorre F.C., con atto articolato in quattro motivi di doglianza.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme processuali in relazione alla competenza territoriale attribuita al Tribunale di Pavia: muovendo dalla considerazione che il reato più grave é quello di cui all’art. 603-bis cod.pen., il Tribunale adìto, pur dando atto che le condotte così rubricate sono state poste in essere in vari luoghi d’Italia, riconosce la propria competenza territoriale in base al fatto che, ai fini di cui all’art. 16 cod.proc.pen., la prima condotta criminosa accertata si sarebbe verificata a Pavia; di contro, richiamando le deposizioni rese a ss.ii. da alcuni lavoratori, il ricorrente afferma che le stesse modalità operative sarebbero state indicate dai dichiaranti già in epoca antecedente, nella zona di Milano, con conseguente necessario spostamento della competenza nella sede milanese, sotto pena di una violazione del principio del giudice naturale.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente contesta, sotto il profilo della violazione di legge penale, il fumus del reato di caporalato (art. 603-bis cod.pen.) lamentando che il Tribunale adìto ha confuso l’elemento dell’indice di sfruttamento con l’altro, distinto elemento dell’approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori sfruttati: dopo avere illustrato le ragioni per cui é necessaria una distinzione fra i due requisiti del reato, che il Collegio pavese avrebbe omesso di considerare, l’esponente approfondisce la nozione di “stato di bisogno”, non derubricabile a qualunque situazione di “bisogno di lavorare per vivere”, ma necessariamente connessa a condizioni di oggettiva indigenza materiale, tale da rendere la vittima oggettivamente e particolarmente vulnerabile; la gravità delle sanzioni previste per il reato di che trattasi rende particolarmente evidente la necessità di un rigoroso rispetto del principio di tassatività della fattispecie e impedisce di estendere il perimetro della norma incriminatrice oltre la lettera e lo spirito della norma, che ha la finalità di colpire un fenomeno criminale di oggettivo sfruttamento e di approfittamento di una condizione di vulnerabilità, tale da ledere la dignità del lavoratore.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge processuale e nullità dell’ordinanza per non avere la stessa in alcun modo motivato circa l’elemento soggettivo del reato, inteso come consapevolezza dello stato di bisogno da parte dei soggetti attivi: sulla questione il Tribunale semplicemente omette di argomentare a sostegno della configurabilità del predetto requisito, in termini di tale assolutezza da sfociare nella violazione di legge.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e, in specie, dell’art. 603-bis.2 in relazione al profitto ritenuto confiscabile, pari a oltre 160 mila euro, a norma dell’art. 603-bis.2 cod. pen.: profitto che sarebbe costituito dal risparmio di spesa ottenuto dalla F.A.O.I. grazie allo sfruttamento dei lavoratori e che doveva, dunque, essere disposto in via diretta sui conti correnti della società e, solo in caso di incapienza degli stessi, poteva essere disposto personalmente sulla persona del C.. Quest’ultimo non é tra l’altro neppure accusato di essersi appropriato di somme della società e, dunque, neppure sotto questo profilo può affermarsi che egli disponesse di somme costituenti profitto del reato di caporalato, così come non può affermarsi che la società fosse un mero schermo attraverso il quale l’indagato agisca come effettivo titolare dei beni.
3. Con atto successivamente depositato, la difesa del ricorrente ha fatto pervenire una memoria (con allegato uno stralcio di relazione dell’amministratore giudiziario della Società), con la quale insiste su alcuni degli argomenti posti a base del ricorso, di cui postula l’accoglimento.
Considerato in diritto
1. Si premette che alcuna rilevanza ai fini del presente giudizio può riconoscersi alla documentazione allegata alla memoria da ultimo prodotta dal ricorrente e a quanto in essa argomentato, avuto riguardo al fatto che oggetto del ricorso é esclusivamente l’ordinanza oggetto di impugnazione e che il ricorso in materia cautelare reale, a norma dell’art. 325, comma 1, cod.proc.pen., è ammesso solo per violazione di legge.
2. Tanto premesso, il primo motivo di ricorso é infondato. Correttamente, infatti, il Tribunale del Riesame, pur prendendo in considerazione il fatto che la difesa aveva richiamato le sommarie informazioni di alcuni lavoratori che lamentavano di avere lavorato nelle stesse condizioni in epoca precedente nella zona di Milano, ha chiarito che nella specie ciò che radica la competenza a Pavia è la circostanza che, tra le condotte specificamente oggetto di contestazione per il più grave reato contestato fra quelli in connessione (ossia quello di cui all’art. 603- bis cod.pen.), quelle commesse nell’area pavese sono le più antiche: di tal che, trovando applicazione nella specie il criterio del reato di pari gravità anteriormente commesso (art. 16 cod. proc. pen.), la competenza territoriale è stata correttamente individuata in Pavia, mentre le violazioni cui fa riferimento la società ricorrente esulano dall’odierno perimetro imputativo e, pertanto, non interferiscono con il radicamento della competenza territoriale, che si determina avendo riguardo alla contestazione formulata dal pubblico ministero (cfr. in proposito Sez. 1, Sentenza n. 31335 del 23/03/2018, Rv. 273484).
3. E’ infondato anche il secondo motivo di ricorso. Nell’ampio percorso argomentativo sviluppato sul punto dall’ordinanza impugnata, emerge una serie di elementi dichiarativi da parte di numerosi lavoratori dipendenti dalla società ricorrente, che depongono sia per una condizione di oggettivo sfruttamento – soprattutto sul piano dell’orario lavorativo specie a fronte del salario corrisposto e a quello previsto dal CCNL, delle poche giornate libere e dell’assenza di retribuzione per lavoro straordinario – e di ricorrente, marcato scostamento rispetto alle condizioni pattuite; sia per la sussistenza di condizioni di oggettivo bisogno dei lavoratori. Orbene, soprattutto considerando che nella specie la valutazione degli elementi costitutivi del reato rileva a fini cautelari (ossia per la configurabilità del fumus commissi delicti), deve tenersi presente che, ai fini dell’integrazione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, lo stato di bisogno non va inteso come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, bensì come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, tale da limitare la volontà della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose (Sez. 4, Sentenza n. 24441 del 16/03/2021, S. Soc. Coop. Sociale, Rv. 281405, richiamata anche nell’ordinanza impugnata; più di recente si vedano Sez. 4, n. 45615 dell’11/11/2021, M., e n. 7861 dell’11/11/2021, deo. 2022, C., entrambe non massimate).
4. Quanto al terzo motivo, se ne deve rilevare la manifesta infondatezza. In disparte ogni considerazione circa l’evidenza della consapevolezza, da parte dei vertici della F.A., di imporre condizioni lavorative accettabili solo al manifestarsi di oggettive situazioni di bisogno, va comunque richiamato il pacifico indirizzo, seguito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata; ne consegue che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, a condizione però che esso emerga ictu oculi (Sez. 2, Sentenza n. 18331 del 22/04/2016, I. e altro, Rv. 266896; Sez. 3, Sentenza n. 26007 del 05/04/2019, P., Rv. 276015; Sez. 4, Sentenza n. 23944 del 21/05/2008, D.F., Rv. 240521): circostanza che certamente non emerge nel caso di specie.
5. Infine, quanto al quarto motivo, a sua volta manifestamente infondato, il Tribunale ha correttamente argomentato il sequestro diretto (oltreché per equivalente) delle somme costituenti profitto del reato per un duplice ordine di ragioni: ossia che il reato di cui all’art. 603-bis cod.pen. é contestato in proprio al C., la cui qualità di amministratore di fatto della società é ampiamente illustrata nei suoi contenuti alle pagine da 6 a 8 dell’ordinanza impugnata; e che del resto, sulla base dei flussi finanziari analizzati dalla polizia giudiziaria ed illustrati per sintesi a pagina 8 dell’ordinanza impugnata, egli risulta essersi effettivamente appropriato delle somme di danaro ivi indicate, pur ricoprendo la posizione formale di mero dipendente. D’altronde, il percorso argomentativi dell’ordinanza del Tribunale pavese si fonda sulla ravvisata strumentalizzazione dell’intero apparato societario alla commissione dei reati contestati al C. e sulla conseguente possibilità di incidenza del sequestro preventivo tanto sui beni dell’ente, quanto su quelli della persona fisica cui i reati stessi sono attribuiti, salvo il limite costituito dall’ammontare del profitto illecitamente conseguito.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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