CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 34645 depositata il 20 settembre 2021
Reati tributari – Utilizzo in compensazione di crediti d’imposta inesistenti – Amministratore di fatto – Responsabile come autore principale – Amministratore di diritto – Responsabile a titolo di concorso. – Temporanea indisponibilità della documentazione contabile – Reato di occultamento – Sussiste – Successiva consegna – Interruzione della permanenza del reato
Ritenuto in fatto
1. 1. Con sentenza del 25 settembre 2020, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del 17 gennaio 2020, con cui il G.I.P. del Tribunale di Roma, all’esito di giudizio abbreviato aveva condannato P.I., con il beneficio della sospensione condizionale della pena, alla pena di un anno e mesi otto di reclusione e pene accessorie previste per legge, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui
al capo E): art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, quale amministratore unico della G.C.C. srl dal 10 febbraio 2015 al 10 settembre 2015, con domicilio fiscale in Roma, non versava le somme dovute, utilizzando in compensazione d pagamenti originati da imposte afferenti il personale dipendente (nello specifico ritenute, indennità di cessazione del lavoro, contributi previdenziali ed addizionali regionali e comunali) crediti IRES SALDO relativi all’annualità 2010, risultati inesistenti per complessive euro 370.589,44m in Roma il 27 febbraio 2015 e di cui
al capo H): art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, perché quale amministratore unico dall’1 settembre 2015, al 19 ottobre 2017 della G.C.C. s.r.l., con domicilio fiscale in Roma, al fine di impedire la esatta ricostruzione del reddito e del volume degli affari, occultava le scritture contabili delle quali è obbligatoria la conservazione non esibendolo alla Agenzia delle entrate che procedeva alla verifica fiscale nei suoi confronti, in Roma accertato il 10 novembre 2017.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello, P., tramite il suo difensore fiduciario, Avv. L.B. del foro di Novara, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi;
2.1. Con il primo, la difesa deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui risulta mancante od incompleta la valutazione del materiale probatorio, non avendo la Corte di appello esaminato nessuno dei nove documenti prodotti dalla difesa in sede di udienza preliminare, limitandosi a sostenere che i punti erano già stati risolti dalla sentenza di primo grado; in tal modo i giudici non consideravano che la carica di amministratore era stata assunta dal P. il 19 ottobre 2017 e l’agenzia delle entrate aveva chiesto la documentazione contabile in data 6 novembre 2017, ma tale documentazione era stata consegnata dal ricorrente al Tribunale, a seguito di richiesta per il perfezionamento della procedura di concordato preventivo , pertanto avrebbe dovuto essere escluso il dolo nel delitto di cui al capo H), non essendovi alcun intento di non esibire la documentazione richiesta o di occultare le scritture. Quanto al reato di cui al capo E), i giudici non hanno considerato l’esistenza della delega bancaria a favore di V. R. e quanto dichiarato in proposito dal coimputato C. Simone. P. aveva ricoperto la carica di amministratore solo dal febbraio al settembre 2015 e le compensazioni con crediti IRES 2010 si erano verificate in precedenza. Il P., come emerge dai bilanci prodotti, era consapevole dell’esistenza di crediti nei confronti dell’erario per cui confidava nella regolarità della compensazione effettuata.
2.2. Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è l’inosservanza ed errata applicazione di norme penali, in particolare dell’art. 42 cod. pen., quanto all’elemento soggettivo dei reati ascritti, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui è stato ritenuto sussistente il dolo e la Corte di appello ha affermato l’insostenibilità della buona fede del ricorrente, avendo i giudici ritenuto il P. il deus ex machina della società , in base ad asserzioni prive di riscontro. Il dolo del delitto di indebita compensazione sarebbe stato fondato sulla conoscenza in capo al P. della compensazione effettuata ed i giudici non avrebbero fornito risposta alla eccepita scriminante putativa. Sul punto la difesa rileva la mancanza di motivazione.
2.3. Con il terzo motivo, si lamenta la mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà di motivazione, nonché inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per il travisamento nel quale sarebbero incorsi i giudici di secondo grado nel ritenere rilevanti le dichiarazioni di S.C., mentre si tratta di dichiarazioni prive di riscontro testimoniale, ed inoltre non risponde al vero che la movimentazione sul c/c farebbe capo al ricorrente, considerata la delega bancaria al R.
2.4. Con il quarto motivo la difesa eccepisce mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà di motivazione, nonché inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per l’ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche e l’erronea determinazione della pena irrogata , non adeguata all’effettivo disvalore completo dei fatti.
Considerato in diritto
1. Va premesso che questa Corte ha affermato il principio di diritto in base al quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 3, n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv. 257595, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado, in risposta ai quali è consentita anche la motivazione per relationem cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116), sempre che tale rinvio non comporti una sottrazione alle puntuali censure prospettate in sede di impugnazione. Il principio va riaffermato e in un caso come quello di cui si tratta l’integrazione è ben possibile, in quanto la sentenza di appello ha espressamente richiamato la decisione di primo grado in riferimento alla ricostruzione in punto di fatto, all’analisi delle risultanze probatorie, esprimendo la propria condivisione per le considerazioni valutative e l’applicazione dei principi di diritto esposti ed ha sviluppato una propria autonoma argomentazione, all’esito dell’esame di tutele censure avanzate dall’appellante.
2. Per quanto attiene al primo motivo, che lamenta mancanza, contraddittorietà ed illogicità manifesta della sentenza per omessa motivazione in ordine ai documenti depositati in sede di udienza preliminare in data 4 ottobre 2019, va osservato che lo stesso risulta infondato.
2.1. La sentenza di primo grado emessa all’esito della richiesta di giudizio abbreviato, ha ricostruito con ampio dettaglio i fatti, alla luce del compendio probatorio acquisito nel corso delle indagini preliminari e si è fatto carico di esaminare le produzioni della difesa, in particolare laddove ha ritenuto prive di verosimiglianza le dichiarazioni contenute nella memoria prodotta in udienza dal difensore, volte a sostenere l’estraneità dell’imputato alla gestione della società, affidata a R.V.. In base alle acquisizioni documentali, il giudice di prime cura ha ritenuto provata il pieno coinvolgimento del ricorrente nella società, come ricostruito alle pagg.2, e 3 della sentenza di primo grado, ove veniva altresì sottolineato come i membri della famiglia P. fossero i soggetti di riferimento di tutte le società tra loro collegate ( GE.CO.CO., interessata alla verifica fiscale che ha dato origine al presente processo, E., E.E.C.G. spa ed altre, tutte operative nel Nord Italia).
2.2. Con l’atto di appello era stata censura l’incompleta ed errata valutazione del materiale probatorio, in particolare dei documenti allegati alla memoria ed i giudici di secondo grado hanno richiamato proprio la ricostruzione già operata nella sentenza del G.I.P., confermando la valutazione della riferibilità diretta della gestione societaria in capo a P.I.. Non può certo, infatti, avere rilevanza sotto il profilo del vizio di carenza della motivazione, la pretesa argomentazione specifica su ogni singolo documento prodotto, dovendosi peraltro segnalare che, considerato l’elenco riportato nel ricorso, per molti documenti si tratta di documenti acquisiti nel corso della verifica fiscale e quindi utilizzati dai verbalizzanti e compendiati nell’esito dell’accertamento fiscale.
2.3. Nella sostanza ciò che la difesa del ricorrente censura è la valutazione di tale documentazione, ma, come è noto, il sindacato sulla motivazione della sentenza del giudice di merito demandato alla Corte di cassazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen., (ex plurimis, Sez. Un. n. 47289 del 24/09/2003, Rv. 226074, Petrella; Sez. 6, n. 18491 del 24/02/2010, Nuzzo Piscitelli e altri, Rv. 246916; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata e altro), non può concernere né la ricostruzione del fatto, né il relativo apprezzamento probatorio, ma deve limitarsi al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, non essendo possibile procedere ad una rinnovata verifica della sua rispondenza alle acquisizioni processuali, in quanto la funzione del controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, ma soltanto di verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate che rendano giustificate sul piano della consequenzialità le conclusioni tratte.
3. Orbene, come detto, le due sentenze di merito hanno considerato la posizione rivestita dal P. nella società ed hanno ritenuto, con un ragionamento coerente ed ancorato ai dati probatori e, del resto confermato anche dalle dichiarazioni del coimputato C., la riferibilità oggettiva e soggettiva del P. alla commissione sia del reato di indebita compensazione, sia di occultamento delle scritture contabili.
3.1. D’altra parte deve essere aggiunto che il reato di indebita compensazione può essere commesso non solo dall’amministratore di diritto, ma anche da quello di fatto, ed anche da entrambi in concorso tra loro: è stato infatti affermato che l’amministratore di fatto risponde, quale autore principale, del delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta, mentre l’amministratore di diritto, come mero prestanome, è responsabile del medesimo reato a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, ai sensi degli artt. 40, comma secondo, cod. pen. e 2932 cod. civ., a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice (cfr. Sez. 3, n. 1722 del 25/09/2019, dep. 17/01/2020, Passoni, Rv. 277507 – 01).
4. Per quanto attiene al secondo motivo, che lamenta erronea applicazione ed interpretazione delle fattispecie delittuose contestate, quanto al loro profilo soggettivo, è stato precisato dalla giurisprudenza di legittimità che in tema di elemento soggettivo del reato di indebita compensazione di crediti previsto dall’art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000, l’inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, ingannando il fisco (cfr. Sez.3, n. 5934 del 12/09/2018, dep. 07/02/2019, Giannino, Rv. 275833 – 02)
4.1. Sotto il profilo del dolo, è ben sufficiente ad integrare l’elemento soggettivo richiesto, anche la condotta di accettazione della carica di amministratore nella consapevolezza delle criticità societarie, e tale certamente doveva risultare, all’evidenza, la compensazione operata nel 2015 con un credito IRES 2010, trattandosi di anno di imposta nel quale la società Ge.co.co. non era ancora in vita e che quindi non poteva di certo essere ipotizzato esistente un credito di imposta legittimamente usufruibile dalla stessa anche da parte di un amministratore da poco nominato. Ma peraltro, come già detto, i giudici di merito hanno ritenuto, ed hanno espresso il loro convincimento con motivazione del tutto adeguata ed immune da smagliature logiche, che il P. fosse, nella sostanza, il vero dominus dell’attività della società.
5. Quanto al delitto di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, la censura formulata in ordine alla sussistenza oggettiva del reato non è fondata, essendo del tutto irrilevante che le scritture contabili non siano state distrutte, ed anzi siano state, seppure in parte, consegnate al Tribunale, atteso che il delitto di cui trattasi include anche la mera condotta di occultamento, peraltro da chiunque commessa, ossia la condotta consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione richiesta dagli organi verificatori, finalizzata ad ostacolare, o comunque a rendere più disagevole l’attività accertativa volta alla verifica dell’adempimento dei debiti tributari. Pertanto va ribadito il principio che anche la “temporanea” indisponibilità della documentazione integra il reato e la eventuale successiva consegna, costituisce unicamente atto interruttivo della permanenza del reato (cfr. Sez. 3, n. 46049 del 28/03/2018, Carestia, Rv. 274697 – 02, Sez.3, n. 10106 del 13/10/2020, dep. 16/03/2021, Trombaccia, non mass.)
5.1. Orbene è proprio quanto avvenuto nel caso di specie, avendo i giudici di merito evidenziato che, a fronte delle reiterate richiesta di esibizione e consegna degli organi accertatori dell’Agenzia delle Entrate, il ricorrente ebbe ad eluderne l’adempimento, cercando di utilizzare la circostanza del successivo deposito in Tribunale delle scritture contabili ai fini della procedura di concordato preventivo, quale prova della propria buona fede, certamente insussistente nel caso di specie, considerato che la cronologia degli eventi avrebbe consentito l’adempimento di entrambi gli obblighi.
6. Per quanto attiene alle argomentazioni svolte con il terzo motivo di ricorso, le stesse si palesano infondate e comunque ai limiti dell’ammissibilità, nella parte in cui si lamenta il travisamento della prova. Infatti nell’ipotesi di cd. “doppia conforme” sussiste la preclusione alla deducibilità del vizio di travisamento della prova di cui all’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., in relazione a quelle parti della sentenza che abbiano esaminato e valutato in modo conforme elementi istruttori, suscettibili di autonoma considerazione, comuni al primo ed al secondo grado di giudizio (in tal senso, Sez.5, n. 18975 del 13/02/2017, Cadore, Rv. 269906-01), per cui tale vizio, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (per tutte, Sez.2, n. 7986/17 del 18/11/2016, La Gumina, Rv. 269217-01), ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (cfr. Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine e altri, Rv. 256837-01); in tale ultimo caso, però si deve trattare pur sempre di un travisamento di risultanze obiettive. Invece nel caso di specie il ricorrente lamenta la valutazione delle dichiarazioni rese dal coimputato S.C., la valutazione sulle movimentazioni bancarie e sulle circostanze di fatto indiscutibili quali la domiciliazione della società in Roma e la scelta del Commercialista. Si tratta in realtà non già di un travisamento della prova, ma della doglianza sulla valutazione, doglianza che si traduce, nella realtà, nel tentativo di indurre questa Corte ad una valutazione diversa, e più favorevole al ricorrente, giudizio di merito non ammissibile in sede di legittimità.
7. Anche il quarto motivo risulta manifestamente infondato. La sentenza impugnata ha ribadito la valutazione già espressa dal giudice di prime cure quanto all’intero trattamento sanzionatorio, facendo riferimento non solo all’entità oggettiva delle imposte evase, ma in specifica correlazione con la elaborazione della condotta illecita, strutturata mediante l’utilizzo anche di diversi meccanismi societari. Tale spiegazione risulta in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che ha affermato che la decisione sulle circostanze di cui all’art. 62-bis cod. pen. è frutto di un apprezzamento di merito nel quale il giudice fa uso del proprio potere discrezionale e la relativa decisione non è mai impugnabile laddove sia stata adeguatamente motivata sulla base delle emergenze processuali, come avvenuto nel caso di specie. Né il ricorrente ha specificato di avere addotto innanzi alla Corte di appello specifici elementi di segno positivo che avrebbero potuto giustificare una diversa valutazione, l’assenza dei quali ha pienamente legittimato la conferma del diniego di concessione delle circostanze in parola (cfr. Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotis, Rv. 265826 e Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini e altri, Rv. 260610);
Il ricorso deve pertanto essere rigettato e, di conseguenza, il ricorrente deve essere condannato, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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