CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 34940 depositata il 9 dicembre 2020
Reati tributari – Sostituto d’imposta – Omesso versamento di ritenute operate e certificate – Responsabilità penale – Legale rappresentante di società fallita
Ritenuto in fatto
1. Il sig. S.L. ricorre per l’annullamento della sentenza del 10/07/2019 della Corte di appello di Trento che, decidendo sull’impugnazione della sentenza del 27/04/2018 del Tribunale del medesimo capoluogo, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e da lui appellata, ha confermato la condanna alla pena (principale) di 20.000,00 euro di multa (in sostituzione di due mesi e venti giorni di reclusione), oltre pene accessorie, per il reato di cui all’art. 10-bis, d.lgs. n. 74 del 2000 (omesso versamento delle ritenute operate quale sostituto di imposta e risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti), commesso il 01/08/2012.
1.1. Con unico motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha disatteso la richiesta di assoluzione fondata sulla applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 13, d.lgs. n. 74 del 2000, e sulla mancanza dell’elemento soggettivo del reato.
Sostiene che il mancato inserimento, da parte dell’Agenzia delle Entrate, del credito tributario relativo alle somme non versate, ha impedito al curatore del fallimento di ricorre alla “rottamazione” prevista dall’art. 13, d.lgs. n. 74 del 2000, come modificato dall’art. 11, d.lgs. n. 158 del 2015; a maggior ragione lo ha impedito a lui personalmente perché, in quanto fallito, non era legittimato a disporre o effettuare pagamenti in nome e per conto della società «S. S.r.l.» in fallimento. E’ manifestamente illogico, pertanto, il ragionamento della Corte di appello secondo cui il mancato pagamento delle somme dovute osta in ogni caso alla applicazione dell’art. 13, d.lgs. n. 74 del 2000, cit.
Considerato in diritto
2. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
3. Il ricorrente è stato definitivamente dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 10-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, perché, quale legale rappresentante della società «S. S.r.l.», dichiarata fallita con sentenza dell’11/12/2012, non aveva versato le ritenute operate, quale sostituto di imposta, nell’anno 2011.
3.1. Benché nel ‘titolo’ del motivo si faccia riferimento (anche) alla mancanza dell’elemento soggettivo del reato, in realtà nessun argomento è stato speso a sostegno di tale deduzione, sicché la questione relativa alla sussistenza del reato sotto ogni suo profilo, oggettivo e soggettivo, è estranea all’odierna regiudicanda.
3.2. Il ricorrente, infatti, lamenta esclusivamente di non aver potuto beneficiare della causa di non punibilità di cui all’art. 13, d.lgs. n. 74 del 2000, per cause a lui non imputabili in quanto: a) il debito tributario non era stato inserito nella procedura di cd. “rottamazione” in quanto la relativa cartella non era stata erroneamente elencata da Equitalia tra i crediti della massa passiva fallimentare; b) tale omissione aveva impedito al curatore di estinguere il debito avvalendosi di tale procedura ; c) egli non era legittimato a sostituirsi al curatore nel chiedere la rottamazione della cartella e nel pagarne comunque l’importo.
3.3. La deduzione difensiva è manifestamente infondata.
4. L’art. 13, d.lgs. n. 74 del 2000, come modificato dall’art. 11, d.lgs. n. 158 del 2015, ha introdotto una (nuova) causa di non punibilità per i reati di cui agli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, della quale l’autore del reato può fruire a condizione che paghi il debito tributario, al lordo di sanzioni e interessi, nei termini e modi da esso stabiliti.
4.1. Trattandosi di una causa personale di esclusione della punibilità, tenuto al pagamento del debito è esclusivamente l’autore del reato e, dunque, colui che era obbligato al versamento delle somme dovute al momento della scadenza del termine “lungo” previsto dagli artt. 10-bis e 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, ovvero che ha omesso il versamento utilizzando in compensazione crediti non spettanti, anche se “medio tempore” abbia perduto la rappresentanza o la titolarità dell’impresa (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 17695 dell’11/01/2019, Rv. 275448 – 01; Sez. 3, n. 30879 del 27/03/2018, Rv. 273335 – 01; Sez. 3, n. 39072 del 18/07/2017, Rv. 271473 – 01).
4.2. Il fatto, dunque, che il ricorrente abbia perso la legale rappresentanza dell’ente dopo aver commesso il reato non costituisce argomento dirimente, nemmeno se la perdita della rappresentanza avvenga, come nel caso di specie, a causa del fallimento dell’impresa.
4.3. Altrettanto infondata è l’ulteriore deduzione difensiva secondo la quale l’omesso, erroneo, inserimento della cartella di pagamento tra quelle che avrebbero potuto beneficiare della cd. “rottamazione” ne ha impedito il pagamento da parte del curatore; il ‘quomodo’ dell’estinzione del debito non rileva ai fini dell’ ‘an’ dell’estinzione stessa, posto che tale circostanza non ostava al pagamento del debito nella sua interezza. Ciò non equivale ad escludere che le speciali procedure conciliative di cui al d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018 n. 136 (e quelle analoghe previste dal d.l. n. 193 del 2016 e dal d.l. n. 148 del 2017), siano comprese tra quelle indicate dall’art. 13, d.lgs. n. 74 del 2000 (e ciò a prescindere dal fatto che per effetto di tali procedure non sono dovute le sanzioni e, in parte, anche gli interessi, purché il pagamento integrale intervenga nei termini scadenzati dai commi 1 e 3 dell’art. 13), ma la deduzione difensiva si rivela estremamente fragile nella parte in cui il ricorrente lamenta, in buona sostanza, di non aver potuto fruire della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 13, d.lgs. n. 74 del 2000, a causa di un errore che aveva impedito la “rottamazione” (anche) della cartella relativa alle somme non versate. Ciò sul rilievo che al legislatore penale, una volta accertata la consumazione del reato, interessa il pagamento della somma dovuta non a titolo di estinzione del debito, bensì quale condizione imposta per andare esente da pena. Tant’è vero che l’estinzione del debito per prescrizione o per decadenza impedisce all’autore del reato di invocare l’applicazione della speciale causa di non punibilità, potendo fruire, semmai, della sola circostanza attenuante di cui all’art. 14, d.lgs. n. 74 del 2000 (si veda, sul punto, Sez. 7, n. 25277 del 19/05/2017, n.m.)
4.4.Orbene, il ricorrente non ha mai dedotto, né in sede di merito, né in questa, di aver messo a disposizione del curatore le somme necessarie al pagamento integrale del debito. Sicché non è affatto errata la motivazione della Corte di appello che, nel rigettare l’impugnazione, ha privilegiato il dato oggettivo del mancato pagamento.
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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