CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 35274 depositata il 10 dicembre 2020
Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato – Causa di non punibilità – Minima offensività del fatto e reiterazione della condotta – Soglia di punibilità superata e abitualità del comportamento – Indennità ex L. n. 388/2000 e di maternità facoltativa, mai erogate ad alcune lavoratrici – Assenza di un danno concreto alle dipendenti – Conseguimento delle spettanze, tramite insinuazione al passivo del fallimento – Reiterate violazioni – Irrilevante la particolare tenuità di ogni singola omissione poiché in presenza di un comportamento abituale
Ritenuto in fatto
1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Firenze impugna la sentenza con la quale, applicato l’art. 131 bis cod. pen., il giudice monocratico del Tribunale di Livorno ha dichiarato non punibile A. B., in relazione al reato di cui all’art. 316 ter cod. pen.. Il ricorrente denuncia l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla sussistenza dei presupposti costitutivi della causa di non punibilità sia sotto il profilo della minima offensività del fatto che della reiterazione della condotta. Il danno cagionato non può ritenersi di esiguo ammontare dal momento che la soglia di punibilità del reato è stata superata in misura superiore al triplo e che le somme recate in compensazione e non versate alle lavoratici dipendenti (che l’hanno conseguita solo in seguito al fallimento della ditta di cui l’imputato era titolare) era pari ad euro 13.843,00. Né ricorre, in presenza di condotte plurime, realizzate sia nei confronti di più dipendenti che periodicamente, cioè in occasione della presentazione delle dichiarazioni mensili di avere erogato i trattamenti previdenziali, la non abitualità del comportamento.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato e, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Livorno.
2. Il Tribunale, sulla scorta dei dati documentali – la copia dei modelli DM10 – e delle dichiarazioni rese dalla teste ha ritenuto accertato che l’imputato, in qualità di liquidatore della società C. Italia s.r.l., ha portato indebitamente a credito nei confronti dell’INPS le somme che aveva dichiarato di avere anticipato nei confronti di due dipendenti, a titolo di indennità ex lege 388/2000 e di maternità facoltativa ma si è accertato che in effetti, egli non aveva mai eseguito tali erogazioni in favore delle lavoratici in un arco temporale intercorrente dal giugno al dicembre 2012 e dal giugno a settembre 2012 e per un importo complessivamente ascendente ad oltre 14.000,00 euro tanto è vero che le lavoratici si sono inserite nel passivo fallimentare conseguendo solo per tale via quanto di loro spettanza. Il Tribunale ha ritenuto che, consentendolo l’entità della pena prevista dalla fattispecie incriminatrice, l’offesa recata in concreto al bene giuridico protetto poteva ritenersi di particolare tenuità in assenza di un danno concreto arrecato alle dipendenti che avevano conseguito quanto di spettanza insinuandosi nel passivo del fallimento; della esiguità del danno e del pericolo derivato dalla condotta e dal comportamento dell’imputato potendosi escludere, in ragione della sua incensuratezza, che si versasse in ipotesi di comportamento abituale.
3.Rileva la Corte che è certamente corretto l’inquadramento sistematico nella sentenza impugnata, come istituto penale di carattere sostanziale, della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto recata dall’art. 131-bis cod. pen. inserito con il d.l.vo n. 28 del 16 marzo 2015.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno individuato le coordinate che presidiano il giudizio di particolare tenuità del fatto enunciando che tale giudizio richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo. (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). Le Sezioni Unite, con la sentenza indicata che riguardava il reato di guida in stato di ebrezza che prevede una soglia di punibilità in relazione ai valori alcolimetrici, hanno escluso che l’art. 131-bis cod. pen. non fosse configurabile anche in relazione a detto reato non essendo, in astratto, incompatibile, con il giudizio di particolare tenuità, la presenza di soglie di punibilità all’interno della fattispecie tipica. Sempre detta sentenza, tra le possibili ipotesi che configurano l’abitualità del comportamento, ha enucleato una particolare accezione di abitualità individuandola nell’ipotesi in cui l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame, ivi compresi anche distinti reati della stessa indole e anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili exart. 131 bis cod. pen..
2. La successiva giurisprudenza di questa Corte ha approfondito le problematiche connesse all’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. in relazione ai reati, come quelli tributari, caratterizzati dalla previsione della soglia di punibilità e con riferimento ai reati abituali ovvero a quelle fattispecie — si tratta in particolare dell’art. 3 della legge n. 54 dell’8 febbraio 2006 – in cui la condotta illecita si realizza attraverso reiterate omissioni del contributo di mantenimento in favore dei figli.
Con riguardo a questa fattispecie, che realizza propriamente un reato a consumazione prolungata, la Corte ha escluso l’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. sul rilievo che trattandosi di reiterate violazioni, appare irrilevante la particolare tenuità di ogni singola omissione poiché si è in presenza di un comportamento abituale in cui ogni singolo inadempimento aggrava l’offesa al bene giuridico protetto (Sez. 6, n. 11780 del 21/01/2020, P, Rv. 278722).
In materia tributaria, invece, acquista decisiva rilevanza, ai fini dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. e in assenza di elementi ostativi, la misura dello scostamento dalla soglia prevista dal legislatore che deve essere di poco superiore (Sez. 3, n. 15020 del 22/01/2019, Moiola Flavio, Rv. 275931). Nella fattispecie relativa al reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 (in materia di I.V.A.) è stata ritenuta configurabile la fattispecie attenuata in presenza di uno scostamento inferiore a diecimila euro e pari al 4% della soglia stessa (Sez. 3, n. 12906 del 13/11/2018, dep. 2019, Canella Livio, Rv. 276546). E’ il legislatore, si osserva, ad avere valutato il grado di offensività nella determinazione della soglia di punibilità sicché il lieve scostamento dalla stessa è apprezzabile ai fini del giudizio di concreta offensività del fatto.
3. In presenza delle descritte coordinate giurisprudenziali che hanno offerto un ragionevole criterio di interpretazione dei parametri per ritenere configurabile la particolare tenuità del fatto, non sono condivisibili le conclusioni alle quali il giudice di merito è pervenuto nella vicenda oggetto di scrutinio. Nella vicenda in esame, a fronte della indicata soglia di punibilità ascendente a euro 3.999,97, l’importo della somma che l’imputato ha portata a conguaglio con l’INPS per usufruire del credito con l’istituto di assicurazione, sulla scorta della dichiarazione di avere corrisposto le previste indennità alle lavoratrici aventi diritto, effettivamente non corrisposte, è di tale rilevanza, concretandosi in un importo complessivo due volte superiore alla soglia di punibilità, da doversi escludere ictu oculi che si sia in presenza di una condotta connotata da particolare tenuità giustificata, come anticipato, in presenza di un lieve e poco superiore scostamento dalla soglia che il legislatore ha individuato ai fini della rilevanza penale del fatto. Dalla sentenza impugnata risulta, inoltre, che la condotta dell’imputato non è stata episodica ovvero occasionale ma è stata strutturata nel tempo essendo stata realizzata con cadenza temporale ricorrente nei mesi da giugno a dicembre 2012 e in conseguenza della mancata corresponsione delle indennità spettanti a due lavoratici, a titolo di indennità ai sensi della legge 388 del 2000 e di indennità di maternità facoltativa. Anche a questo riguardo le valutazioni del giudice non sono in linea con la individuazione, quale parametro di offensività della condotta con il rilievo, negativo, che assume la singola condotta che aggrava l’offesa al bene giuridico protetto in ragione della sua replica nel tempo.
4. Da queste considerazioni discende l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Livorno che non ha fatto buon governo dei principi innanzi illustrati ai fini della valutazione della ricorrenza della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
6. Cionondimeno il Collegio ritiene necessarie alcune precisazioni che concernono, con riguardo al reato di cui all’art.316 ter cod. pen., come ritenuto, sia la natura giuridica della soglia di punibilità del reato che la struttura del reato in esame e, non ultima, la sua natura.
La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, precisato che la soglia di punibilità, in relazione al reato di cui all’art. 316 ter cod. pen., non si configura quale condizione obiettiva di punibilità, ma è elemento costitutivo della fattispecie, e come tale, deve essere oggetto di rappresentazione e volontà da parte dell’agente (Sez. 6, n. 38292 del 14/07/2015, Pg in proc. Trevisan, Rv. 264609).
La condotta materiale del reato e la possibilità stessa di ritenere che si sia in presenza di condotta costituente reato, in relazione all’entità della somma portata a conguaglio, che la sentenza impugnata ha cumulativamente ricostruito, è strettamente correlata alla natura della prestazione o erogazione oggetto di addebito. Rispetto alla fattispecie di truffa, il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316-ter cod. pen., è integrato dalla condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottenga dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni (Sez. 2, n. 51334 del 23/11/2016, Sechi, Rv. 268915). Infatti l’erogazione, rilevante ai fini dell’elemento costituivo del reato, può consistere semplicemente nell’esenzione del pagamento di una somma altrimenti dovuta, e non deve necessariamente consistere nell’ottenimento di una somma di denaro. Il reato, inoltre, si consuma nel momento in cui il datore di lavoro provvede a versare all’INPS (sulla base dei dati indicati sui modelli DM10) i contributi ridotti per effetto del conguaglio cui non aveva diritto, venendo così, tramite il mancato pagamento di quanto altrimenti dovuto, a percepire indebitamente l’erogazione dell’ente pubblico.
Ne deriva che, attraverso una precisa ricostruzione in fatto, che non si evince dalla sentenza impugnata che, come anticipato, indica solo l’ammontare finale delle somme indebitamente portate a conguaglio, devono essere ricostruite le singole percezioni mensili, genericamente indicate come consumate nei mesi da giugno a dicembre 2012 e con riferimento alle singole percettrici dei contributi portati in detrazione.
Questa Corte, ai fini del superamento della soglia di punibilità, ha già escluso che si possa tener conto dell’ammontare complessivo dei contributi di maternità ed in favore del nucleo familiare fittiziamente erogati e successivamente detratti dai contributi dovuti all’INPS, dovendosi tener conto delle singole e distinte compensazioni poste in essere (Sez. 6, n. 7963 del 26/11/2019, dep. 2020, Romano Grazia, Rv. 278455).
Va, infine, precisato, anche tenuto conto dei riferimenti sia della sentenza impugnata, che aveva riconosciuto il fatto di lieve entità in assenza di un danno arrecato alle dipendenti che avevano conseguito quanto di loro spettanza, che al ricorso del Procuratore generale, che, invece ha valorizzato il danno economico cagionato alle dipendenti e risarcito dal fallimento, che il reato in esame non è inquadrabile tra i reati di danno, bensì tra quelli di pericolo e che proprio la mancanza di un danno economico per l’ente pubblico (oltre che la mancanza di artifici e raggiri che sono cosa diversa dalla mera falsa esposizione) giustifica la sussunzione della condotta nella fattispecie di cui all’art. 316 ter cod. pen. (cfr. Sez. 2, n. 41357 del 14/07/2015, P.M. in proc. Aschettino e altro, Rv. 264869) e ne spiega la differenza anche dal delitto di appropriazione indebita, in danno del lavoratore, dal momento che, secondo il meccanismo contributivo, il datore di lavoro anticipa ai lavoratori le somme poi portate in detrazione, al momento del conguaglio sicché difetta il presupposto del possesso delle somme indebitamente percepite.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Livorno.