CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 35469 depositata il 27 settembre 2021
Reati tributari – Dichiarazione infedele – Soglia di punibilità – Parametri – Rimanenze di magazzino – Valutazione
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza della Corte di appello di Messina del 18 settembre 2019 è stata confermata la decisione del Tribunale di Barcellona P.G. del 22 giugno 2018 che aveva condannato E. C. alla pena di anni uno di reclusione relativamente al reato di cui all’art. 4 d. Igs 74 del 2000 perché nella sua qualità di legale rappresentante della società H. Impianti s.p.a. […] al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicava nelle rispettive dichiarazioni annuali – periodo di imposta 2010 – elementi attivi per un ammontare inferiore a quelli reali, così distinti: ai fini IRPEF: maggiori elementi positivi di reddito, pari ad € 1.122.785,00 x 27,50%) = € 308.766,00 (imposta IRES evasa); ai fini IVA: maggiore imposta dovuta pari 159.151,00; con importi sia ai fini delle II.DD che dell’IVA superiori ai margini di punibilità previsti.
2. L’imputato ha proposto ricorso in cassazione per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2. 1. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione per la ritenuta indeducibilità dei costi e per le minori rimanenze di magazzino al fine del superamento della soglia di punibilità prevista dalla lettera B dell’art. 4 d. Igs. 74 del 2000; violazione di legge (art. 4 d. Igs. 74 del 2000).
I giudici di merito si sono basati su quanto accertato dalla Guardia di Finanza per la verifica fiscale, che ha interessato la società H. Impianti s.p.a.
Le motivazioni della sentenza impugnata sono viziate sotto il profilo logico; i costi indeducibili per € 581.666,67 sarebbero relativi alle fatture n. 8, 61 e 121 del 2010 (emesse nei confronti della società H. impianti) prive dei requisiti di certezza, inerenza e competenza. Il difetto dei requisiti sarebbe emerso dalla mancata produzione di documentazione idonea a dimostrare l’inerenza dei costi. L’inversione dell’onere della prova non può operare in sede penale, ma solo in sede tributaria. L’imputato non deve dimostrare niente, ma è l’accusa che deve dimostrare l’insussistenza dei costi.
Per la fattura 61/2010 le allegazioni del ricorrente sono state ritenute inidonee a provare l’esistenza del costo in quanto non dimostravano il cambio di strategia nel marketing, con l’indeterminatezza quantitativa e qualitativa dei rapporti economici documentati. Non è comprensibile come tali costi sono stati ritenuti inesistenti anche in relazione ai contratti di affiliazione in corso di validità, peraltro stipulati ed esistenti con analogo contenuto anche con altri franchising.
Per la fattura n. 8/2010, con oggetto la fornitura di consulenza della società B.E. per € 32.000,00, si era dimostrato come anche per l’anno precedente era presente una fattura per lo stesso importo e per la stessa causa. L’esistenza di rapporti pluriennali tra le due società evidenziava una regolarità della prestazione (elemento sintomatico di assoluto rilievo). La Corte di appello, invece, ha motivato ritenendo che l’esistenza di una fattura precedente (nel 2009) non giustifica l’esistenza della prestazione anche per il 2010.
Per la fattura 121 /2010 il documento di trasporto n. 89 del 29 dicembre 2010 non sarebbe idoneo a giustificare l’effettiva esistenza delle prestazioni, di importo rilevante, in considerazione della genericità dovuta all’assenza di riferimenti precisi nel documento di trasporto, peraltro successivo alla fattura. La motivazione della sentenza è apodittica e risulta solo apparente. La norma prevede la possibilità di emissione anticipata della fattura (art. 6, comma 4, d.P.R. n. 633/1972). Il documento di trasporto era stato, inoltre, prodotto in altra indagine già dal 20 marzo 2013, un anno prima della verifica in oggetto, con riferimento specifico del documento alla fattura in esame. Questa considerazione della difesa non è stata minimamente analizzata.
I maggiori ricavi sono stati fondati su presunzioni tributarie e sulle verifiche induttive effettuate dalla Guardia di Finanza. La Corte di appello si è limitata a richiamare i calcoli e le deduzioni seguite dalla Guardia di Finanza, senza un’autonoma analisi dei dati. Le minori rimanenze di magazzino sono state determinate quale differenza tra le risultanze finali di magazzino iscritte, sia nel bilancio e sia nella dichiarazione dei redditi del 2019 – per € 859.426,00 -, e il valore inferiore risultante dal libro giornale – del 2019, per € 739.426,30 -.
Il valore delle rimanenze iscritto nel bilancio, invece, era stato già tassato nel 2019, concorrendo alla determinazione del reddito. La società, quindi, aveva già pagato le imposte sulla differenza di euro 119.999,70. Inoltre, la difesa aveva contestato la deduzione di attendibilità maggiore (effettuata dalla Guardia di Finanza e acriticamente seguita dai giudici penali) del libro giornale in luogo dell’iscrizione in bilancio e dichiarazione dei redditi. La ritenuta cessione senza fattura delle merci per € 119.999,70 è stata effettuata al di fuori dei casi previsti dagli art. 1 e 3, d.P.R. 441/1997 (e circolare 31/E2006 dell’Agenzia delle Entrate). Non ci sono verifiche concrete sull’effettiva giacenza di magazzino, e le presunzioni tributarie non possono utilizzarsi in sede penale. Le sole discrasie dei valori contabili non possono determinare la presunzione di cessione delle merci al nero; è necessaria la verifica fisica delle merci in magazzino (differenze tra le merci inventariate e i valori contabili).
Infine, per il 2009 e per il 2010 sono stati utilizzati, senza logiche spiegazioni / due differenti criteri di calcolo, per la determinazione del reddito.
2. 2. Entrambe le motivazioni dei giudici di merito non affrontano il problema dell’avvenuto superamento della soglia indicata nella lettera B dell’art. 4 d. Igs. 74 del 2000, essendosi limitati unicamente a citare il superamento dell’ammontare delle imposte evase. In tal modo sussiste una palese violazione di legge, art. 4 d. Igs. 74 del 2000. Le due soglie indicate nella norma devono superarsi congiuntamente per la sussistenza del reato.
L’accertamento, sul punto, non è stato compiuto. Il superamento della soglia di cui alla lettera B), dell’art. 4, d. Igs. 74 del 2000, risulta solo implicitamente dato per esistente, senza nessuna motivazione o accertamento in fatto.
Ha chiesto pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
2. 3. Con successiva memoria di replica il ricorrente ha ribadito la fondatezza del ricorso specificando che le due sentenze di merito (doppia conforme) non hanno, comunque, risposto adeguatamente alle prospettazioni del ricorrente, anche con prove documentali. Le due sentenze hanno sostanzialmente considerato gli accertamenti della Guardia di Finanza quali elementi sufficienti per l’affermazione della responsabilità, sostenendo che il ricorrente non aveva provato (inversione dell’onere della prova) la sua innocenza. Per il motivo relativo all’individuazione della soglia di punibilità, della lettera B, dell’art. 4, d. Igs. 74 del 2000 lo stesso deve ritenersi proposto con i motivi di appello, contrariamente a quanto sostenuto sul punto dal P.G. della Cassazione nelle sue conclusioni scritte, in quanto il superamento delle soglie incide nella stessa configurabilità del reato (principio di legalità dell’art. 25 della Costituzione); ha concluso, pertanto per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
3. Il ricorso risulta fondato in relazione al vizio della motivazione sulla valutazione delle rimanenze di magazzino.
Nell’appello il ricorrente specificamente contestava la valutazione delle rimanenze compiuta solo sulla differenza tra le risultanze finali di magazzino iscritte (sia nel bilancio e sia nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2019 – per la somma di euro 859.426,00 -) e il valore inferiore risultante dal libro giornale del 2019 (per euro 739.426,30) pur nella ritenuta inattendibilità delle scritture contabili e senza una verifica di fatto sull’effettiva giacenza di magazzino.
A queste specifiche critiche, dell’atto di impugnazione, la sentenza non ha fornito adeguata e convincente motivazione.
La decisione della Corte di appello in modo assertivo, contraddittorio e manifestamente illogico rileva come le rimanenze di magazzino sono state determinate in relazione agli importi risultanti dal libro giornale della società, pur specificando l’inattendibilità di tutta la documentazione contabile. Poi con una congettura ritiene che l’attività della società (pur operando la stessa nel settore interessato da agevolazioni fiscali) era svolta in nero totale. Si è attribuito, una maggiore valenza probatoria del libro giornale in relazione alle altre scritture contabili, senza nessun accertamento di fatto atto a giustificare una tale soluzione palesemente illogica. Infatti, non risultano neanche effettuati gli accertamenti nel magazzino sulle reali rimanenze e un’analisi – di merito – sulla prospettazione specifica del ricorrente, ovvero che “il valore delle rimanenze iscritto nel bilancio era stato già tassato nel 2019, concorrendo alla determinazione del reddito”.
La contabilizzazione delle giacenze di magazzino, del resto, ha sempre una connotazione valutativa, dopo un accertamento dettagliato della loro reale consistenza: “In tema di dichiarazione fiscale infedele, la contabilizzazione delle giacenze di magazzino non è priva di una connotazione valutativa, cosicché, ai fini dell’accertamento della sussistenza del reato, trova applicazione il margine di tolleranza del 10% di cui all’art. 4, comma 1-ter, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, introdotto dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158. Fattispecie in tema di sequestro preventivo, in cui la S.C. ha ritenuto immune da censure il provvedimento del tribunale del riesame che, sulla base del suddetto principio, aveva revocato la misura” (Sez. 3, Sentenza n. 43817 del 01/12/2016 Cc., dep. 22/09/2017, Rv. 271255 – 01).
Sul punto la sentenza deve pertanto annullarsi con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria.
4. Il ricorso risulta infondato nel resto, in quanto il motivo della violazione di legge sul mancato accertamento della soglia di cui all’art. 4, d. Igs. 74 del 2000 non risulta proposto in appello: «Non possono essere dedotte con il ricorso per Cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione» (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017 – dep. 21/03/2017, Bolognese, Rv. 26974501).
Conseguentemente nessun vizio motivazionale sussiste.
Del resto, era onere del ricorrente contestare l’elencazione dei motivi di appello effettuata dalla sentenza (contestazione non effettuata neanche nella memoria di replica che si limita a ritenere la questione attinente al principio di legalità, rilevabile d’ufficio) e allegare i relativi atti, per il principio della specificità del ricorso – o autosufficienza: «E inammissibile, per difetto di specificità del motivo, il ricorso per cassazione con cui si deducano violazioni di legge verificatesi nel giudizio di primo grado, se l’atto non procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello contenuto nella sentenza impugnata, qualora questa abbia omesso di indicare che l’atto di impugnazione proposto avverso la decisione del primo giudice aveva anch’esso già denunciato le medesime violazioni di legge» (Sez. 2, n. 9028 del 05/11/2013 – dep. 25/02/2014, Carrieri, Rv. 25906601).
4.1. Sulla deduzione di costi non documentati la sentenza impugnata analizza, con motivazione adeguata ed immune da contraddizioni e da manifeste illogicità, tutte le voci contestate e con accertamenti di merito insindacabili in sede di legittimità ritiene illecita la deduzione dei costi risultanti dalle fatture assolutamente generiche e prive dei requisiti di legge (per la fattura n. 121, ad esempio, la sentenza rileva: “E’ quanto mai avulsa dalla prassi commerciale infatti – oltre che contrario a quanto previsto dalla legge in ordine ai requisiti delle fatture – l’emissione di una fattura relativa ad un costo così rilevante e sprovvista tuttavia di qualsivoglia indicazione in ordine agli elementi che giustificano il costo, specie con riferimento alla tipologia ed alle singole quantità di merce acquistata, la cui indicazione, del resto, avrebbe anche lo scopo di consentire all’acquirente al momento della consegna, di verificare che la merce oggetto dell’accordo sia stata interamente recapitata”. Inoltre, gli stessi documenti di trasporto risultavano irregolari, anche senza indicazione del luogo di destinazione delle merci, delle modalità del trasporto e delle firme del conducente e del cessionario).
Si tratta di evidenti accertamenti di merito non sindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati come nel caso in giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria.
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