CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 35494 depositata il 27 settembre 2021
Reati tributari – Omessa presentazione di dichiarazione IVA – Responsabilità – Legale rappresentante subentrato successivamente alla scadenza del termine di presentazione – Esclusione
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza adottata in data 25 settembre 2020, e depositata in data 22 ottobre 2020, il Tribunale di Bari, pronunciando in sede di riesame ex art. 324 cod. proc. pen., ha confermato il decreto emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, che, per quanto di interesse in questa sede, aveva disposto il sequestro preventivo a fini di confisca diretta di denaro per euro 7.469.228,65 nei confronti della società “C.E.I. s.r.l.”, nonché, in subordine, in caso di patrimonio societario incapiente, il sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente di beni nella disponibilità di M.R., fino alla concorrenza di euro 101.740,70.
La misura cautelare indicata è stata disposta nei confronti di R. per il reato di cui all’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, commesso il 30 dicembre 2016 (capo 6), per aver omesso, quale legale rappresentante della società “C.E.I. s.r.l.”, la presentazione della dichiarazione cui questa ditta era tenuta ai fini IVA per l’anno 2015, con evasione della medesima imposta per la somma di euro 101.740,70.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe M.R., con atto sottoscritto dall’avvocato U.G., articolando due motivi, preceduti da un’ampia premessa.
Nella premessa, si ripercorre lo svolgimento del procedimento. In particolare, si rappresenta che: a) la società “C.E.I. s.r.l.” è ritenuta partecipe ad una frode IVA, per aver acquistato dalla società svizzera “E.I. SA” quantitativi di energia elettrica, e per averli poi rivenduti alla società “V. s.r.l.”, mediante fatture attraverso le quali assumeva su di sé il debito per l’IVA, che però non riportava in dichiarazione né pagava, e, insieme, consentiva alla cessionaria di maturare un credito IVA da compensare in relazione alle vendite ai consumatori finali; b) il G.i.p. ha ritenuto sussistente il fumus commissi delicti per il reato di cui all’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000 a carico dell’odierno ricorrente quale amministratore della “C.E.I. s.r.l.”, con riferimento alle fatture n. 2, 3, 4 e 5 del 5 gennaio 2015, in quanto, a norma dell’art. 21, settimo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, l’obbligo di versamento dell’IVA sussiste anche in caso di fatture per operazioni inesistenti, e per l’intero ammontare indicato; c) nei motivi addotti a sostegno della richiesta di riesame, la difesa aveva rappresentato che la disciplina appena citata non si applica alle vendite di energia elettrica in contestazione, siccome rese dal legislatore non imponibili, e che il ricorrente era divenuto amministratore della “C.E.I. s.r.l.” solo il 19 ottobre 2016, quando i termini per la presentazione IVA erano già scaduti (la scadenza era fissata al 30 settembre 2016); d) il Tribunale aveva ritenuto la sussistenza del fumus commissi delicti escludendo che le fatture n. 2, 3, 4 e 5 del 5 gennaio 2015 fossero “non imponibili”, in quanto relative ad operazioni realizzate nel dicembre 2014, mentre il nuovo regime fiscale era applicabile dal giorno 1 gennaio 2015, e ritenendo il ricorrente molto probabilmente consapevole della illegalità dell’attività svolta.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 5, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, nonché 321 e 125, comma 3, cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini IVA per l’anno 2015.
Si deduce che le fatture, siccome relative a cessioni di energia elettrica effettuate nel 2014, erano riferibili non all’esercizio 2015, ma all’esercizio 2014.
Si precisa, in proposito, che l’IVA per le cessioni di energia elettrica diventa esigibile al momento della consegna, a norma dell’art. 6 d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto l’energia elettrica è bene mobile, e la sua cessione non è annoverabile tra le “prestazioni di servizi”, per le quali l’IVA è esigibile al momento del pagamento del corrispettivo. Si richiama, ad ulteriore sostegno di questa conclusione, sia la risposta all’interpello n. 140 del 2018 dell’Agenzia delle Entrate, sia l’indicazione contenuta nell’informativa della Guardia di Finanza, la quale rappresenta che le fatture in contestazione «attengono a cessioni di energia elettrica che, eseguite nel periodo d’imposta 2014, sono state fatturate a conguaglio nell’anno 2015».
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo alla mera apparenza della motivazione in ordine alla partecipazione del ricorrente alla condotta delittuosa in contestazione.
Si deduce che è apodittica la motivazione in ordine alla consapevolezza del ricorrente circa la doverosità dell’adempimento relativo alla presentazione della dichiarazione IVA per il 2015. Si rappresenta, in particolare, che l’affermazione del fumus commissi delicti a carico del ricorrente: a) è basata sul mero fatto omissivo della mancata presentazione della dichiarazione; b) non tiene conto della brevità del tempo a disposizione del ricorrente, il quale assunse la carica di legale rappresentante dell’impresa il 19 ottobre 2016, quindi dopo la scadenza dei termini ordinari per presentare la dichiarazione IVA, già maturati il 30 settembre 2015, e poche settimane prima della scadenza del termine del 30 dicembre 2016 previsto per il “ravvedimento” penalmente rilevante; c) non spiega perché la condotta debba ritenersi conseguenza dell’accordo tra il ricorrente e Giuliani, l’asserito ideatore della frode, e non, invece, risultato di negligenza.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito precisate.
2. Fondata, in considerazione di quanto esposto nell’ordinanza impugnata, è la censura formulata nel primo motivo, la quale contesta la configurabilità del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini IVA per conto della “C.E.I. s.r.l.” per l’anno 2015, deducendo che le fatture emesse e non indicate in dichiarazione sarebbero in realtà riferibili ad operazioni fiscalmente rilevanti per l’esercizio 2014, in ordine al quale il ricorrente non aveva alcun obbligo dichiarativo, essendo divenuto amministratore della società solo nel 2016.
2.1. Occorre premettere che la censura è ammissibile a norma di quanto dispone l’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., siccome attiene a questione che, sebbene enunciata per la prima volta in questa sede, non poteva essere dedotta anteriormente.
Invero, il Tribunale, per rispondere alla doglianza formulata in sede di riesame dalla difesa circa l’inapplicabilità dell’obbligo di versamento dell’IVA per le vendite di energia elettrica effettuate nell’anno 2015, in quanto sottoposte al regime del reverse charge, operativo a decorrere dal giorno 1 gennaio 2015, ha osservato che le fatture non indicate in dichiarazione, pur se emesse nel 2015, sono relative a forniture effettuate nel mese di dicembre 2014, come riscontrabile anche dall’esame delle copie depositate nel corso dell’udienza camerale dalla Procura procedente, e per questa ragione sono da ritenersi assoggettate ad IVA.
In questo modo, l’attuale ricorrente si è visto respingere l’istanza di riesame sulla base di un argomento “nuovo” e decisivo, in relazione al quale non aveva formulato alcuna deduzione.
Ciò posto, ferma restando la condivisibilità del principio in forza del quale non sono proponibili in sede di legittimità questioni coinvolgenti valutazioni mai prima sollevate applicabile anche nel caso di ricorso avverso ordinanza del tribunale del riesame in tema di misura cautelare reale (cfr. Sez. 3, n. 35889 del 01/07/2008, Itri, Rv. 241271-01), occorre però esaminare se ricorra una delle situazioni di deroga espressamente previste in relazione a tale principio.
In questa prospettiva, viene in rilievo la deroga connessa alle questioni «che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello», e che, per questa ragione, sono comunque decidibili dalla Corte di cassazione, a norma dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen.
In particolare, in proposito, appare significativa la situazione determinata da decisioni fondate su argomenti “nuovi” e decisivi. Invero, non sembra ragionevole pretendere che una parte debba confrontarsi con argomenti non addotti, nemmeno implicitamente, nel provvedimento avverso il quale propone una impugnazione di merito. Ora, le questioni relative ad argomenti “nuovi” ed “a sorpresa”, enunciati dal giudice dell’impugnazione di merito in funzione dirimente e risolutiva, se ed in quanto ne fosse in concreto inesigibile la proposizione davanti a quest’ultimo, per l’assoluta imprevedibilità della loro rilevanza, sono da ritenere, nell’effettività della dinamica processuale, questioni «che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello», e, come tali, decidibili dalla Corte di cassazione, a norma dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen.
2.2. Compiuta questa precisazione preliminare, va poi osservato che la censura del ricorrente coglie nel segno quando critica l’imputabilità all’esercizio 2015 delle fatture indicate quale presupposto dell’obbligo penalmente sanzionato di dichiarazione fiscale per tale annualità, una volta che le stesse sono ritenute proprio dall’ordinanza impugnata riferibili a forniture effettuate nel dicembre 2014.
Invero, secondo quanto prevede l’art. 21, quarto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, la «fattura è emessa al momento dell’operazione determinata a norma dell’articolo 6». L’art. 6 d.P.R. cit., poi, in particolare, al primo comma, dispone: «Le cessioni di beni si considerano effettuate nel momento della stipulazione se riguardano beni immobili e nel momento della consegna o spedizione se riguardano beni mobili», e, al quinto comma, prevede: «L’imposta relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi diviene esigibile nel momento in cui le operazioni si considerano effettuate secondo le disposizioni dei commi precedenti e l’imposta è versata con le modalità e nei termini stabiliti nel titolo secondo». Ancora, occorre osservare che le energie sono da considerare cose mobili, e come tali sono state qualificate espressamente anche dall’Agenzia delle Entrate, ad esempio nella risposta a quesito n. 140 del 2018.
Sembra potersi dire, allora, che, in linea generale, le fatture in contestazione, in quanto relative a forniture effettuate nel mese di dicembre 2014, avrebbero dovuto essere emesse nel 2014, ed essere riportate nella dichiarazione concernente tale esercizio.
È vero che la regola generale sopra indicata, secondo cui la fattura dovrebbe essere emessa al momento della fornitura dell’energia elettrica, soffre di eccezioni, ad esempio nel caso di cessioni periodiche o continuative di beni in esecuzione di contratti di somministrazione (cfr. art. 6, secondo comma, lett. a).
Tuttavia, l’ordinanza impugnata, prima di concludere nel senso della inapplicabilità della regola generale, avrebbe dovuto precisarne le ragioni.
Il Tribunale, invece, si è limitato a dare per presupposto, senza offrire alcuna indicazione in proposito, che le fatture in ragione delle quali è stata formulata l’imputazione di omessa dichiarazione andavano riferite all’esercizio 2015, pur essendo relative a forniture effettuate nel mese di dicembre 2014, e nonostante la regola generale preveda che la fattura deve essere emessa al momento della fornitura dell’energia elettrica.
Così strutturata, la decisione impugnata è affetta da violazione di legge, perché caratterizzata da una motivazione completamente apodittica con riguardo al profilo ritenuto decisivo per affermare l’infondatezza dell’istanza di riesame dell’odierno ricorrente.
3. La fondatezza della censura formulata nel primo motivo e, quindi, la necessità di esaminare se le fatture in ragione delle quali è stata formulata l’imputazione di omessa dichiarazione riguardavano operazioni riferibili, sotto il profilo degli obblighi fiscali, all’esercizio 2014, ha funzione assorbente rispetto all’esame delle censure formulate nel secondo motivo di ricorso.
Invero, se le operazioni in questione fossero riferibili all’esercizio 2014 per quanto concerne gli obblighi fiscali, nessun addebito potrebbe essere mosso al ricorrente, in quanto lo stesso è divenuto amministratore della “C.E.I. s.r.l.” solo nel 2016, e, come tale, può essere ritenuto obbligato, eventualmente, solo alla presentazione della dichiarazione fiscale della società per l’esercizio 2015.
Di conseguenza, solo dopo l’individuazione dell’esercizio al quale sono riferibili dette operazioni sotto il profilo degli obblighi fiscali, e, segnatamente, solo se tale esercizio sia da individuare in quello del 2015, è rilevante l’esame della questione posta nel secondo motivo del ricorso, la quale pone il tema dell’apoditticità della motivazione del Tribunale in ordine alla consapevolezza del ricorrente circa la doverosità dell’adempimento relativo alla presentazione della dichiarazione IVA per il 2015.
4. Alla fondatezza delle censure esposte nel primo motivo di ricorso segue l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale del riesame.
Il Giudice del rinvio esaminerà innanzitutto la questione circa l’individuazione dell’esercizio al quale sono riferibili, sotto il profilo degli obblighi fiscali, le operazioni in ragione delle quali è stata formulata l’imputazione di omessa dichiarazione, evitando di pervenire a conclusioni non supportate da motivazione.
Il medesimo Giudice, poi, ove ritenga che dette operazioni siano riferibili, sotto il profilo degli obblighi fiscali, all’esercizio relativo all’anno 2015, valuterà, con piena libertà di apprezzamento, il tema concernente l’attribuibilità del fatto al ricorrente, ovviamente sulla base dei criteri valutativi previsti dall’ordinamento ai fini dell’applicazione di misure cautelari reali.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Bari competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.
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