CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 35977 depositata il 4 ottobre 2021
Reati tributari – Società sportiva dilettantistica senza scopo di lucro – Regime di de-commercializzazione – Agevolazioni – Requisiti
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 28 settembre 2020, la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Pavia del 28 marzo 2019, con la quale R.V. era stata condannata in relazione al reato di cui all’art. 5 del Dlgs. 74/2000.
2. Avverso la predetta sentenza della Corte di appello, R.V. propone, mediante il proprio difensore, ricorso per cassazione, sollevando tre motivi di impugnazione.
3. Con il primo, deduce il vizio ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 143 comma 3 DPR 917/86, 4 comma 4 del DPR 633/72 in relazione all’art. 5 del Dlgs. 74/2000. Si contesta la conclusione della Corte di Appello che ha escluso che le entrate provenienti da iscritti all’ente associativo dilettantistico, quale quello della ricorrente, o comunque da partecipanti alla attività da esso svolta, siano da considerarsi incluse in quelle per le quali gli artt. 148 comma 3 DPR 917/86 e 4 comma 4 DPR 633/72 ammettono il beneficio della decommercializzazione. In proposito, si osserva come le due predette disposizioni sono state modificate con l’art. 5 del Dlgs. 460/1997, e tali modifiche hanno riguardato sia i tipi di associazione cui si applica il beneficio della de-commercializzazione, sia i destinatari dello stesso sia le caratteristiche delle attività agevolate.Sotto il profilo soggettivo la norma avrebbe ampliato la platea dei soggetti ammessi al beneficio, limitando nel contempo l’agevolazione, prima prevista per tutte le associazioni sportive, solo a quelle dilettantistiche non aventi scopo di lucro ed affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti di promozione sportiva riconosciuti. Quanto ai destinatari delle agevolazioni, accanto agli associati e partecipanti sarebbero stati aggiunti gli “iscritti”. E quanto al profilo oggettivo dell’attività, si è precisato che le stesse devono essere “svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali”, dovendosi quindi trattare di attività che attui lo scopo principale dell’ente o sia ad esso direttamente inerente.
Se ne deduce che il beneficio della de-commercializzazione riguarderebbe – secondo criteri di razionalità – i corrispettivi da prestazione di servizi rese non solo a favore degli associati in senso stretto ma anche a favore di coloro che, iscrivendosi al sodalizio e versando una quota, entrino a far parte della vita associativa; la locuzione “tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali”, sarebbe riferita a soggetti non facenti parte di altre associazioni svolgenti la stessa attività e affiliate ad una medesima associazione locale o nazionale, che nondimeno abbiano la tessera delle organizzazioni nazionali di cui queste altre associazioni facciano parte. Da qui l’erroneità della decisione della corte, che ha ritenuto che il tesseramento alle organizzazioni nazionali sia necessario per attribuire al “partecipante” al sodalizio sportivo lo status di “effettivo partecipante”, come tale distinguibile da chi sia solo “occasionalmente tesserato”, che quindi sarebbe solo da qualificare come un comune cliente. Neppure sarebbe risolutivo il richiamo alla circolare della Agenzia delle Entrate n. 18/E del 1 agosto 2018.
Sarebbe conseguentemente erroneo ritenere la decadenza della società sportiva dilettantistica dal regime fiscale agevolato di cui alla L. 398/91, con attrazione al regime impositivo ordinario dei proventi conseguiti per l’anno 2012 e correlata sentenza di condanna per omessa presentazione della dichiarazione Iva.
4. Con il secondo motivo deduce il vizio di omessa motivazione in relazione a motivi di gravame. Si osserva che con motivi di gravame sarebbero stati censurati specifici passaggi motivazionali della prima sentenza, espressamente riportati in ricorso. Si aggiunge, in particolare, che in ordine all’intervenuto giudizio del primo giudice, circa la prevalenza delle entrate da attività commerciali rispetto a quelle istituzionali, la ricorrente avrebbe rappresentato, con motivo di appello, che tale giudizio di prevalenza era fondato su prove documentali e dichiarative non descrittive di un’attività di comparazione, mese per mese, delle entrate provenienti dai tesserati dalle organizzazioni sportive nazionali con quelle provenienti dagli “associati” non anche tesserati; per cui era impossibile verificare in senso diacronico, ai sensi dell’art. 149 comma 1 DPR 917/86, se vi fosse stata prevalenza delle entrate da attività commerciale. Accertamento, quest’ultimo, rappresentato come decisivo. E in proposito, si aggiunge come, procedendo a tale verifica, non si sarebbe potuto escludere, per alcuni mesi, che la prevalenza delle entrate da attività commerciale – pacifica in valore assoluto – potesse venir meno rispetto alla prevalenza delle entrate istituzionali e per un tempo corrispondente alla maggior parte dell’esercizio. Sempre con atto di gravame, con riferimento alla individuazione, da parte del primo giudice, di comportamenti ritenuti sintomatici di gestione svolta secondo parametri commerciali, si sarebbe confutata tale conclusione. Ma sui predetti specifici motivi di gravame la corte di appello non avrebbe formulato alcuna considerazione. Con conseguente mancanza di motivazione, pur trattandosi di censure in grado di sovvertire i rilievi fondanti la decadenza della società sportiva dilettantistica dal regime fiscale agevolato, già prima citato.
5. Con il terzo motivo, deduce il vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del dolo specifico del reato. Si rappresenta come sia stato dedotto, in sede di gravame, l’assenza del dolo specifico del reato, osservandosi come la ricorrente non optò per il regime fiscale agevolato nella consapevolezza della mancanza dei relativi presupposti né ebbe, alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione Iva, alcun dubbio sul mantenimento, da parte della S.S.D., sia del regime fiscale semplificato sia della qualità di ente non commerciale e del connesso regime fiscale di favore. Si aggiunge che il dolo intenzionale, invece rinvenuto dalla corte, si fonderebbe sulla esistenza di rimesse a favore di due società nell’orbita familiare, che invece non potrebbero intendersi come espressione di attività commerciale e non potrebbero fondare, quindi, un fine di evasione sotteso alla scelta del regime fiscale esonerante dall’obbligo di presentare dichiarazione.
Anche la seconda circostanza, pur valorizzata dai giudici di merito ai fini predetti, non avrebbe il valore indiziante preteso. Al contrario, per escludere il dolo in parola si sarebbe dovuto tenere conto della intervenuta amministrazione della società in una situazione di incertezza sul trattamento fiscale, dell’intervenuta trattazione degli incassi delle piscine esterne come ricavi da attività commerciale, pur quando provenivano da utenti tesserati da organizzazioni sportive nazionali, e della intervenuta trasmissione, pur non dovuta, della comunicazione annuale dei dati Iva ex art. 8 bis DPR 322/98, indicando quali ricavi commerciali i corrispettivi del bar e delle piscine esterne oltre ad una quota di proventi istituzionali. Da qui, a fronte della mancata considerazione di tali dati, il vizio di manifesta illogicità della motivazione.
Considerato in diritto
1. Nel procedere all’esame del primo motivo di ricorso, va premesso che, ai sensi dell’art. 90 della L. 289 del 2002, si possono applicare benefici fiscali previsti dalla vigente normativa per le associazioni e le società sportive dilettantistiche senza scopo di lucro. In particolare, ai sensi del citato art. 90 le disposizioni della legge 16 dicembre 1991, n. 398, e successive modificazioni, e le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche, si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in societa’ di capitali senza fine di lucro.
Con la predetta legge n. 398, recante “Disposizioni tributarie relative alle associazioni sportive dilettantistiche”, estesa per quanto sopra riportato anche alle societa’ sportive dilettantistiche costituite in societa’ di capitali senza fine di lucro, è stato previsto, in estrema sintesi, uno speciale regime di determinazione delle imposte ai fini IRES ed ai fini IVA ed un regime contabile semplificato. Tale regime speciale prevede l’esonero dall’obbligo di tenuta delle scritture contabili, da quello di di presentazione della dichiarazione IVA, sia annuale sia periodica, oltre che di certificazione dei corrispettivi e del libro degli acquisti.
Gli enti di cui sopra, che hanno optato per il regime di cui alla L. 398/1991, determinano il proprio reddito attraverso l’applicazione di un coefficiente di redditività predeterminato. E quanto alla imposta sul valore aggiunto, la L. 398/1991 stabilisce anche delle agevolazioni sul relativo ammontare, da versare mediante detrazioni forfettarie.
Ai fini dell’utilizzo di tale regime si richiede l’esercizio di un potere di opzione in favore dello stesso (art. 12 della L. citata) ed il rispetto di un limite dimensionale del valore dei proventi da attività commerciali, realizzate nel corso dell’anno di imposta, non superiore ai 250.000 euro.
Nel caso in cui l’ente sportivo superi il limite di 250.000 euro nel corso del periodo di imposta, gli effetti dell’opzione terminano a decorrere dal mese successivo.
Ulteriori benefici per i predetti enti sono quelli di cui all’art. 148 comma 3 del Tuir, con la precisazione dell’obbligo di conformazione a talune clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti, riguardanti: a) il divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge; b) l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo di cui all’articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge; c) la disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione; d) l’obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie; e) l’eleggibilità libera degli organi amministrativi, il principio del voto singolo di cui all’articolo 2532, comma 2, del codice civile, la sovranità dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, i criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; f) l’intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa ( cfr. in proposito Cass. civ. 26 settembre 2018 n. 22939; Cass. civ. 9 maggio 2018, n. 11050).
1.1. Da quanto sopra esposto, appare evidente che ai fini in esame – inerenti l’operatività dell’obbligo dichiarativo di cui all’art. 5 del Dlgs., 74/2000, il quale è escluso in caso di corretto esercizio del diritto di opzione di cui alla citata L. 298/1991 – rileva il tema della possibilità del venir meno ovvero della insussistenza di presupposti fondanti il complessivo regime sopra sintetizzato. In particolare, nel caso di specie rileva il tema del corretto inquadramento giuridico di attività svolte dalla società della ricorrente in favore di soggetti che, pur affiliati alla associazione, non sarebbero stati tesserati presso l’ente sportivo di riferimento; ciò perché, secondo i giudici di merito, alla luce dell’art. 148 comma 3 Tuir citato, la de-commercializzazione ivi prevista di talune attività svolte da enti contemplati al comma 3 dell’art. medesimo, incidente come tale sul rispetto del sopra riportato limite dimensionale del valore dei proventi da attività commerciali realizzate nel corso dell’anno di imposta, pari ad un massimo di euro 250.000, presupporrebbe, quanto alle associazioni sportive dilettantistiche ( e quindi anche alle società sportive senza scopo di lucro), che si tratti di attività svolte in favore di soci o associati nel contempo tesserati presso la federazione di riferimento.
1.2. Si tratta di un’interpretazione della norma non corretta. Invero, appare evidente dalla lettera della citata previsione, che non si considerano commerciali innanzitutto, per quanto qui di interesse, le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti sia degli associati di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, sia nei confronti dei rispettivi associati oltre che dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali. Appare chiara, secondo questo collegio, la ratio della disposizione, che mira a favorire, anche a fini fiscali, l’espletamento di attività istituzionali dell’ente, identificate in quelle svolte in favore di soggetti aderenti direttamente al medesimo ovvero vincolati ad altre associazioni che svolgano la stessa attività e facciano parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, o anche solo tesserati presso le rispettive organizzazioni nazionali. Queste ultime due ipotesi si connotano per la valorizzazione, in luogo di uno stretto e diretto legame associativo con l’ente che espleti la specifica attività sportiva, di altri vincoli comunque espressivi di una stabile adesione del destinatario della prestazione del singolo ente, alla medesima attività sportiva di riferimento, individuati in rapporti associativi con altri enti della medesima organizzazione sportiva o con la stessa federazione sovraordinata. Emerge con evidenza, in tal modo, l’ispirazione di fondo dell’art. 148 comma 3 citato, volta a legare il vantaggio fiscale alla promozione di attività sportive nei confronti di soggetti stabilmente e formalmente legati agli enti integranti il settore sportivo di comune riferimento, ovvero, per quanto possibile, stabili destinatari delle finalità sportive perseguite siccome tesserati alla federazione; così da escludere, di converso, prestazioni non strumentali rispetto al perseguimento effettivo degli scopi istituzionali e come tali inquadrabili solo in meri rapporti di tipo commerciale.
Tanto, invero, si desume anche alla luce di un’interpretazione sistematica dell’art. 148 citato, laddove al comma 8 si condiziona l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 3, 5, 6 e 7 alla conformazione, da parte degli enti interessati, ad una serie di clausole, in precedenza già riassunte, chiaramente finalizzate, anche esse, a valorizzare e assicurare gli scopi sportivi istituzionali, tanto da escludere la distrazione di fondi e da garantire la continuità della finalizzazione sportiva del patrimonio, e da richiedere il funzionamento democratico dell’ente e, per tale via, la effettiva partecipazione alla vita del medesimo da parte di chi sia ad esso affiliato. Così da espressamente escludere la temporaneità della partecipazione alla vita associativa, propria, invero, di chi non sia stabilmente legato all’ente ovvero ai suoi scopi istituzionali. In altri termini, la previsione di cui all’art. 148 comma 3 Tuir presuppone e promuove un sistema di regole all’interno delle quali le attività de -commercializzate vengono circoscritte solo a quelle che appaiono realmente dirette in favore di coloro che sono parte effettiva della vita dell’ente e come tali risultano reali beneficiari e al tempo stesso attori delle finalità sportive perseguite.
Consegue la valorizzazione, per la individuazione dei destinatari delle attività de – commercializzate, della qualità di associato o socio dell’ente o di tesserato alla federazione di riferimento, come sopra più ampiamente identificati. Laddove, invece, il riferimento al mero iscritto o partecipante all’ente, quale ulteriore destinatario delle prestazioni in esame, appare insufficiente, innanzitutto alla luce delle suesposte considerazioni e della rappresentata ratio ispiratrice delle previsioni in parola. Non potendosi individuare in un mero “iscritto” o “partecipante” un soggetto realmente operativo nel contesto sportivo di riferimento, come invece accade per l’associato, socio o tesserato di cui sopra, titolari come tali di diritti e doveri, anche partecipativi, all’interno della compagine sportiva o comunque compartecipi stabilmente delle finalità della federazione.
Né sovviene in tal senso la lettera dell’art. 148 citato. Invero, il riferimento, tra i destinatari delle prestazioni de – commercializzabili, accanto agli associati o tesserati, anche agli iscritti o partecipanti, trova chiara spiegazione nella variegata struttura organizzativa dei plurimi enti che possono avvalersi della predetta norma. Quali sono, oltre alle associazioni o società sportive qui in esame – rispetto alla cui conformazione organizzativa non trova riscontro, ai fini di enuclare posizioni di effettiva partecipazione alla vita interna, la figura dell -iscritto” o “partecipante”, riconducibile piuttosto a quella di mero cliente – le “associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, nonché le strutture periferiche di natura privatistica necessarie agli enti pubblici non economici”.
Non a caso infatti, per tali forme organizzative è possibile riscontrare termini espressivi di forme di effettiva partecipazione interna non necessariamente identici tra le stesse. Così da avere indotto il legislatore a fare riferimento a plurime locuzioni che, pur volte a rappresentare legami interni stabili e effettivi, assumono una tale portata non necessariamente in rapporto a tutti gli enti contemplati nella sopra citata disposizione. Cosicché, per quanto qui di interesse, termini quali iscritti o partecipanti, alla luce della peculiare struttura organizzativa, non appaiono espressivi dei predetti vincoli interni con riguardo alle associazioni o società in esame e quindi non possono individuare i destinatari delle attività de – commercializzate in parola.
Va sottolineato come rispetto a tale ricostruzione interpretativa appaia conforme anche la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 18/E del 1 agosto 2018, a torto invece citata, nella sentenza impugnata, come confermativa della interpretazione qui esclusa. Con la stessa, infatti (cfr. pag. 56 e 57), si indica chiaramente che la disposizione agevolativa in esame si applica sia in ordine alle attività che risultino esplicazione diretta degli scopi istituzionali e vengano svolte in favore di soggetti aventi la qualifica di associati o soci, sia riguardo a quelle medesime attività effettuate in favore di soggetti che, seppur privi dela predetta qualifica di associato o socio, risultino comunque “tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, vale a dire della Federazione sportiva nazionale dell’Ente di Promozione Sportiva o della Discipliana Sportiva Associata cui è affiliato l’ente sportivo dilettantistico non lucrativo”.
I principi finora enucleati trovano applicazione, mutatis mutandis, anche con riferimento all’art. 41comma 4, del D.P.R. 26.10.1972 n. 633, pure richiamato dalla ricorrente.
1.3. Si tratta di principi di cui i giudici di appello non hanno fatto applicazione, laddove invece, al fine di stabilire le attività “de – commercializzate” riconducibili alla società della ricorrente avrebbero dovuto sia individuare quelle istituzionali svolte in favore di soci, associati o tesserati nei termini sopra illustrati, sia nel contempo verificare il rispetto o meno delle clausole indicate al comma 8 dell’art. 143 citato, a partire da quella di cui alla lettera a), riguardante il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge. Trattandosi di previsioni tra loro connesse e condizionanti l’operatività del regime di de – commercializzazione, con relative implicazioni ulteriori.
1.4. La fondatezza del primo motivo di impugnazione assorbe le ulteriori censure, di cui quindi preclude l’utilità del relativo esame.
2. Alla luce delle suesposte considerazioni, questa Corte ritiene pertanto che la sentenza impugnata debba essere annullata con rinvio per nuovo giudizio, secondo i principi sopra indicati, ad altra sezione della corte di appello di Milano.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Milano.
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