CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 35989 depositata il 4 ottobre 2021
Reati tributari – Emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti – Misure cautelari – Sequestro preventivo impeditivo – Condizioni – Requisito della pertinenzialità del bene sequestrato – Necessità
Ritenuto in fatto
1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale del riesame di Lecce ha respinto il ricorso, ex art. 324 cod.proc.pen., proposto da M.P.I. s.r.I., avverso il decreto di sequestro preventivo, emesso dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Lecce, ai sensi dell’art. 321 comma 1 cod.proc.pen., della società e, ai sensi dell’art. 321 comma 2 cod.proc.pen., del profitto del reato costituito dal risparmio di spesa nell’ambito di indagini svolte in relazione all’art. 8 del d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, – capo 20) contestato a L.L. e L. E. – da eseguirsi in via diretta sulla società e in subordine per equivalente nei confronti degli indagati che operavano, all’epoca dei fatti, per conto della società, ed ha confermato l’impugnato decreto di sequestro preventivo.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di M.P.I. s.r.l. e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi di ricorso.
2.1. Col primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 321 comma 1 cod.proc.pen. Il Tribunale cautelare avrebbe confermato il decreto di sequestro impeditivo in violazione del principio di pertinenzialità della res.
Argomenta il ricorrente che il sequestro impeditivo era stato emesso in relazione al delitto di cui all’art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, contestato a vario titolo a soggetti che operavano all’interno della società e tra questi, come contestato nel capo 20), a L. L. e L. E., indagati del reato di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti in favore della società S. srl, con conseguente sottrazione all’erario di oltre € 2.000.000,00.
In tale ambito l’ordinanza impugnata avrebbe in modo apodittico affermato l’esistenza di una situazione di pericolo che la libera disponibilità della società, e quindi il libero esercizio dell’attività di impresa, che costituisce l’oggetto sociale della società, potesse aggravare le conseguenze del reato e agevolare la commissione dei reati della stessa specie.
Il Tribunale non si sarebbe confrontato con le deduzioni difensive ed avrebbe in modo congetturale affermato, sulla scorta delle risultanze di intercettazioni, che la società era stabilmente asservita alla realizzazione degli scopi dell’associazione a delinquere contestata al capo 1).
L’ordinanza impugnata avrebbe affermato la sussistenza del nesso di pertinenzialità tra l’intero compendio aziendale e il reato senza compiere alcuna valutazione circa l’esistenza o meno di una relazione di stretta implicazione e compenetrazione tra l’attività sociale e il reato per cui si procede, requisito indispensabile per l’adozione della misura cautelare, risultando esclusa tale pertinenzialità laddove sussista un rapporto di mera occasionalità tra reato ed esercizio dell’impresa.
Nel corso del giudizio di riesame, la difesa aveva argomentato come la società in questione non fosse una impresa illecita funzionalmente asservita in via esclusiva o prevalentemente alla commissione dei reati fiscali, essendo stata solo occasionalmente e collateralmente coinvolta in fatti di rilevanza penale.
2.2. Col secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 321 comma 1 cod.proc.pen. in relazione all’assenza di un pericolo di reiterazione dotato dei requisiti di concretezza ed attualità. L’ordinanza impugnata avrebbe con argomenti di mero stile ritenuto sussistente il concreto e attuale pericolo dell’aggravamento delle conseguenze del reato o dell’agevolazione di commissione di altri reati. Vi sarebbe sul punto una radicale assenza di adeguata motivazione tanto più che sin dal 2018 la società aveva interrotto ogni legame con gli indagati del reato fiscale ed aveva provveduto alla nomina di un altro soggetto non sottoposto ad indagini quale amministratore della società.
2.3. Col terzo motivo deduce violazione di legge di cui all’art. 321 comma 1 cod.proc.pen. in relazione alla violazione del principio di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura cautelare applicata.
Premesso che la difesa aveva rappresentato che il sequestro aveva colpito l’intero compendio societario, l’ordinanza impugnata sarebbe priva di motivazione in relazione al rispetto del principio di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura che, secondo la giurisprudenza di legittimità, deve trovare applicazione anche alle misure cautelari reali.
2.4. Col quarto motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 321 comma 2 cod.proc.pen. con riferimento agli artt. 8 del d.lgs n. 74 del 2000, art. 12 ter medesimo decreto. L’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto sussistente il profitto del reato di cui all’art. 8, non considerando che chi emette fatture per operazioni inesistenti, pur agendo al fine di consentire a terzi l’evasione di imposta, non consegue infatti alcun vantaggio economico o patrimonialmente misurabile dalla commissione del medesimo reato. Il Tribunale del riesame avrebbe respinto tale doglianza difensiva acriticamente assumendo l’esistenza del risparmio d’imposta derivante dall’omesso versamento iva da parte delle cartiere utilizzatrici delle fatture inesistenti, sussumibile nella nozione di profitto del reato di cui all’art. 8. Tale impostazione sarebbe giuridicamente errata sulla base della stessa giurisprudenza di legittimità che esclude la possibilità di far luogo alla confisca nei confronti dell’emittente, potendo in relazione alla medesima posizione dell’emittente essere disposta la confisca del prezzo del reato, prezzo del reato che nel caso in esame neppure il Pubblico Ministero aveva ipotizzato, avendo chiesto solamente il sequestro del profitto del reato costituito dalle somme sottratte all’erario.
Neppure potrebbe ritenersi applicabile al caso in esame il sequestro finalizzato alla confisca di cui all’articolo 12 ter decreto legislativo 74 del 2000, poiché l’estensione della cosiddetta confisca allargata, ex art. 240 bis codice penale, al delitto di cui all’art.8, è stata introdotta con il decreto-legge n. 124 del 2019, norma applicabile ai fatti commessi in epoca successiva alla sua introduzione per espressa previsione legislativa.
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è fondato sulla base delle seguenti ragioni.
2. Il ricorrente ha contestato, con il primo motivo di ricorso, la sussistenza del nesso di pertinenzialità, in quanto il Tribunale del riesame, nel recepire acriticamente l’impostazione accusatoria, non avrebbe verificato in alcun modo il nesso di pertinenzialità tra l’ipotizzata condotta delittuosa ed i beni sequestrati ritenendo sussistente apoditticamente la strumentalità della società al delitto contestato. Ha contestato che la società fosse stabilmente asservita alla realizzazione degli scopi dell’associazione contestata al capo 1), ovvero alla commissione di reati tributari.
La censura è fondata.
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale non vi è ragione per discostarsi, in tema di sequestro preventivo impeditivo, è necessaria la sussistenza del requisito della pertinenzialità del bene sequestrato, nel senso che il bene oggetto di sequestro preventivo deve caratterizzarsi da una intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso non essendo sufficiente una relazione meramente occasionale tra la res ed il reato commesso (Sez. 6, n. 5845 del 20/01/2017, F., Rv. 269374). Si è precisato, per quanto qui di rilievo, che ai fini della legittimità del sequestro preventivo di una società occorre dimostrare il durevole asservimento della stessa e del suo patrimonio alla commissione delle attività illecite, quale società strutturalmente illecita o di comodo (Sez. 6, n. 20244 del 08/02/2018, Fedele, Rv. 273268 – 01; Sez. 6, n. 5845 del 20/01/2017, F., Rv. 269374 – 01).
Occorre, pertanto, dimostrare nella ordinanza impositiva del sequestro preventivo adottato a fini impeditivi una diretta correlazione del bene con il reato in modo da escludersi qualsiasi indiscriminata estensione, o indefinita dilatazione, del vincolo reale in difetto di un nesso diretto di casualità con l’illecito o, per converso, in presenza di un nesso di mera occasionalità con lo stesso. Nella ordinanza impugnata, tuttavia, ad onta delle affermazioni del Tribunale del riesame, la motivazione è del tutto carente in punto asservimento della M.P. srl alla commissione delle attività illecite contestate e, segnatamente, che la stessa fosse una società strutturalmente illecita o, comunque, meramente di comodo.
Nella materia che ci occupa, infatti, è legittimo il sequestro preventivo delle quote di una società appartenenti a persona estranea al reato, qualora sussista un nesso di strumentalità tra detti beni ed il reato contestato ed il vincolo cautelare sia destinato ad impedire, sia pure in modo mediato e indiretto, la protrazione dell’ipotizzata attività criminosa, ovvero la commissione di altri fatti penalmente rilevanti, attraverso l’utilizzo delle strutture societarie (Sez. 2, n. 31914 del 09/07/2015, Cosentino, Rv. 264473 – 01).
Il Tribunale cautelare ha confermato il sequestro preventivo impeditivo adottato dal Giudice per le indagini preliminari evidenziando come la società M.P.I. srl non fosse stata occasionalmente utilizzata per commettere le frodi fiscali, ma fosse stabilmente asservita alla commissione dei reati scopo dell’associazione a delinquere di cui al capo 1), derivante dalla stabilità e dal collaudato rapporto tra L. L. e L. E. (pag. 6) che operavano per conto della M.P.I., a cui sono contestati i reati fiscali, e Q.P., persona coinvolta a pieno titolo nel contesto associativo volto alla commissione di una serie indeterminata di reati fiscali con evasione Iva attraverso il sistema della c.d. frodi a carosello, e ciò sulla base del contenuto delle conversazioni intercettate da cui emergeva che la società in questione fosse, secondo il tribunale, uno strumento stabilmente asservito alla realizzazione dei reati scopo in materia di evasione delle imposte.
Tale motivazione è carente nella misura in cui non si è per nulla confrontata con la deduzione difensiva secondo cui la società era operante nel settore del commercio dei prodotti petroliferi dal 1970 e, dunque, operava su un mercato che è regolato da disposizioni stringenti, omessa risposta che si traduce nell’assenza di motivazione dell’asservimento stabile della società e del suo patrimonio alla commissione di illeciti e dunque sul piano della configurabilità dei presupposti del sequestro impeditivo di una società.
Oltre tutto, rileva, il Collegio, che dal testo del provvedimento non è neppure chiaro l’oggetto del sequestro. Ma non solo: si legge, infatti, che il sequestro ha colpito la società che aveva svolto lecitamente parte dell’attività sociale, ma che era stata asservita in modo non occasionale al servizio degli scopi illeciti dell’associazione a delinquere, da cui il concreto pericolo che la libera disponibilità degli impianti e dei depositi potesse aggravare il reato e favorire la commissione di altri reati (cfr. pag. 1). Da cui l’ulteriore carenza argomentativa dal momento che il tribunale cautelare non fa alcuna differenza in relazione all’oggetto del sequestro (quote sociali o complesso aziendale), carenza argomentativa che finisce per avallare un sequestro impeditivo dell’attività di impresa in un contesto nel quale, per stessa ammissione del giudice della cautela, la società aveva in parte svolto attività lecita (cfr. pag. 1).
In altri termini, non è stato motivato che la società M.P. spa fosse una società schermo, una società criminale in quanto votata unicamente alla commissione dei reati scopo dell’associazione, né l’asservimento della stessa agli scopi illeciti dell’associazione a delinquere il che si traduce nell’assenza di motivazione sulla requisito della pertienenzialità tra il bene e il reato contestato. Va, poi, rilevata la motivazione meramente apparente, in quanto legata a formule di stile, della attualità del pericolo e della proporzionalità del sequestro, in un contesto nel quale tale requisito doveva necessariamente essere valutato alla luce dell’oggetto del sequestro (quote sociali o complesso aziendale). Consegue, anche, l’accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso.
4. Anche il quarto motivo di ricorso è fondato.
L’ordinanza impugnata ha confermato il sequestro a fini di confisca del profitto del reato di cui all’art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, nei confronti di L. L. e L. E. (capo 20) individuandolo nel risparmio di spesa costituito dall’omesso versamento dell’Iva da parte della società cartiera S. srl, società cartiera che attraverso la predisposizione di lettere di intenti false circa la qualità di esportatore abituale, si interponeva negli acquisti M.P. spa e gli clienti finali, acquistando fittiziamente i prodotti petroliferi che vendeva ai clienti senza versare l’iva che poi veniva divisa e retrocessa tra i sodali (cfr. pag. 10). La S. srl era una società cartiera che, operando in sinergia con la M.P. spa, acquistava fittiziamente il carburante dalla M.P. spa, che poi vendeva al reale acquirente della M.P. srl, emettendo regolare fattura con Iva che poi non versava e veniva retrocessa ai partecipi dell’associazione. Il risparmio di spesa costituito dall’iva non versata da S. srl costituiva, secondo il tribunale, il profitto del reato contestato.
Si tratta di decisione non in linea con la giurisprudenza di legittimità che in tale ambito ha ripetutamente affermato che in tema di emissione di fatture per operazioni inesistenti, non può essere disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, sui beni dell’emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime, in quanto il regime derogatorio previsto dall’art. 9 D.Lgs. n. 74 del 2000 – escludendo la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi se ne avvale – impedisce l’applicazione in questo caso del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo (Sez. 3, n. 43952 del 05/05/2016, P.m. in proc. Sanna, Rv. 267925 — 01; Sez. 3, n. 15458 del 04/02/2016, Carlovico, Rv. 266832 — 01). Si è chiarito che il vincolo nei confronti dell’emittente può essere imposto in relazione al solo prezzo del delitto di cui all’art. 8 D.Lgs. n.74 del 2000, da individuare – in sede di sequestro – con riferimento a qualsiasi utilità economica valutabile ed immediatamente o indirettamente derivante dalla commissione del reato.
5. Si impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza per la verifica dei presupposti applicativi del sequestro ai sensi dell’art. 321 comma 1 cod.proc.pen. della M.P. srl e per la verifica dell’utilità economica conseguita dall’emittente ai fini del sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai sensi dell’art. 12 bis d.lgs 10 marzo 2000, n. 74.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Lecce.
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