Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 36053 depositata il 26 settembre 2024

nel caso in cui il sequestro originariamente disposto abbia «azzerato» le disponibilità di denaro sui conti correnti dell’imputato, il successivo maturare dei crediti correlati al rapporto pensionistico non avrebbe realizzato quella «confusione» il cui presupposto è che la somma di denaro «sia stata reperita nel patrimonio del reo al momento dell’esecuzione della misura ablativa o, se del caso, del prodromico vincolo cautelare

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva disposto, con decreto del 28 giugno 2022, «il sequestro preventivo, fino all’importo di € 918.091,00, dei saldi dei conti correnti e delle altre disponibilità finanziarie riconducibili a M.E., B.S. e M.F.M., nonché delle somme che confluiranno in futuro su dette posizioni finanziarie fino a concorrenza con l’importo suindicato».

1.1 Esercitata l’azione penale per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, con istanza del 10 novembre 2023 la difesa dell’imputato aveva chiesto che venisse «revocato il sequestro in esame per quanto concerne le future somme che perverranno sul conto corrente dell’assistito (compresa evidentemente la pensione mensile nella sua integrità; venga restituita all’assistito la cifra consistente nella somma delle porzioni di pensione a lui sequestrate mensilmente a far data dall’esecuzione del sequestro (e quindi dal luglio 2022) sino alla data» della richiesta. A fondamento di tale richiesta, la difesa aveva dedotto che sulla carta Postpay 5333171072811975 intestata all’imputato confluiva anche l’assegno pensionistico percepito dall’attuale datore di lavoro, sequestrato in maniera asseritamente illegittima trattandosi di un’entrata di origine lecita entrata nel suo patrimonio successivamente al sequestro e non essendo, dunque, possibile alcuna confusione con «denari provento del presunto delitto di bancarotta».

1.2 Con ordinanza del 22 dicembre 2023, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma aveva accolto parzialmente la richiesta, mantenendo il sequestro limitatamente alla quota di un quinto conteggiata non sul totale della pensione erogata bensì «sulla parte eccedente il doppio mensile dell’assegno sociale». Nel respingere, in parte, la richiesta, il provvedimento aveva posto in luce la «funzione ripristinatoria del sequestro finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato» e che la misura ablatoria estesa anche ai redditi leciti non realizzava, comunque, una confisca per equivalente.

1.3 Il 29 dicembre 2023 la difesa dell’imputato presentò appello ex 322- bis cod. proc. pen. avverso tale decisione, deducendo che la Corte di cassazione aveva affermato l’illegittimità dell’ablazione delle somme di danaro di origine lecita confluite sul conto corrente dell’imputato dopo che il sequestro lo aveva azzerato, dovendosi escludere, in una ipotesi siffatta, una «confusione tra le somme di denaro corrispondenti al profitto del reato e le ulteriori somme (lecite) percepite dall’indagato».

1.4 Con ordinanza in data 11 marzo 2024, il Tribunale di Roma, Sezione per il riesame, ha rigettato l’appello proposto dalla difesa di Maggioni. Dopo avere ricordato che secondo le Sezioni unite la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato va sempre qualificata come diretta, indipendentemente dall’origine lecita della somma oggetto di apprensione, il Collegio ha affermato che le somme di danaro rinvenute nel patrimonio dell’imputato possono essere sottoposte a misura reale ove sia dimostrato che egli abbia conseguito un profitto in conseguenza del reato ascrittogli, sicché il sequestro sarebbe legittimo anche rispetto alle somme pervenute all’imputato successivamente, sino alla concorrenza del profitto, dovendo questo essere riferito all’incremento monetario prodottosi nel patrimonio dell’agente e non al denaro fisicamente inteso, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittima, sia pure in materia dei reati tributari (cita Sez. 3, n. 41589 del 16/05/2023 e Sez. 3, n. 42616 del 20/09/2022). E del resto se le somme confluite sul conto corrente dopo il sequestro non fossero sequestrate, esse potrebbero essere confiscate al termine del processo, sicché il divieto di misura reale sarebbe contraddittorio e si finirebbe con il far dipendere la possibilità di sequestrare il danaro dalla data, casuale, in cui la somma sia accreditata sul conto corrente. D’altra parte, secondo la sentenza delle Sezioni unite n. 42415/2021, per il denaro il nesso di pertinenzialità non potrebbe essere inteso come fisica identità della somma confiscata ma consisterebbe nella derivazione dal reato dell’accrescimento patrimoniale conseguito, ove ancora rinvenibile, in forma monetaria, nel patrimonio dell’imputato.

2. M.E. ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo dei difensori di fiducia, avv.ti P. V. e F. L., deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 240, comma primo, cod. pen. e 321 cod. proc. pen. Nel dettaglio, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., che la soluzione accolta si ponga in contrasto con quanto affermato dalla sentenza n. 31186 del 27/06/2023 della Quinta Sezione della Corte di cassazione, relativa a una vicenda identica, in cui era contestato il reato di bancarotta fraudolenta. In tale frangente, infatti, disposto un sequestro finalizzato alla confisca facoltativa del profitto, azzerato il conto corrente dell’imputato ed esteso il sequestro agli stipendi che costui aveva ricevuto da una società terza, la Corte di legittimità avrebbe ritenuto che il sequestro preventivo non potesse avere ad oggetto denaro di certa provenienza lecita percepito successivamente all’esecuzione del sequestro, quando sia impedita l’automatica confusione, nel patrimonio stesso, del denaro acquisito lecitamente. Detta sentenza si porrebbe in continuità con la pronuncia delle Sezioni Unite n. 42415/2021, secondo cui il denaro, intrinsecamente fungibile, si confonde nel patrimonio dell’imputato, perdendo «ogni giuridico rilievo la sua identificabilità fisica» e, di conseguenza, anche la liceità o meno della sua provenienza, ferma restando la necessità che il nesso eziologico che deve ricorrere tra il profitto e il reato, che secondo le stesse Sezioni unite sarebbe «lungi dal venir meno», venga riferito non alla somma derivante dal reato, bensì all’incremento monetario, ancora rinvenibile nel patrimonio del soggetto. In tale prospettiva, secondo la Corte di cassazione l’azzeramento del conto corrente farebbe venire meno quella confusione patrimoniale che rappresenta il presupposto affinché il nesso di pertinenzialità del denaro al reato possa ancorarsi all’accrescimento patrimoniale monetario conseguito dall’agente e che rispetto alle somme accreditate successivamente all’esecuzione del sequestro originario dovrebbe essere nuovamente cercato. Viceversa, il Tribunale del riesame avrebbe erroneamente ritenuto che anche in una ipotesi siffatta il nesso di derivazione non debba essere ricercato. Se così fosse, tuttavia, si introdurrebbe la confisca per equivalente in ipotesi non previste dal legislatore.

Quanto, poi, all’argomento secondo cui si farebbe dipendere la possibilità del sequestro di danaro dalla data, casuale, in cui la somma sia accreditata sul conto corrente, si osserva che il denaro accreditato successivamente all’azzeramento del conto potrebbe essere comunque sequestrato a condizione che sia rinvenuto il nesso pertinenziale tra il denaro e il reato, come nel caso di somme percepite a titolo di trattamento di fine rapporto erogate in virtù del rapporto di lavoro con la società fallita, per la quale era in essere il procedimento per bancarotta.

In via subordinata, la difesa dell’imputato ha chiesto che il presente ricorso sia assegnato alle Sezioni unite della Corte di cassazione.

3. In data 31 maggio 2024 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO 

 1.Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.  

2. Il sequestro preventivo in rilievo nel presente caso è quello disposto ai sensi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., a mente del quale «il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca». Si tratta, dunque, della tipologia di sequestro funzionale a impedire, in via cautelativa, la dispersione di beni che potranno o dovranno essere oggetto di confisca. Invero, la locuzione «cose di cui è consentita la confisca» rimanda a tutti i casi in cui un bene sia confiscabile, attraverso una qualunque forma di ablazione, obbligatoria o facoltativa. In tale ambito si inseriscono, a norma dell’art. 240 cod. pen., la confisca obbligatoria, prevista dal secondo comma, che ha ad oggetto il prezzo del reato e le cose intrinsecamente pericolose; e la confisca facoltativa, disciplinata dal secondo comma, che riguarda, invece, il prodotto o il profitto del reato ovvero le cose che servirono o furono destinate alla sua commissione.

Nel caso esaminato, dunque, la misura reale è stata disposta ai sensi del combinato disposto dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen. e dell’art. 240, comma primo, cod. pen.

L’art. 240, primo comma, cod. pen., infatti, prevede che «nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto», nozione quest’ultima che rimanda «al vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito» (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264436 – 01; Sez. U, n. 9149 del 3/07/1996, Chabni, Rv. 205707 – 01).

Consegue alla indicata nozione che tra il vantaggio economico e il reato deve esservi un rapporto di stretta derivazione causale: è il cd. nesso di pertinenzialità, che, peraltro, l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale configura non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato fu commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche rispetto a quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa (Sez. 2, n. 28306 del 16/04/2019, Lo Modou, Rv. 276660 – 01; Sez. 5, n. 26444 del 28/05/2014, Denaro, Rv. 259850 – 01), come il risultato della trasformazione del prodotto o del profitto del reato (ex multis 2, n. 30049 del 11/06/2014, Cavalli, Rv. 260051 – 01; Sez. 2 n. 4587 del 18/10/1999, Di Lolli, Rv. 216291 – 01), esso costituire anche il frutto del loro utilizzo.

Il nesso di pertinenzialità, nondimeno, si atteggia in termini affatto peculiari nei casi in cui il vantaggio economico consista in una somma di denaro che sia stata acquisita alla sfera giuridico-patrimoniale dell’agente. In ipotesi siffatte, invero, le Sezioni unite hanno evidenziato come tale ingresso determini una automatica commixtio nummorum con la conseguente perdita di autonoma identificabilità degli elementi monetari: fenomeno di confusione che attrae tutte le componenti liquide nel patrimonio, sia che si tratti di denaro provento di reato, sia che si tratti di asset monetari di origine lecita. Ne consegue, per un verso, che la confisca del provento di un reato, incidendo non su una somma materialmente considerata, ma sul suo valore monetario, deve essere sempre considerata «diretta» e non realizzata in forma per equivalente (per questa ricostruzione v. già Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, in motivazione); e, per altro verso, che avendo il sequestro preventivo di una somma di danaro una finalità ripristinatoria e non afflittivo-sanzionatoria, l’ablazione deve avere ad oggetto «solo l’effettivo accrescimento monetario direttamente prodotto nel patrimonio» dell’agente «dal dimostrato conseguimento da parte sua del prezzo o profitto del reato consistente in una somma di denaro», al quale consegue un fenomeno di «confusione», nel patrimonio dell’imputato, delle somme di danaro costituenti il prezzo o profitto del reato: somme che rappresentano una provvista illecita cui egli può attingere senza intaccare il denaro di provenienza lecita che entra nel suo patrimonio (così Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, Coppola, in motivazione). Dunque, nel caso in cui la misura ablativa abbia ad oggetto del denaro, il nesso di pertinenzialità con il reato, rectius «il nesso eziologico di diretta provenienza, che lega al reato la somma acquisita dall’autore» e che le stesse Sezioni unite precisano sia «lungi dal venir meno» (cfr. Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021), deve essere inteso nel senso che dalla commissione del reato deve essere conseguito un incremento economico della sfera patrimoniale dell’agente quantificato dal punto di vista monetario, fermo restando che tale nesso non presuppone, tuttavia, la «fisica identità della somma confiscata rispetto al provento del reato» («il gruzzolo fisicamente inteso»); con la conseguenza che l’oggetto del sequestro consisterà in una somma corrispondente a quell’accrescimento monetario, il quale, hanno anche precisato le Sezioni Unite, «sia ancora rinvenibile, nella stessa forma monetaria, nel (…) patrimonio» dell’agente. Pertanto, «l’occultamento o il consumo eventuali del pretium delicti, ovvero la sua sostituzione con altro numerario – anche di origine lecita – avrebbero ad oggetto un valore monetario già confluito nel patrimonio del reo e divenuto perciò, al pari degli altri dello stesso tipo ivi rinvenuti, una sua indistinguibile componente liquida, tutt’ora esistente al momento della confisca», laddove «l’eventuale trasformazione di quella componente monetaria rileverebbe solo in quanto essa abbia comportato, al momento della cautela reale o dell’ablazione, il venir meno nel patrimonio del reo di qualsivoglia attivo dello stesso genere» (così, ancora, Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, Coppola, in motivazione).

Tuttavia,  come  successivamente chiarito  dalla  giurisprudenza  di  questa Sezione, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro costituente profitto di un reato per il quale non è prevista la confisca per equivalente, come avviene proprio per la bancarotta fraudolenta patrimoniale, non può avere ad oggetto denaro che abbia una provenienza lecita certa e che sia stato percepito successivamente all’esecuzione del sequestro o, in caso di mancata adozione della misura cautelare reale, della confisca, qualora, essendo venuto meno nel patrimonio dell’imputato, al momento della cautela reale_o dell’ablazione, qualsivoglia attivo dello stesso genere, sia impedita l’automatica confusione nel patrimonio stesso del denaro acquisito lecitamente dopo l’esecuzione della misura cautelare o di quella ablativa (Sez. 5, n. 31186 del 27/06/2023, Rv. 285072 – 01).

3. Tanto premesso in termini di ricostruzione della cornice giurisprudenziale di riferimento, osserva il Collegio che l’ordinanza del Tribunale del riesame ricostruisce correttamente in termini di confisca diretta il sequestro preventivo delle somme di danaro confluite sui conti correnti e delle altre disponibilità finanziarie riconducibili a M.F.M., M.E., B.S. fino all’importo di 918.091,00 euro. Tale soluzione, infatti, appare coerente con la qualificazione della confisca come diretta e con la premessa secondo cui le somme entrate a far parte del patrimonio dell’imputato si sono confuse con i valori monetari già presenti· al momento del sequestro, rendendo impossibile distinguere ciò che è di origine lecita da ciò che non lo è.

Viceversa, non corretta appare la sottoposizione alla misura ablativa sia delle somme accreditate sul conto corrente successivamente all’esecuzione del sequestro preventivo derivanti dalla corresponsione tout court dell’assegno pensionistico e aventi causale lecita (mai revocata in dubbio dal Tribunale del riesame), sia di tutte le somme, genericamente individuate, che confluiranno in futuro sulle anzidette posizioni finanziarie fino alla concorrenza dell’importo corrispondente al profitto come determinato. Come è stato più sopra osservato, infatti, nel caso in cui il sequestro originariamente disposto abbia «azzerato» le disponibilità di denaro sui conti correnti dell’imputato, il successivo maturare dei crediti correlati al rapporto pensionistico, come avvenuto nel caso di specie, non avrebbe realizzato quella «confusione» il cui presupposto è che la somma di denaro «sia stata reperita nel patrimonio del reo al momento dell’esecuzione della misura ablativa o, se del caso, del prodromico vincolo cautelare».

Ne consegue che il Giudice della cautela, nel valutare l’istanza di restituzione, avrebbe dovuto verificare se, per effetto e al momento dell’esecuzione della cautela reale, si fosse verificato o meno un «azzeramento» delle disponibilità patrimoniali dell’imputato incompatibile con il descritto fenomeno di confusione tra i valori monetari del suo patrimonio.

Per le stesse ragioni deve escludersi un’automatica estensione del sequestro a tutte le somme future, comunque individuate, che dovessero entrare nella sfera patrimoniale dell’imputato. Se, infatti, non può escludersi la possibilità di sottoporre alla cautela reale, e in un secondo momento alla misura ablativa definitiva, somme e cespiti costituenti il profitto (o il prodotto) dell’attività illecita che dovessero transitare su conti correnti intestati all’imputato o che dovessero essere, comunque, reperite nel corso di successive indagini, deve al contempo escludersi che questo possa valere per tutte le somme che, indipendentemente dalla loro origine illecita, siano state acquisite al patrimonio del soggetto dopo l’esecuzione della misura. Diversamente opinando, come osservato ancora una volta dalla già citata sentenza di questa Sezione Quinta, n. 31186 del 27/06/2023, si finirebbe per omologare, sul piano funzionale, il sequestro cd. impeditivo al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente o di valore, avente ad oggetto l’equivalente del prezzo o del profitto del reato: misura avente carattere sanzionatorio che è tesa a privare l’agente di ogni beneficio economico derivante dal fatto illecito, a prescindere dall’accertamento del nesso di pertinenzialità tra bene e reato, non applicabile ai delitti di bancarotta fraudolenta. 

4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicché l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di Il Giudice del rinvio, salva la piena libertà nell’apprezzamento degli elementi istruttori, rivaluterà la questione dedotta con l’appello verificando se, al momento dell’adozione della misura reale, si fosse determinato un azzeramento delle disponibilità economiche dell’imputato di natura monetaria e, al contempo, se le somme successivamente confluite sul conto corrente al medesimo intestato abbiano origine lecita o meno e, in tale seconda evenienza, se le stesse abbiano un rapporto di derivazione causale dal delitto al medesimo ascritto.

PER QUESTI MOTIVI

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Roma.