CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 36199 depositata il 26 settembre 2022
Licenziamento – Reato di rivelazione del contenuto di corrispondenza – Nocumento arrecato al datore di lavoro nella fase di contestazione disciplinare – Sussistenza
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 14 aprile 2021 (dep. il14 giugno 2021) la Corte di appello di Milano, a seguito del gravame interposto da C.M. e in riforma della sentenza resa il 27 settembre 2017 dal G.u.p. del Tribunale di Milano (all’esito di rito abbreviato), ha assolto la stessa M. dall’imputazione di rivelazione del contenuto di corrispondenza (art. 618 cod. pen.) perché il fatto non costituisce reato e ha revocato le statuizioni civili disposte dal primo Giudice in favore della DOTT. G.e di C. s.r.l. (di seguito C.).
Più in particolare all’imputata è stata contestata la rivelazione al proprio difensore del contenuto della corrispondenza intercorsa tra il proprio ex datore di lavoro G.F. e il legale della società C. (di cui era venuta abusivamente a cognizione, per il tramite della condotta illecita ascritta a F.C., nei confronti del quale si procede separatamente), relativa al licenziamento della stessa imputata e, per l’appunto, da lei rivelata al professionista che la assisteva nella causa di lavoro, con conseguente nocumento per la società.
2. Avverso la sentenza di secondo grado la parte civile ha proposto ricorso per cassazione, articolando tre motivi di seguito enunciati (nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 618 cod. pen. a cagione dell’esclusione del «nocumento», previsto dallo stesso precetto, determinato dal fatto dell’imputata.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 110 e 616, comma 1, cod. pen., a cagione della mancata riqualificazione del fatto dell’imputata a mente delle norme predette, quale concorso nel delitto di violazione di corrispondenza commesso dal C..
2.3. Con il terzo motivo è stata prospettata la violazione dell’art. 648 cod. pen. A cagione della mancata riqualificazione dei fatti sub specie della ricettazione.
3. Il Procuratore generale, con la propria requisitoria scritta (da considerarsi memoria), ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la sentenza di assoluzione con formula perché il fatto non costituisce reato non dispiega efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno (richiamando Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, G., Rv. 240815- 01; Sez. 4, n. 42460 del 09/05/2018, S., Rv. 27436701; Sez. 3, n. 24589 del 15/03/2017, S., Rv.270053 – 01; Sez. 3, n. 41462 del 30/03/2016, S., Rv. 26797601; Sez. 4, n. 25141 del 14/03/2019, D.T., Rv. 276338 – 01; Sez. 4, n. 33255 del 09/07/2019, L., Rv. 276598 – 01), osservando che «nessuna situazione di vantaggio può essere conseguita dall[a] parte civile ricorrente in questa sede a seguito dell’annullamento della pronuncia impugnata che non possa essere autonomamente conseguita innanzi al giudice civile, chiamato ad operare un nuovo accertamento sulla responsabilità dell’imputato sulla base della disciplina di cui all’art. 2043 e ss. cod. civ., tenuto conto che l’art. 652 cod. proc. pen.- nega rilevanza preclusiva nel giudizio di danno all’ipotesi di assoluzione perché il fatto non costituisce reato».
La parte civile ha depositato memoria con la quale ha contestato l’esegesi di Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, G., Rv. 240815- 01, compiuta dal Procuratore generale, ed ha richiamato il contrario orientamento in materia di interesse a impugnare della parte civile.
La difesa dell’imputato ha pure presentato memoria con la quale si è associata a quanto rassegnato dal Procuratore generale in relazione al difetto di interesse a impugnare della parte civile e ha dedotto che i motivi di ricorso avrebbero formulato esclusivamente rilievi di fatto, sovrapposti alle valutazioni del Giudice d’Appello; ha chiesto, pertanto, di dichiarare inammissibile o di rigettare il ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso, alla cui proposizione la parte civile ha interesse, è fondato nei termini che si espongono e deve essere accolto.
1. Deve, anzitutto, osservarsi quanto segue in ordine all’interesse a impugnare della parte civile ricorrente.
Sulla scorta di quanto chiarito da Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, M., Rv. 275953 – 01, che – pur avendo esaminato il tema dell’interesse della parte civile a impugnare la sentenza che abbia dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione – ha argomentato pure sull’ipotesi di assoluzione perché il fatto non costituisce reato anche alla luce di Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, G., Rv. 240815, deve ritenersi che sussista «l’interesse della parte civile ad impugnare la decisione assolutoria pronunciata con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, in quanto le limitazioni all’efficacia del giudicato previste dall’art. 652 cod. proc. pen. non incidono sull’estensione del diritto all’impugnazione ad essa riconosciuto in termini generali nel processo penale dall’art. 576 cod. proc. pen,, imponendosi altrimenti alla stessa di rinunciare agli esiti dell’accertamento compiuto nel processo penale e di riavviare ab initio l’accertamento in sede civile, con conseguente allungamento dei tempi processuali» (così, condivisibilmente, Sez. 4, n. 14194 del 18/03/2021, M. Rv. 281016 – 01; cfr. pure Sez. 2, n. 41784 del 18/07/2018, E., Rv. 275416, e Sez. 2, n. 36930 del 04/07/2018, A., Rv, 273519, richiamate adesivamente da Sez. U, n. 28911/2019, cit.).
Difatti, «se lo stesso sistema ha riconosciuto al danneggiato la possibilità di azionare la propria pretesa di carattere civilistico percorrendo, oltre alla via del giudizio civile, anche quella del giudizio penale mediante la costituzione in esso di parte civile, una interpretazione che venisse a ritenere insussistente l’interesse alla impugnazione nel processo penale sol perché sarebbe pur sempre possibile la residua azione civile si tradurrebbe nella sostanziale ripulsa dello stesso congegno normativo e nella indebita “amputazione” di una facoltà riconosciuta dallo stesso legislatore»; e «la possibilità, per la parte civile, di assicurarsi [i medesimi] vantaggi al di fuori del processo penale» non può «annullare l’interesse ad ottenerli, ancor prima e in modo processualmente più rapido e conveniente, innanzitutto in sede penale»; tanto che le «Sezioni Unite hanno potuto precisare che, avendo il danneggiato, con la costituzione di parte civile, inteso trasferire in sede penale l’azione civile di danno, lo stesso ha “interesse ad ottenere nel giudizio penale il massimo di quanto può essergli riconosciuto” sì che non gli si può negare l’interesse ad impugnare la decisione di proscioglimento anche quando questa manchi di efficacia preclusiva» (Sez. U, n. 28911/2019, cit., che richiama Sez. U, n. 40049/2008, cit.); e, «in presenza della specifica previsione dell’art. 576 cod. proc. pen.», non può affermarsi «che la persistente azionabilità della pretesa risarcitoria in sede civile, considerato come rimedio di pari efficacia, renda l’esito assolutorio necessariamente immune, in sede penale, da censure mosse proprio al fine di ottenere, con i mezzi di impugnazione, la tutela che la costituzione di parte civile è funzionalmente diretta a perseguire» (ivi).
In conclusione, sussiste l’interesse a impugnare della parte civile ricorrente. E non occorre dilungarsi per rilevare che, peraltro, nel caso di specie la formula assolutoria della sentenza impugnata è erronea, poiché – come meglio si vedrà infra – la Corte di appello ha reso la pronuncia liberatoria escludendo la sussistenza del nocumento (contemplato dall’art. 618 cod. pen.), quale conseguenza della condotta dell’imputata, che costituisce una condizione obiettiva di punibilità (v. in fra), ragion per cui la formula assolutoria conforme alla ratio della decisione avrebbe dovuto essere perché il fatto non sussiste (cfr. Sez 5 n. 17744 del 16/01/2009, P., Rv. 243601; cfr. pure Sez. 5, n. 34913 del 07/03/2016, V., Rv. 267833 – 01).
2. Deve, allora, esaminarsi il primo motivo di impugnazione con il quale è stata addotta la violazione dell’art. 618 cod. pen.
La difesa – puntualizzando di non intendere prospettare un’erronea ricostruzione del fatto bensì l’erronea interpretazione della norma sostanziale citata, in relazione al «nocumento» da essa previsto e determinato dal fatto dell’imputata – ha rappresentato che – a differenza di quanto ritenuto sul punto dal Giudice di primo grado, il quale aveva identificato il nocumento nel fatto che la C. avesse affrontato una delicata vertenza giuslavoristica contro un soggetto assistito da un legale previamente informato, grazie alla condotta descritta, delle strategie e degli di argomenti di controparte – la Corte di appello avrebbe erroneamente escluso che gli elementi in atti fossero dimostrativi del nocumento sia sotto il profilo dell’utilizzo del contenuto della corrispondenza da parte dell’imputata a fini difensivi, sia perché in sede civile il licenziamento è stato poi considerato legittimo dal Giudice del lavoro, sia alla luce delle stesse allegazioni delle parti (da cui non si trarrebbe la sussistenza del nocumento). La parte civile ricorrente ha, tuttavia, rimarcato che il G.u.p. – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito – non aveva rapportato il nocumento alla fase giudiziale del licenziamento bensì a quella precedente della contestazione disciplinare, poiché proprio in relazione a tale fase avrebbe dovuto apprezzarsene la sussistenza (atteso che è innegabile che il legale della M., tramite la rilevazione del contenuto della corrispondenza, abbia conosciuto le argomentazioni che sarebbero state contenute poi nella contestazione disciplinare elevata nei confronti della stessa imputata); in ogni caso, soltanto all’esito dell’appello la C. s.r.l. ha visto riconosciuta la bontà delle proprie ragioni e ciò sarebbe dipeso proprio dalla correttezza della decisione di interrompere il rapporto lavorativo con l’imputata e dal censurabile comportamento di quest’ultima. E, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di rivelazione di segreti (in particolare, in relazione all’ipotesi di cui all’art. 621 cod. pen.), deve essere considerato nocumento qualsiasi pregiudizio o pericolo di pregiudizio anche non patrimoniale ma giuridicamente apprezzabile (cita Sez. 5, n. 51089 del 12/05/2014); come osservato in tema di patrocinio infedele ex art. 380 cod. pen., «si possono individuare eventi pregiudizievoli per la parte assistita anche indipendenti dall’esito favorevole o sfavorevole del giudizio» (cita Sez. 6, n. 8617 del 30/01/2020): dunque, se la Corte avesse fatto buon governo di tali princìpi avrebbe dovuto ravvisare l’elemento in discorso, come dimostrerebbe il tenore della corrispondenza in atti e segnatamente quella intercorsa tra la M. e il suo difensore.
2.1. L’art. 618, rubricato «rivelazione del contenuto di corrispondenza», punisce «chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 616, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto di una corrispondenza a lui non diretta, che doveva rimanere segreta, senza giusta causa lo rivela, in tutto o in parte,[…] se dal fatto deriva nocumento». Tale ultimo elemento deve qualificarsi come condizione obiettiva di punibilità. Alla stessa stregua di quanto argomentato dalla giurisprudenza in relazione all’art. 621 cod. pen., ipotesi delittuosa pure posta a tutela dell’inviolabilità dei segreti e che prevede la medesima condizione obiettiva di punibilità, il nocumento deve essere «inteso come pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura […] al titolare del diritto alla segretezza» che «non è circoscritto al mero danno patrimoniale» (cfr. Sez. 5, n. 51089 del 12/05/2014, F., Rv. 261726 – 01; cfr. Sez 5 n. 17744/2009, cit.; cfr. pure Sez. 5, n. 34913/2016, cit., la quale ha indicato la medesima nozione di nocumento in relazione al delitto di rivelazione di segreto professionale ex art. 622 cod. pen., fattispecie che anticipa la punibilità al verificarsi della condizione del «pericolo di nocumento»).
Ciò posto, nel caso di specie, la Corte di merito pur avendo ricostruito la sfera di operatività del precetto penale in imputazione conformemente all’esegesi sopra indicata, non vi si è in effetti uniformata. Secondo quanto esposto nella sentenza impugnata, conformemente a quanto già ritenuto dal G.u.p., C.M. è venuta abusivamente (a cagione del fatto di F.C.) a conoscenza del contenuto della corrispondenza di F.G., presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato della C., di cui la M. era allora dipendente, corrispondenza relativa alle contestazioni disciplinari elevate e da elevare nei confronti della stessa imputata, che quest’ultima ha trasmesso al difensore che l’assisteva proprio in detta fase disciplinare (cui ha fatto seguito il licenziamento) e che ne ha avuto piena contezza.
Ebbene, erroneamente la Corte di appello ha ritenuto che veicolare al proprio difensore – e non a quisque de populo – informazioni e dati relativi alle contestazioni disciplinari tratte dalla corrispondenza della controparte in ragione dei quali tarare le proprie difese e le eventuali iniziative da intraprendere (così rendendole più efficaci), non costituisca un nocumento nei termini sopra indicati: difatti, la trasmissione di tali elementi al difensore determina un indebito vantaggio (quantomeno informativo) che incide patologicamente sulla conflittualità tra le parti e pone quella cui corrispondenza è stata violata in una posizione deteriore (segnatamente, in una fase fluida come quella dell’accertamento dell’illecito disciplinare e fuori dal rispetto delle forme proprie del procedimento disciplinare), non essendo necessario un quid pluris (ivi compreso un esito favorevole della lite poi instaurata innanzi al Giudice competente). Dunque, sotto tale profilo, ha avuto luogo un’erronea applicazione della legge penale al caso concreto e, dunque, l’erronea qualificazione giuridica del fatto, ossia la denunciata violazione della legge penale (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, A., Rv. 268404 – 01).
La sentenza impugnata deve, allora, essere annullata limitatamente agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al Giudice civile competente per valore in grado di appello, cui si rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità. Restano assorbite le ulteriori censure.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al Giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
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