CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 36229 depositata il 17 dicembre 2020
Reati tributari – Omessa dichiarazione – Rilevanza penale – Imposte evase – Superamento della soglia di punibilità – Computo ricavi derivanti dalla cessione di immobili – Periodo di competenza
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 15 ottobre 2019, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Tivoli del 3 novembre 2017, con la quale P.D. era stato condannato alla pena di anni 1 e mesi 3 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 5 del d. lgs. n. 74 del 2000 (capo A), a lui contestato perché, in qualità di amministratore unico della società “P.I. s.r.l.”, con sede in Fonte Nuova in via (…), al fine di evadere le imposte sul reddito e sul valore aggiunto, non presentava le dichiarazioni dei redditi annuali relative agli anni di imposta 2010 e 2011, sottraendo a tassazione, nell’anno 2010, l’importo di euro 361.471 (Ires evasa pari a euro 99.404 e Iva evasa pari a euro 101.560), a fronte di un reddito imponibile pari almeno a euro 597.787, con costi documentati pari ad euro 236.316, e, rispetto all’anno 2011, sottraendo a tassazione l’importo di euro 285.425 (Ires evasa pari a euro 78.492 e Iva evasa pari a euro 101.640), avendo conseguito un reddito imponibile pari almeno a euro 554.000,00, con costi documentati pari ad euro 268.575; fatti commessi in Mentana, sede fiscale della società, rispettivamente il 31 ottobre 2011, in relazione al primo periodo di imposta, e il 31 ottobre 2012, in ordine al secondo periodo di imposta.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello capitolina, D., tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui la difesa deduce l’erronea applicazione degli art. 6 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 109 del d.P.R. n. 917 del 1986, con riferimento alla individuazione del momento di esigibilità dell’imposta nel caso di cessioni di beni immobili, osservando che, ai fini della sussistenza del reato per cui è intervenuta condanna, risulta necessario determinare il periodo in cui deve intendersi insorto l’obbligo di fatturazione, ovvero se al momento della stipula dell’atto di cessione di un bene immobile (nel caso di specie nel 2009, anno in cui si è perfezionato il contratto di vendita), oppure, come ritenuto dai giudici di merito, al momento della verificazione delle condizioni sospensive ivi previste (anni 2010-2011).
Nel sostenere la preferibilità della prima tesi, ovvero quella della maturazione dell’imposizione fiscale al momento del perfezionamento dell’atto di cessione del terreno e non delle condizioni sospensive ivi fissate, la difesa evidenzia che i giudici di merito hanno omesso di considerare che l’art. 109 del Testo unico delle imposte sui redditi stabilisce che i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti alla data della stipulazione dell’atto per gli immobili e le aziende, mentre l’art. 2 comma 1 del d.P.R. n. 633 del 1972 sull’iva afferma che costituiscono cessioni di beni gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà o costituzione di diritti reali di godimento sui beni di ogni genere.
L’art. 6 del medesimo decreto regolamenta poi, similmente al d.P.R. n. 917 del 1986, il procedimento di individuazione del momento di perfezionamento della cessione di beni ai fini della esigibilità della relativa imposizione fiscale, prevedendo che l’imposta relativa alle cessioni di beni diviene esigibile nel momento in cui le operazioni si considerano effettuate, cioè al momento della stipulazione se si tratta di beni immobili, o nell’eventuale momento successivo in cui si producono gli effetti traslativi e costitutivi delle cessioni; dunque, da entrambe le disposizioni, accomunate dalla medesima ratio, si desumerebbe che l’imputazione dei ricavi a un esercizio di competenza si correla funzionalmente con il momento in cui sorge l’effetto traslativo della proprietà, per cui, ove quest’ultimo sia contestuale alla stipulazione dell’atto, è a questo momento che bisogna riferirsi ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza cui debbano ricollegarsi i corrispettivi delle cessioni di beni immobili, ciò in coerenza con il principio generale di competenza consacrato dall’art. 2423 bis comma 1 punto 3 cod. civ., secondo cui si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, a prescindere dalla data dell’incasso o del pagamento. Né, secondo la difesa, può condividersi la qualificazione dell’atto de quo come cessione a effetto traslativo differito, posto che il contratto ha avuto ad oggetto il trasferimento immediato della proprietà di una cosa determinata in forza dell’art. 1376 cod. civ., a nulla rilevando l’eventuale apposizione di condizioni sospensive.
I due corrispettivi conseguiti dalla società dovevano quindi confluire, ai fini Ires e Iva, nell’esercizio di competenza del 2009 e non dei due anni successivi, con conseguente quantificazione degli importi delle imposte evase al di sotto delle soglie di punibilità ridisegnate dalla riforma operata dal d. lgs. n. 158 del 2015, risultando l’ires dovuta pari a 16.904 euro nel 2010 e a zero nel 2011, mentre l’iva dovuta sarebbe pari a 13.190 euro nel 2010 e a 41.010 euro nel 2011.
Da ciò scaturirebbe l’irrilevanza penale della condotta per cui si procede.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
1. Al fine di circoscrivere il tema giuridico su cui si incentra il ricorso, appare necessaria una breve ricostruzione della vicenda storica per cui si procede, che invero non risulta controversa, almeno nella sua scansione fenomenica.
Dunque, l’8 giugno 2009, la società “P.I. s.r.l.”, di cui P.D. era legale rappresentante, stipulava un contratto di compravendita immobiliare, con cui cedeva alla società acquirente “C. s.r.l.” un terreno edificabile, per il corrispettivo di 1.150.000,00 euro; nel contratto era prevista la corresponsione, al momento del rogito, della somma di 550.000 euro, mentre il pagamento dei restanti 600.000 euro era subordinato a due condizioni.
La prima era l’approvazione del piano regolatore e la seconda era costituita dal rilascio del permesso di costruire, condizioni che, tra il 2010 e il 2011, effettivamente si verificavano, per cui la società venditrice, in ciascuno dei due predetti anni, incassava la somma di 300.000 euro, con saldo del corrispettivo. Pur sottoscrivendo i relativi atti di quietanza, la “P.I. s.r.l.” tuttavia, sia nel 2010 che nel 2011, non presentava alcuna dichiarazione.
Ora, secondo la prospettazione difensiva, gli incassi delle due rate da 300.000 ciascuna, avvenuti rispettivamente nel 2010 e nel 2011, sarebbero imputabili non agli anni di imposta in cui sono avvenuti, ma al 2009, ovvero all’anno in cui è stato stipulato il contratto di vendita dell’immobile, osservandosi che, ai sensi dell’art. 3 del contratto, la parte acquirente è stata immessa nel possesso giuridico e materiale del bene al momento del rogito, ovvero l’8 giugno 2009. Viceversa, i giudici di merito hanno sostenuto che gli incassi della parte residua del prezzo di vendita andassero riferiti agli anni di imposta in cui sono avvenuti. Premesso che la questione non ha una valenza puramente teorica, atteso che la diversa imputazione delle somme incide sul superamento o meno dei valori – soglia delle imposte evase negli anni 2010 e 2011, il Collegio ritiene che l’impostazione seguita nelle due sentenze di merito risulta corretta.
Al riguardo deve premettersi che, in base all’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, la fattura deve essere emessa in duplice copia al momento di effettuazione dell’operazione, come previsto dall’art. 6 del medesimo decreto; tale norma, a sua volta, stabilisce che le cessioni di beni si considerano effettuate nel momento della stipulazione se riguardano beni immobili e nel momento della consegna o spedizione se riguardano beni mobili. Tuttavia, le cessioni i cui effetti traslativi o costitutivi si producono posteriormente (tranne quelle indicate ai numeri 1 e 2 dell’art. 2, ovvero le vendite con riserva di proprietà e le locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti) si considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti e comunque, se riguardano beni mobili, dopo il decorso di un anno dalla consegna o spedizione.
Ancora, l’art. 109 del d.P.R. n. 117 del 1986 (ndr art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986), nella sua attuale versione (che ha in parte recuperato l’originaria dizione dell’art. 75 del medesimo decreto, prima della modifica operata dal d. lgs. n. 344 del 2003), dispone che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, in assenza di diversa composizione, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia, precisa la norma, i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.
Ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza, prosegue l’art. 109:
a) i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, alla data della consegna o spedizione per i beni mobili e della stipulazione dell’atto per gli immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale.
Non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà. La locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti è assimilata alla vendita con riserva di proprietà;
b) i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate, ovvero, per quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi.
Orbene, dal combinato disposto di tali norme, si desume che l’obbligo di fatturazione sorge nel momento in cui si verificano gli eventi oggetto delle condizioni sospensive, dovendosi richiamare in tal senso l’affermazione della giurisprudenza della Sezione Tributaria di questa Corte (cfr. Sez. 5 civ., n. 17395 del 23/07/2010, Rv. 615042 e Sez. 5 civ., ord. n. 13048 del 24/05/2017, Rv. 644243), secondo cui, in tema di imputazione del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 75, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo corrispondente all’attuale formulazione dell’art. 109 del medesimo d.P.R.), salvo diverse previsioni, i componenti positivi e negativi del reddito di cui sia incerta l’esistenza o l’ammontare, in deroga al generale principio “di competenza”, concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui ne sia divenuta certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, secondo il principio di cassa.
Peraltro, come sottolineato anche dal Tribunale, tale opzione interpretativa trova conferma nella Risoluzione n. 503687 del 7 gennaio 1976, con cui l’Amministrazione Finanziaria ha osservato, con riferimento alle “cessioni di beni a effetto traslativo sospeso”, che l’effettuazione, ai sensi dell’art. 6 del d.P.R. n. 633 del 1972, si ha per realizzata al momento in cui gli effetti si producono”, sorgendo cioè l’obbligo della fatturazione al verificarsi della condizione.
2. Dunque, nel caso di specie, legittimamente i giudici di merito hanno sostenuto che l’obbligo di fatturazione sorgesse in capo alla società gestita dal ricorrente al momento degli incassi dei pagamenti residui, posto che solo nel momento in cui si sono realizzati gli eventi futuri e incerti cui era stato subordinato nel contratto il versamento della parte residua del corrispettivo, ha avuto attuazione un’operazione economica fino a quel momento incompiuta.
Il versamento delle due rate operato nel 2010 e poi nel 2011 non poteva invece essere imputato fiscalmente all’anno di stipula del contratto, cioè al 2009, atteso che, al momento della stipula del contratto, solo una parte del prezzo di vendita era stata corrisposta e andava fatturata, mentre il pagamento della restante somma era stato ricollegato ad avvenimenti in quell’epoca ancora incerti sull’an.
Gli incassi delle due residue tranche del prezzo della compravendita sono stati quindi doverosamente imputati agli anni di imposta in cui sono avvenuti (rispettivamente 2010 e 2011), per cui la determinazione delle imposte evase per tali anni risulta avvenuta in modo corretto, dovendosi ritenere pertanto immune da censure il giudizio sulla configurabilità della fattispecie contestata.
3. Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso proposto nell’interesse di D. deve essere quindi rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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