CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 36278 depositata il 21 agosto 2019
Omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti – Crisi economica e finanziaria – Dolo generico – Accertamento
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 10 settembre 2018 la Corte di appello di Ancona in parziale riforma della pronuncia emessa il 17 ottobre 2016 dal Tribunale di Ancona ha concesso il beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale e confermato la condanna di P. S. alla pena di mesi 6 di reclusione ed € 500,00 di multa relativamente al reato di cui agli art. 81 cod. pen. e 2, legge 638 del 1983, perché […] ometteva di versare all’Inps di Ancona la somma di € 93465,41 relativa alle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti nei mesi di febbraio ad agosto 2012 ed ottobre 2012.
2. Propone ricorso per cassazione P.S., tramite difensore, deducendo – con unico motivo – il vizio motivazionale in ordine alle cause che lo avrebbero costretto all’omissione contributiva riscontrata. Diversamente da quanto indicato in sentenza, la società del ricorrente non sarebbe stata investita da una mera carenza di liquidità, ma da una gravissima crisi economica e finanziaria, dovuta al fallimento di clienti; in particolare, come evidenziato nella testimonianza di G.P. la mancanza di liquidità fu dovuta alla crisi fallimentare di alcuni importanti clienti (la T. ditta individuale del ricorrente aveva solo due o tre clienti importanti, per il tipo di prestazioni: impianti di telecomunicazioni); la crisi prima ha comportato il ricorso ad una procedura di concordato preventivo (domanda di ammissione dell’ 11 novembre 2011) e poi il fallimento (provvedimento del Tribunale di Ancona del 27 giugno 2013).
Il ricorrente impiegò tutte le sue risorse nel tentativo di risanare l’azienda e poter adempiere a tutti gli obblighi di legge. Non è riuscito neanche a pagare alcune retribuzioni e tredicesime ai propri dipendenti (vedi testimonianza di P.G. e di V.A.); inoltre anche la casa di proprietà dei ricorrente è stata appresa al fallimento. Il ricorso al credito bancario è risultato vano, in relazione alla crisi finanziaria che dal 2008 ha investito l’Europa.
Tutte le circostanze indicate, ampiamente evidenziate nell’atto di appello sono state ignorate dalla sentenza della Corte di appello che si è limitata a ritenere configurato il dolo generico senza un’adeguata motivazione sugli aspetti particolari della vicenda in giudizio (vedi Sez. 3 n. 20725 del 10 maggio 2018 – udienza del 27 marzo 2018 -).
Ha chiesto pertanto l’annullamento della decisione impugnata.
Considerato in diritto
3. Il ricorso risulta fondato. Al riguardo, occorre innanzitutto premettere che il debito verso l’INPS è collegato all’obbligo di erogazione degli emolumenti ai dipendenti.
4. Per costante e condiviso orientamento della Suprema Corte per la sussistenza del reato in relazione all’elemento soggettivo risulta sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e volontà di non versare i contributi previdenziali. Il dolo generico che non può escludersi rilevando la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti (tra le molte, Sez. 3, n. 3705 del 19/12/2013, Casella, Rv. 258056; Sez. 3, n. 13100 del 19/1/2011, Biglia, Rv. 249917). Il reato sussiste anche quando il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’INPS (o all’erario per i tributi), essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere prima al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (vedi Sez. 3, n. 43811 del 10/4/2017, Agozzino, Rv. 271189; Sez. 3, n. 38269 del 25/9/2007, Tafuro, Rv. 237827).
5. Tutto quanto ribadito, costituisce costante indirizzo di legittimità anche quello per cui, nel reato in esame, l’imputato può invocare la assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto (Cfr., Sez. 3, n. 20266 de11 1 8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190). E’ necessaria la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, n. 8352 del 24/6/2014, Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013, Mercutello, Rv. 258055).
6. Pertanto, così richiamati i principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità nella materia, bisogna rilevare che il Collegio di appello non si è confrontato con i suddetti principi, redigendo al riguardo una motivazione del tutto inadeguata e generica e, come tale, censurabile in questa sede. In particolare, pacifica l’omissione contributiva, la sentenza si è limitata a richiamare alcune pronunce della Cassazione sul dolo generico nei reati di omissioni contributive; da tale sintetico argomento, tuttavia, emerge che il Collegio non ha neppure valutato le numerose produzioni offerte dalla difesa, ed ampiamente richiamate nell’atto di appello, volte ad evidenziare elementi che avrebbero potuto incidere quantomeno sul profilo psicologico della condotta, nei termini sopra richiamati (ad esempio, con riguardo agli inadempimenti dei pochi clienti che la ditta aveva per la sua particolare attività di realizzazione di impianti di telecomunicazioni e l’acquisizione poi al fallimento della stessa casa di abitazione del ricorrente; del resto, la ditta del ricorrente aveva subito proposto domanda di concordato preventivo – l’11 settembre 2011 – e poi è stata dichiarata fallita – il 27 giugno 2013 -; inoltre il fallimento di clienti e la perdita degli incassi come rappresentato dai testi escussi, con il mancato pagamento anche di alcune mensilità ai lavoratori dipendenti).
L’analisi concreta e specifica di questi elementi risulta completamente assente nella sentenza della Corte di appello (ed in quella di primo grado), che si è limitata a richiamare genericamente la giurisprudenza di questa Corte sul dolo generico del reato in oggetto. La motivazione, quindi, non ha dato risposte in fatto specifiche ed adeguate alla particolarità del caso, ma si è fermata al generico richiamo di precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione, senza valutazione del caso concreto.
La pronuncia, pertanto, deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Perugia, per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia.