Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 36401 depositata il 26 agosto 2019

Reati fiscali – Evasione contributiva – Particolare tenuità del fatto – Limiti

RITENUTO IN FATTO

1. C.P. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia in data 21/09/2018 di conferma, quanto all’affermazione di responsabilità, della sentenza del Tribunale della medesima città in data 21/12/2017 di condanna per il reato di cui alla L. n. 638 del 1983, art. 2, comma 1-bis, perché, in qualità di titolare e di legale rappresentante della ditta “Tecnoserranda”, ometteva di versare all’INPS le ritenute previdenziali e assistenziali relative ai lavoratori occupati nei periodi gennaio 2012 e marzo maggio 2012 per un importo complessivo di contributi non regolarizzati pari ad Euro 10.976,00.

2. Con un primo motivo lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 131 bis c.p. e alla L. n. 638 del 1983, art. 2. Ai fini del riconoscimento della causa di particolare tenuità del fatto, la Corte non avrebbe dovuto considerare infatti l’intero importo di omissione pari a Euro 10.976,00 bensì, esclusivamente, il solo dato quantitativo eccedente la soglia di punibilità e, quindi, la sola somma di Euro 976,00.

3. Con un secondo ed ultimo motivo lamenta contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena. Nella specie, la Corte avrebbe negato il predetto beneficio in assenza di un giudizio prognostico negativo, fondando il proprio convincimento sulla sussistenza di precedenti penali depenalizzati. Non sarebbe stata infatti effettuata alcuna valutazione in termini di probabile reiterazione del reato, né considerata alcuna circostanza oggettiva e comunque verificabile in ordine alla non cessazione dell’attività aziendale, elemento base per giungere ad una valutazione di concreta sussistenza del pericolo di reiterazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è inammissibile.

La Corte territoriale ha dapprima ritenuto che la non minima cifra di offensività connessa all’omesso versamento dell’importo di Euro 10.976,00 a titolo di ritenute previdenziali sullo stipendio dei dipendenti quanto all’anno 2012, precludesse il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. e ha poi aggiunto che la condotta contestata risultava essere stata preceduta in passato da più gravi condotte della medesima indole, concretizzatesi nell’omesso versamento di ritenute alla fonte sugli emolumenti erogati ai dipendenti per l’anno 2006 per un ammontare complessivo pari a 92.292,00, nell’omesso versamento di analoghe ritenute quanto all’anno 2009 per un ammontare complessivo di Euro 77.917,00 nonché nell’omesso versamento di debenze IVA relative all’anno 2007 per un importo pari ad Euro 83.197,00.

Ciò posto, deve qui essere ribadito che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto con riferimento ai reati contraddistinti da soglia di punibilità, ciò che rileva è esclusivamente l’importo situato al di sopra della soglia in quanto significativo dell’offensività della omissione che, invece, il legislatore ha mostrato, ponendo appunto la soglia stessa, di disconoscere con riguardo a tutto ciò che sia situato al di sotto di essa.

Ed infatti, come già affermato in altre occasioni, sia pure con riferimento alle omissioni prettamente tributarie, la causa di non punibilità della “particolare tenuità del fatto”, prevista dall’art. 131-bis c.p., è applicabile soltanto alla omissione per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità in considerazione appunto del fatto che il grado di offensività che dà luogo a reato è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale (tra le altre, Sez. 3, n. 58442 del 02/10/2018, Colzani, Rv. 275458; Sez. 3, n. 13218 del 01/04/2016, Reggiani Viani, Rv. 266570 e Sez. 3, n. 40774 del 05/05/2015, Falconieri, Rv. 265079).

Non può pertanto condividersi l’assunto della sentenza che ha considerato in primis incompatibile con la particolare tenuità il complessivo importo omesso pari ad Euro 10.976,00.

Ciò, tuttavia, non comporta la fondatezza del ricorso che, anzi, è, come già anticipato, inammissibile.

La stessa sentenza ha infatti anche posto in evidenza, come sopra anticipato, sempre al fine di escludere la particolare tenuità del fatto, le plurime condotte omissive di analoga indole realizzate negli anni precedenti (ed afferenti all’omesso versamento di ritenute alla fonte e dell’Iva) e contraddistinte da elevati importi, pur se depenalizzate per effetto del D.Lgs. n. 158 del 2015.

Era dunque onere del ricorrente censurare, a pena di inammissibilità del motivo, anche tale seconda ratio della decisione: infatti è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnativa contro un provvedimento sorretto da distinte ed autonome ragioni giustificative, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a sorreggere la decisione ancorché con diversa formula quando le censure si riferiscono ad una sola di tali ragioni, in quanto da una pronuncia favorevole su di esse non potrebbe derivare all’impugnante quella modificazione della sua situazione processuale in cui si sostanzia l’interesse che, per espresso dettato normativo, deve sottostare ad ogni impugnazione (Sez. 3, n. 27119 del 05/03/2015, P.G. in proc. Bertozzi, Rv 264267).

Al contrario, nessuna doglianza sul punto ha sollevato il ricorrente, limitatosi unicamente a sindacare il primo profilo argomentativo della motivazione.

2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Come più volte ribadito da questa Corte, infatti, in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell’art. 133 c.p., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo alla sospensione, ivi compresi i precedenti penali dell’imputato (ex multis, Sez. 3, n. 35852 del 11/05/2016, Camisotti, Rv. 267639; Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, P., Rv. 272087). Pertanto, la Corte ha correttamente formulato un giudizio prognostico sfavorevole alla concessione del predetto beneficio, attese le precedenti condotte elusive reiteratamente tenute dal C., a nulla rilevando, sotto il profilo della prognosi negativa, la loro successiva parziale depenalizzazione posto che ai fini del giudizio circa la concedibilità o meno della sospensione condizionale della pena, la presenza di precedenti condanne per reati poi depenalizzati può legittimamente essere valutata dal giudice come elemento ostativo alla presunzione che il colpevole si asterrà, per il futuro, da commettere ulteriori reati (Sez. 5, n. 34682 del 11/02/2005, Marisca, Rv. 232312).

3. In definitiva, dunque, il ricorso è inammissibile, conseguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.