CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 36419 depositata il 26 agosto 2019
Reati tributari – Omessa presentazione della dichiarazione dei redditi di società a responsabilità limitata – Evasione di imposte – Rilevanza penale – Responsabilità del legale rappresentante – Mero “prestanome” – Irrilevanza
Ritenuto in fatto
1. Con l’impugnata sentenza, in parziale riforma della pronuncia resa dal Tribunale di Milano e appellata dall’imputato, la Corte d’appello di Milano riduceva a mesi otto di reclusione, condizionalmente sospesa, la pena inflitta a E.C., nel resto confermando la decisione di primo grado, che, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, aveva affermato la penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, per aver omesso di presentare, in qualità di amministratore legale della C. Group srl, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, la dichiarazione dei redditi per l’anno 2011, con conseguente evasione di euro 209.626 ai fini Ires e di euro 2.481.597,51 quanto all’Iva (capo C); il Tribunale mandava altresì assolti E. C. e G.M., quale amministratore di fatto della società, dai reati di cui agli artt. 2 e 10 d.lgs. n. 74 del 2000 (capi A e B) perché il fatto non sussiste e il M. anche dal reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 per non aver commesso il fatto.
2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si eccepisce l’erronea applicazione degli artt. 5 d.lgs. n. 74, 42 e 43 cod. pen. in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e relativo vizio motivazionale. Il ricorrente censura la sentenza impugnata, laddove ha ravvisato la sussistenza del dolo sulla base della mera qualifica formale rivestita, senza considerare che il C. era un mero “prestanome”, il quale, per negligenza o incapacità, non si era reso conto delle conseguenze giuridiche di eventuali inadempimenti fiscali, ciò che, al più, potrebbe integrare un rimprovero per colpa. La motivazione, sul punto, sarebbe carente, in quanto la prova del dolo, anche specifico, è stata desunta unicamente dalla carica formale di amministratore, e senza tener conto delle gravi patologie psichiatriche di cui era affetto il C., affiancato da amministratore di sostegno. Al proposito, la Corte territoriale avrebbe travisato la deposizione del consulente, il quale ha riferito che il C. avrebbe sviluppato un disturbo della personalità che, nel tempo, ha assunto le caratteristiche di una patologia psichiatrica, di gravità tale da rendere necessari ripetuti ricoveri ospedalieri e costanti cure farmacologiche. Sotto altro profilo, si evidenzia che il C., all’interno della società, si limitava a eseguire le direttive altrui, svolgendo di fatto le mansioni di fattorino e poi di magazziniere, percependo una retribuzione di 1.500 euro mensili, del tutto inadeguata a quella di un amministratore di società.
2.2. Con il secondo motivo si deduce inosservanza degli artt. 114, 63, comma 2, cod. pen., 125 e 132 cod. proc. pen. e relativo vizio motivazionale. Il ricorrente censura la motivazione della sentenza impugnata, laddove non avrebbe dato risposta al motivo, articolato in via subordinata, relativo al riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., i cui presupposti sarebbero sussistenti in considerazione del ruolo assolutamente marginale svolto dal ricorrente e anche in considerazione dei suoi limiti cognitivi.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo è infondato.
2.1. In premessa, vale osservare che si è in presenza di una “doppia conforme” statuizione di responsabilità, il che limita all’evidenza i poteri di rinnovata valutazione della Corte di legittimità, nel senso che, ai limiti conseguenti all’impossibilità per la Cassazione di procedere ad una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, si aggiunge l’ulteriore limite in forza del quale neppure potrebbe evocarsi il tema del “travisamento della prova”, a meno che il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano. Ma non è certo questo il caso, in quanto il ricorrente non lamenta che i giudici del merito abbiano fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, ma pretende una diversa lettura delle elementi probatori.
2.2. Va, poi, ulteriormente precisato che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 – dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 – dep. 12/04/2012, Valerio, Rv. 252615), come nel caso in esame.
3. Consegue a tale premessa, l’infondatezza delle censure fattuali mosse al ragionamento probatorio svolto dalle sentenze di primo e secondo grado in relazione alla sussistenza del dolo.
4. Richiamando l’indirizzo di questa Corte in relazione a una fattispecie sovrapponibile a quella oggi all’esame del Collegio, ossia l’omesso versamento di ritenute assistenziali e previdenziali, va osservato che l’amministratore di diritto di una società – rispetto all’amministratore di fatto della medesima società – è comunque chiamato a rispondere del reato omissivo contestato, quale diretto destinatario degli obblighi di legge, in quanto il fatto stesso della accettazione (o del mantenimento) della carica attribuisce specifici doveri anche in materia di adempimenti fiscali e tributari, la cui violazione comporta una responsabilità penale diretta, che si concretizza sulla base della sola consapevolezza che da quella condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico), ovvero l’accettazione che questi si verifichino (dolo eventuale) (Sez. 3a 6.4.2006 n. 22019, Furini, Rv. 234474).
5. Le medesime conclusioni vanno affermate anche con riferimento al delitto di omessa presentazione della dichiarazione, punita dall’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 come reato omissivo proprio di carattere istantaneo.
Pertanto, nel caso di soggetto tenuto alla presentazione della dichiarazione – ossia il legale rappresentante della società ai sensi dell’art. 1, comma 4, d.P.R. n. 322 del 1998 – si è in presenza di una responsabilità diretta, che discende dall’assunzione dalla carica ricoperta che individua, appunto, nell’amministratore di diritto della società il destinatario degli obblighi di legge, la cui violazione è penalmente sanzionata. La tesi secondo cui il C. non fosse a conoscenza del dovere di adempiere l’obbligo tributario si risolve, a ben vedere, in un errore sul precetto, che non scusa ai sensi dell’art. 5 cod. pen., salvo il caso di ignoranza inevitabile, situazione che certamente non è ravvisabile nel caso in esame.
6. E’ ben vero che, in tema di reati tributari, il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della società (Sez. 3, n. 47110 del 19/11/2013 – dep. 27/11/2013, PG in proc. Piscicelli, Rv. 258080). In altri termini, il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione solo se è radicalmente privo di qualunque potere o Possibilità di ingerenza nella gestione della società; in tale circostanza, infatti, il prestanome, anche volendo, non avrebbe potuto comunque intervenire, in ragione dei limiti posti a suoi poteri, per impedire la commissione di illeciti da parte di terzi.
7. Si deve inoltre osservare, quanto all’elemento soggettivo, che non è sufficiente, per configurare la responsabilità del prestanome, il richiamo alla culpa in vigilando, che inaccettabilmente trasforma il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, né al dolus in re ipsa.
Tuttavia, non è manifestamente illogico trarre dai dati fattuali a disposizione dei giudici di merito la prova dell’effettiva sussistenza del dolo richiesto dalla norma in esame.
8. Nel caso in esame, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi ora evocati.
8.1. Quanto al primo aspetto, stando alla lettura della sentenza di primo grado (p. 10), si è appurato che il C., oltre a rivestire la carica formale di amministratore, svolgeva in concreto l’attività di gestione della C. Group; il Tribunale ha confutato la tesi, qui riproposta, secondo cui l’imputato fosse un mero prestanome inconsapevole, dal momento che si occupava di fornire direttive agli autotrasportatori circa il carico/scarico della merce; presenziava al ritiro del materiale; quando necessario, sottoscriveva le liberatore; era reperibile nel magazzino di Gorgonzola; teneva i rapporti con le banche, provvedendo ad eseguire i bonifici necessari; ha interloquito con gli operanti della G.d.F. al momento della verifica, consegnando loro tutta la documentazione societaria che, pertanto, era nella piena disponibilità del C., ossia: alcuni estratti dei conti correnti accesi presso tre istituti di credito, le fatture emesse dalla società dal 20709/2011 al 30/12/2011, le fatture passive emesse alla società da fornitori nazionali e comunitari; la dichiarazione di inizio attività e l’attribuzione del codice fiscale; la dichiarazione di variazioni dati relativa al luogo di esercizio pervenuta dall’agenzia dalle entrate il 27/11/2011; il contratto di locazione commerciale stipulato in data 01/11/2011. Di conseguenza, risultando, dunque, che il C. non fosse privo né di poteri di ingerenza, né della capacità di disporre di documentazione della società, egli, quand’anche prestanome, aveva il dovere di presentare la dichiarazione dei redditi.
8.2. I giudici di merito, con apprezzamento fattuale logicamente motivato, hanno, inoltre, escluso che il disturbo schizoaffettivo di cui soffre l’imputato abbia inciso, escludendolo, sul dolo. Il Tribunale, infatti, ha dato atto che l’imputato era seguito dal CPS fin dal 2008 ma, salvo qualche sporadico episodio psicotico di carattere depressivo di maggiore rilievo, era in una sostanziale situazione di compenso, determinata dall’assunzione della terapica farmacologica prescrittagli dai sanitari e, peraltro, la nomina dell’amministratore di sostegno è avvenuto il 08/03/2017, quindi a circa sei anni di distanza dai fatti per cui è causa. Pur ammettendo che tale condizione psichica e il modesto deficit intellettivo riscontrato possono essere considerati indici presuntivi del fatto che il C. non abbia attuato da solo l’evasione fiscale (la società da lui amministrata, costituita il 21.07.2011 e operante in ambito intracomunitario, è risultata essere evasore totale e non sono mai state istituite le scritture contabili e il M., indicato quale amministratore di fatto della società, è stato assolto per non aver commesso il fatto), nondimeno i giudici di merito hanno ritenuto, con apprezzamento fattuale non manifestamente illogico, che l’imputato abbia quantomeno partecipato in modo consapevole all’illecito, dietro il corrispettivo di 1.500 euro mensili, avendo presente il meccanismo complessivo, che comprendeva la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2011, in presenza di un reddito di impresa assai consistente, nell’ordine di diverse decine di milioni di euro, di cui il C. era consapevole, svolgendo in concreto l’attività della C. Group ed avendo egli la disponibilità delle fatture e degli estratti conto della società, documentazione da lui esibita al personale della g.d.f. all’atto del controllo.
9. E’ parimenti infondato il secondo motivo.
Sebbene la Corte territoriale abbia omesso di esaminare puntualmente il motivo in esame, è dirimente osservare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, la circostanza attenuante della partecipazione di minima importanza al reato, di cui all’art. 114, comma primo, cod. pen., presupponendo un apporto differenziato nella preparazione o nell’esecuzione materiale del reato stesso, non è applicabile ai reati omissivi – come, nella specie, quello di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 – in quanto il non facere è concetto ontologicamente antitetico alla sussistenza dei requisiti richiesti per il suo riconoscimento (Sez. 3, n. 47968 del 14/09/2016 – dep. 14/11/2016, D’A, Rv. 268496; Sez. 4, n. 45119 del 06/11/2008 – dep. 04/12/2008, Crepaldi e altri, Rv. 241762; Sez. 3, n. 4730 del 14/12/2007 – dep. 30/01/2008, B., Rv. 238699).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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