Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 36428 depositata il 26 agosto 2019
Reati fiscali – Evasione fiscale – Limiti al sequestro sui beni dell’imprenditore
RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 2 novembre 2018, il Tribunale di Palermo ha parzialmente confermato l’ordinanza il gip del Tribunale di Termini Imerese, con la quale era stato disposto il sequestro per equivalente e in forma diretta nei confronti dell’indagato e delle società delle quali era legale rappresentante, in relazione a reati tributari. In particolare, in parziale accoglimento del ricorso dell’indagato, l’ordinanza cautelare è stata annullata con riferimento al sequestro per equivalente dei beni dell’indagato stesso, sul rilievo della mancanza di motivazione circa l’impossibilità di poter apprendere il profitto diretto dei reati presso la società.
2. – Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame ha proposto ricorso per cassazione il pubblico ministero, deducendo, con unico motivo di doglianza, la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, nonché vizi della motivazione, rilevando che il giudice della cautela non è tenuto ad individuare concretamente i beni da sottoporre alla misura ablatoria, potendosi limitare a determinare la somma di denaro che costituisce il profitto o il valore ad esso corrispondente, mentre l’indicazione specifica dei beni da apprendere può essere demandata al pubblico ministero. Il ricorrente sostiene che nel caso di specie, dal verbale di esecuzione del sequestro, emerge che non si è proceduto al sequestro diretto e in forma specifica del denaro e delle provviste finanziarie nei confronti delle società che si sono avvantaggiate del profitto dei reati tributari, per consentire all’amministratore giudiziario nominato di mantenerne la disponibilità, al fine di garantire l’immediata prosecuzione dell’attività aziendale nell’ambito del collaterale sequestro diretto delle stesse, disposto, in altro procedimento, sulla base del D.L. n. 306 del 1992, art. 12-quinquies. Il ricorrente prosegue osservando che i rapporti finanziari accertati riconducibili all’indagato si sono rivelati insufficienti a coprire l’intero importo da sequestrare, di Euro 995.801,86, ragione per cui si è proceduto al sequestro per equivalente degli immobili e mobili registrati dell’indagato stesso. Dunque, il Tribunale avrebbe errato nell’annullare l’ordinanza contro il sequestro per equivalente, perché non avrebbe considerato che il sequestro diretto del denaro presso le casse sociali avrebbe frustrato l’attività dell’amministratore giudiziario.
3. – L’ordinanza è stata impugnata anche nell’interesse dell’indagato.
3.1. – Con un primo motivo di doglianza, si deduce la violazione dell’art. 321 c.p.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, 12-bis, sul rilievo preliminare che l’annullamento disposto dal Tribunale sarebbe riferito ai soli immobili oggetto di sequestro per equivalente e non anche alle somme esistenti nei tre conti correnti dell’indagato (per Euro 52.000 circa). Si sostiene, in sostanza, che il sequestro eseguito presso il legale rappresentante della società che si è avvantaggiata dei reati tributari, anche qualora abbia per oggetto denaro, deve sempre essere ritenuto come finalizzato alla confisca per equivalente; con la conseguenza per il caso di specie che, in mancanza dell’accertamento della indisponibilità di beni o denaro da sequestrare in via diretta presso le società, il sequestro nei confronti dell’indagato avrebbe dovuto essere annullato dal Tribunale del riesame anche per tale parte.
3.2. – Con un secondo motivo di doglianza, anche esso riferito alla violazione delle stesse disposizioni di legge, si contesta l’ordinanza del Tribunale del riesame nella parte in cui – ad avviso della difesa – rileva il difetto di legittimazione dell’indagato alla proposizione della domanda di restituzione a vantaggio delle società. Si sostiene, in particolare, che pur avendo S. agito a titolo personale e non in veste di legale rappresentante delle società a lui riconducibili, egli era comunque il soggetto indagato e, pertanto, avrebbe dovuto essere ritenuto legittimato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. – Il ricorso del pubblico ministero è infondato.
Dalla stessa prospettazione del ricorrente emerge l’eventualità dell’esistenza di beni societari che avrebbero potuto, almeno potenzialmente, costituire il profitto del reato, da sequestrare in via diretta. Lo stesso pubblico ministero ammette, infatti, di non aver valutato la capienza in concreto delle società e di avere, invece, effettuato la scelta discrezionale di non operare il sequestro diretto, dovuta all’esigenza di far continuare l’attività, sottoposta ad amministrazione giudiziaria. Tale prospettazione si risolve, dunque, nella sostanziale negazione dell’avvenuta verifica del presupposto dell’impossibilità di reperire beni o denaro presso la società; presupposto fissato espressamente, a tutela del patrimonio personale dell’indagato, dall’art. 12-bis. L’ordinamento non consente, dunque, al pubblico ministero, neanche al fine di garantire la fruttuosità dell’amministrazione giudiziaria di una società, di decidere discrezionalmente di procedere al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente presso l’indagato, senza avere comunque accertato l’impossibilità del sequestro in via diretta. Deve ricordarsi, infatti, che in tema di reati tributari, il pubblico ministero è legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per “equivalente”, invece che in quella “diretta”, solo all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto diretto del reato. Si è così esclusa la legittimità dell’emissione di un decreto di sequestro per equivalente in difetto di una verifica, sommaria e allo stato degli atti, dell’impossibilità di procedere al sequestro di somme di denaro, costituendo quest’ultimo un sequestro in forma “diretta” (ex plurimis, Sez. 3, n. 41073 del 30/09/2015, Rv. 265028-01). Tali affermazioni si attagliano al caso in cui il pubblico ministero abbia richiesto al Gip esclusivamente il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni del legale rappresentante della società e non anche il sequestro in via diretta presso la società. Mentre, per il diverso caso in cui sia formulata richiesta congiunta di sequestro in forma diretta e, in via residuale, per equivalente, qualora non siano stati compiuti accertamenti sulla possibilità o meno di porre il vincolo direttamente sul profitto del reato, è riservato alla fase esecutiva o ad un momento successivo all’esercizio dell’azione cautelare l’accertamento dell’impossibilità di procedere al sequestro in forma specifica (Sez. 3, n. 46709 del 28/03/2018, Rv. 274561-02), non essendo necessario che tale accertamento sia effettuato, neanche sommariamente, prima della presentazione della richiesta di sequestro da parte del pubblico ministero. A ciò deve aggiungersi che non sussiste un obbligo per la pubblica accusa di provvedere, in via preventiva o in sede di esecuzione del sequestro, alla ricerca di liquidità o cespiti presso la società, solo nel caso in cui risulti ex actis l’incapienza del patrimonio dell’ente (ex plurimis, Sez. 3, n. 3591 del 20/09/2018, dep. 24/01/2019, Rv. 275687-01; Sez. 3, n. 6205 del 29/10/2014, dep. 11/02/2015, Rv. 262770-01).
5. – Il ricorso dell’indagato è, invece, parzialmente fondato.
5.1. – Quanto al primo motivo di doglianza, deve affermarsi che il sequestro di denaro presso il legale rappresentante della società nel cui interesse sono stati commessi reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 e che non sia uno “schermo fittizio” deve sempre essere considerato quale sequestro per equivalente. Tale conclusione discende dai principi enunciati dalla giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte in tema di rapporto fra confisca diretta e confisca per equivalente in relazione alle persone giuridiche. In particolare, si è affermato che non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato. Inoltre, deve essere tenuto presente che la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma confisca diretta (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258646-01). E tali affermazioni vanno intese nel senso che, qualora il reato sia commesso nell’interesse di una persona giuridica, il profitto è normalmente conseguito dalla persona giuridica stessa e non dal legale rappresentante, cosicché deve essere ricercato e può essere confiscato nel patrimonio della prima, in via diretta, quando vi sia prova del nesso di derivazione o, anche in mancanza di tale prova, quando si tratta di denaro o di beni fungibili. Invece, la confisca che si effettua nel patrimonio del legale rappresentante autore del reato è normalmente una confisca per equivalente, perché, qualora la persona giuridica sia un’entità reale e non fittizia, ovvero un soggetto dotato di effettiva autonomia patrimoniale, il legale rappresentante non consegue alcun profitto, né in beni, né in denaro. Del resto, coerentemente con tale mancanza di diretto vantaggio patrimoniale, il legislatore ha concepito la confisca per equivalente per i reati tributari come un istituto avente natura sanzionatoria (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Rv. 255037-01).
Venendo al caso in esame, il Tribunale avrebbe dovuto valutare, ai fini del sequestro del denaro del legale rappresentante indagato, da considerarsi come sequestro per equivalente, le conseguenze del mancato esame, da parte del pubblico ministero, della capienza dei patrimoni sociali interessati. In accoglimento del primo motivo di ricorso, l’ordinanza impugnata deve essere, dunque, annullata con rinvio, limitatamente al sequestro preventivo per equivalente del denaro, perché si proceda a nuovo giudizio sul punto, facendo applicazione dei principi di diritto sopra enunciati.
5.2. – Il secondo motivo di ricorso dell’indagato è, invece, inammissibile. Contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, la motivazione dell’ordinanza impugnata non si basa sull’astratto rilievo della mancanza di legittimazione in capo all’indagato, ma sulla concreta, e assorbente, mancanza della formulazione di una domanda in relazione al sequestro ai danni delle società (pag. 8 dell’ordinanza impugnata), da parte di un soggetto che ha, pacificamente, agito solo in proprio. E tale ratio decidendi non è stata presa in considerazione con il ricorso per cassazione, limitato al profilo, meramente, teorico della legittimazione.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, limitatamente al sequestro preventivo per equivalente del denaro disposto nei confronti di S.G., e rinvia al Tribunale di Palermo, sezione per il riesame. Rigetta nel resto il ricorso di S.G.. Rigetta il ricorso del Pubblico ministero.
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