CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 36614 depositata il 29 agosto 2019
Reati tributari – Omesso versamento di ritenute – Rilevanza penale – Prova del rilascio delle certificazioni – Presentazione del mod. 770 – Esclusione – Insussistenza dell’elemento oggettivo del reato
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza 12.07.2018, la Corte d’appello di Milano confermava la sentenza 20.10.2017 del tribunale di Como, appellata dal M., che, con il concorso di attenuanti generiche equivalenti alla recidiva contestata, era stato condannato alla pena di 6 mesi di reclusione, perché ritenuto colpevole del reato di omesso versamento di ritenute certificate in relazione al periodo di imposta 2011 (art. 10-bis, d. Igs. n. 74 del 2000), per un importo superiore alla soglia di punibilità prevista dalla legge.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione all’art. 10 bis, d. Igs. n. 74 del 2000, attesa la mancanza di prova della colpevolezza dell’imputato quanto al reato contestato.
Si censura la sentenza per aver affrontato il tema della sussistenza dell’elemento psicologico del reato limitandosi esclusivamente a affermare che per detto reato è sufficiente il dolo generico, senza tuttavia aver verificato se nel caso di specie poteva ritenersi sussistere la colpevolezza dell’imputato. Dopo aver descritto le vicende societarie, il ricorrente ribadisce in questa sede che il mancato adempimento del debito tributario fu dovuto a problemi di liquidità, causati da una crisi del settore, tra il 2010 ed il 2012, problemi non imputabili al ricorrente, come del resto confermato da due testimoni, dipendenti della società, che avevano confermato come, durante gli anni in questione, l’imputato aveva sempre garantito il pagamento degli stipendi ai dipendenti e, nel contempo, salvaguardato l’operatività aziendale, immettendo liquidità nell’azienda anche attraverso la vendita di beni personali. Il mancato adempimento del debito tributario, dunque, era stato necessitato dalla mancanza di liquidità dovuta alla crisi settoriale, non alla volontà di inadempimento dell’imputato. Per tale ragione appaiono censurabili, da un lato, l’argomentazione secondo cui non rileverebbe la circostanza di aver l’imputato chiesto una rateizzazione del debito tributario, come anche l’argomentazione contenuta in sentenza relativa alla mancata prova della gestione imprenditoriale nel rispetto delle regole civilistiche. Si richiamano, infine, in ricorso i più recenti arresti giurisprudenziali che hanno ritenuto come una situazione quale quella occorsa all’imputato nella presente vicenda, integri sicuramente una ipotesi di forza maggiore, dunque, rilevante ex art. 45, c.p. ai fini dell’esclusione della punibilità.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, violazione di legge in relazione all’art. 10 bis, d. Igs. n. 74 del 2000 ed agli artt. 4, co. 1, e 6-ter, DPR n. 322 del 1998, per aver il giudice di appello ritenuto che l’elemento costitutivo del reato, rappresentato dal rilascio ai sostituti di imposta delle certificazioni da parte dell’imputato, fosse stato adeguatamente dimostrato con l’escussione dibattimentale di due dipendenti.
Si censura la sentenza impugnata in quanto, pur a fronte di una giurisprudenza di legittimità ormai consolidata nel senso di ritenere che ai fini dell’integrazione del delitto in questione, occorre la prova del rilascio ai sostituiti delle certificazioni da parte del datore di lavoro, non essendo sufficiente il semplice modello 770, i giudici di appello avrebbero superato questa giurisprudenza ritenendo che la peculiarità del caso di specie avrebbe consentito di superarla. In particolare, viene ad essere valorizzata la circostanza per cui i testimoni a difesa, escussi in dibattimento, avevano riferito che l’imputato aveva regolarmente pagato gli stipendi, circostanza che costituirebbe per la corte d’appello indizio del rilascio ai sostituiti delle certificazioni. Diversamente, dalle dichiarazioni dei predetti testi, tale dato non sarebbe assolutamente emerso, anzi risultando al contrario dall’istruttoria, e delle dichiarazioni del teste S., in particolare, che l’unico accertamento svolto aveva riguardato esclusivamente la presenza del mod. 770. In assenza di prova certa del rilascio delle certificazioni ai sostituiti, dunque il reato non poteva dirsi sussistere.
3. Con memoria depositata in data 23.01.2019 presso la cancelleria della Sezione VII penale di questa Corte, cui il ricorso era stato originariamente assegnato, la difesa del ricorrente ha contestato il giudizio di inammissibilità in relazione al secondo motivo, in quanto questione fattuale non devoluta in appello, trattandosi, in realtà, di un motivo di diritto, peraltro sollevato con il ricorso per cassazione in quanto la sentenza di primo grado non accennava in alcun punto alla valenza probatoria del mod. 770 e alla necessità di provare l’avvenuto rilascio delle certificazioni uniche ai sostituti di imposta, ai fini della sussistenza del reato. La questione di diritto, infatti, era stata proposta davanti alla Corte d’appello all’udienza 12.07.20.18, essendo intervenuta nelle more della presentazione dell’impugnazione (19.01.2018) la sentenza delle Sezioni Unite n. 24782/2018, che aveva risolto il contrasto giurisprudenziale sul punto.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è fondato quanto al secondo motivo.
5. Ed invero, quanto al primo motivo, il ricorso si appalesa inammissibile per manifesta infondatezza. Sulla questione della crisi di liquidità, infatti, i giudici di appello motivano richiamando la costante giurisprudenza di questa Corte che, con riferimento all’elemento soggettivo del reato ed alla rilevanza della crisi di liquidità, ha affermato che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (Sez. 3, n. 43811 del 10/04/2017 – dep. 22/09/2017, Agozzino, Rv. 271189).
Nel caso di specie, la difesa del ricorrente è stata fondata proprio sulla asserita scelta dell’imprenditore, nella situazione di crisi del settore che aveva determinato la crisi di liquidità, di destinare le somme (derivanti anche dall’aver “sacrificato” beni personali) non al pagamento dei debiti tributari, ma al pagamento degli stipendi ai dipendenti e a garantire la continuità imprenditoriale. A ciò, peraltro, va aggiunto che in tema di reati tributari, il delitto di omesso versamento di ritenute dovute o certificate di cui all’art. 10-bis del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 differisce da quello previsto dall’art. 10-ter del medesimo d.lgs. per l’oggetto, che solo nel primo caso è costituito da somme già nella disponibilità del debitore. Ne consegue che, in caso di carenza di liquidità di impresa, se l’omesso versamento dell’Iva può astrattamente derivare dall’inadempimento altrui, l’impossibilità di adempiere all’obbligazione di versamento delle ritenute non può essere giustificata, ai sensi dell’art. 45 cod. pen., dalla insolvenza dei debitori, essendo di pertinenza del sostituto d’imposta la decisione di distrarre a scopi diversi le somme di denaro dovute all’erario (Sez. 3, n. 3647 del 12/07/2017 – dep. 25/01/2018, Botter, Rv. 272073).
Ne discende, conclusivamente, la manifesta infondatezza del primo motivo.
6. A diverso approdo deve pervenirsi quanto al secondo motivo, avendo infatti fornito la Corte d’appello una motivazione, circa la sussistenza dell’elemento costitutivo del reato, non rispondente alle più recenti indicazioni giurisprudenziali di questa Corte. Il riferimento è, in particolare, all’autorevole arresto delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui, in tema di omesso versamento di ritenute certificate, alla luce della modifica apportata dall’art. 7, d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, all’art. 10-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che ha esteso l’ambito di operatività della norma alle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione proveniente dal datore di lavoro (c.d. mod. 770), deve ritenersi che, per i fatti pregressi, ai fini della prova del rilascio al sostituito delle certificazioni attestanti le ritenute operate, non è sufficiente la sola acquisizione della dichiarazione mod. 770 (Sez. U, n. 24782 del 22/03/2018 – dep. 01/06/2018, Macerata, Rv. 272801).
Nel caso di specie, si noti, il richiamo alla peculiarità del caso concreto, secondo cui i testimoni a difesa, escussi in dibattimento, avevano riferito che l’imputato aveva regolarmente pagato gli stipendi (circostanza che costituirebbe per la Corte d’appello indizio del rilascio ai sostituiti delle certificazioni), non può essere ritenuta idonea a superare il dubbio circa la sussistenza dell’elemento costitutivo del reato. Ed infatti, il problema posto dalla questione qui dedotta dalla difesa è quello non tanto di ritenere corretta l’affermazione della Corte d’appello circa il valore indiziario attribuibile alla presentazione del mod. 770 da parte dell’imprenditore imputato (affermazione che le Sezioni Unite mostrano di condividere, laddove sottolineano come le indicazioni contenute nel modello 770 non sono da sole idonee a provare il fatto del rilascio delle certificazioni, ma costituiscono comunque un “indizio che, se può essere sufficiente in sede cautelare reale a fronte del differente standard dimostrativo richiesto (Sez. 3, n. 46390 del 2017, Gambardella…; Sez. 3, n. 48591 del 2016, Pellicani….), non Io è però in giudizio a fronte del canone, ad esso riferito, dell’accertamento al di là di ogni ragionevole dubbio cristallizzato dall’art. 533 cod. proc. pen.”, quanto piuttosto di valutare la correttezza sul piano logico – giuridico della successiva affermazione secondo cui vi sarebbe nel caso in esame un ulteriore elemento probatorio significativo, costituito dal fatto che i testimoni a difesa, escussi in dibattimento, avevano riferito che l’imputato aveva regolarmente pagato gli stipendi (circostanza che costituirebbe per la Corte d’appello indizio del rilascio ai sostituiti delle certificazioni).
Proprio la circostanza che i testimoni avessero riferito dell’avvenuto pagamento degli stipendi, secondo i giudici di appello, avrebbe fornito la prova logica dell’effettivo rilascio ai dipendenti delle relative certificazioni, mentre, secondo la difesa, sarebbe censurabile il criterio logico applicato dalla Corte territoriale, in quanto da tali dichiarazioni testimoniali non potrebbe desumersi la prova dell’avvenuto rilascio delle certificazioni ai sostituiti.
7. Orbene, ritiene il Collegio che la censura difensiva meriti accoglimento, atteso che se è ben vero che la presentazione del mod. 770 può costituire mero indizio del rilascio delle certificazioni ai sostituiti che necessita, in quanto tale, di essere valutato in base ai criteri dettati dall’art. 192, comma secondo, c.p.p. (a norma del quale: “l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti”), è altrettanto vero che, ai fini della prova, occorrono più indizi gravi, univoci e concordanti, valutati nel loro insieme unitario, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 192 del nuovo codice di rito, sicché il rigoroso e obiettivo accertamento del dato ignoto deve essere lo sbocco necessitato e strettamente consequenziale, sul piano logico-giuridico, per dare certezza alla attribuibilità del fatto illecito a un comportamento concludente dell’imputato.
Con esclusione di ogni altra soluzione logica, in termini di equivalenza e di alternatività, sulla base degli elementi indiziari compiutamente esaminati, e con l’indicazione dei criteri, esenti da vizi, di valutazione della prova (Sez. 2, n. 6461 del 08/02/1991 – dep. 11/06/1991, Ventura, Rv. 187619).
Orbene, analizzando la vicenda processuale in esame, a ben vedere, ciò che la sentenza di appello indica come ulteriore elemento probatorio particolarmente significativo, altro non è che un ulteriore elemento indiziario, rappresentato da un comportamento dell’imputato, coevo al fatto oggetto di contestazione e sganciato dalla “persona” dell’imputato medesimo, in quanto il pagamento degli stipendi ai dipendenti è stato eseguito dall’imputato nella qualità di legale rappresentante della società e non quale persona fisica imputato (diverso ragionamento, invece, si sarebbe potuto condurre ove vi fosse stata coincidenza soggettiva tra datore di lavoro persona fisica ed imputato, ad esempio ove questi fosse stato titolare di ditta individuale).
8. Ne consegue che del tutto priva di valore indiziario rispetto alla prova del rilascio delle certificazioni ai sostituiti è la circostanza che il ricorrente, quale legale rappresentante della società, abbia provveduto al pagamento degli stipendi ai dipendenti nel periodo in questione, posto che attribuire natura indiziante a detto comportamento, indipendentemente dall’esistenza di altri validi elementi di giudizio a suo carico, porterebbe ad un’inammissibile inversione dell’onere della prova, di tal che dovrebbe essere l’imputato a fornire la prova del mancato rilascio delle certificazioni ai sostituiti (trattandosi, lo si ricordi per completezza, di fatti antecedenti alle modifiche che hanno interessato l’art. 10 bis, per effetto del d. Igs. n. 158 del 2015), e non la pubblica accusa ad addurre gli elementi, convincenti, idonei a dimostrarne il rilascio.
Si tratta di una soluzione aborrita dalle stesse Sezioni Unite che, lucidamente, ribadiscono come il pubblico ministero “non è comunque esonerato da tale prova per il fatto che l’imputato non abbia allegato circostanze ed elementi in senso contrario, non essendo, nell’ordinamento processuale penale, previsto un onere probatorio a carico dell’imputato modellato sui principi propri del processo civile (Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014, Stanciu, Rv. 261657)”, puntualizzando a tal proposito come “sia norme sovraordinate di carattere generale internazionali (specificamente l’art. 6.2. della Convenzione Edu e l’art. 14 n.2 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, entrambe espressamente indicanti la necessità che la colpevolezza dell’accusato sia provata secondo legge) e interne (art. 25 Cost. in ordine alla presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva), sia norme processuali (specificamente l’art. 533 cod. proc. pen. ove si stabilisce che il giudice pronuncia sentenza di condanna solo là dove l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio) appaiono indicative della fissazione in senso “sostanziale”, a carico di chi sostenga la tesi di accusa nel processo penale, di un preciso onere di prova (in tale ultimo senso, Sez. 3, n. 2393 del 2018, Vecchierelli, cit.)”.
9. Deve, conclusivamente, convenirsi con il ricorrente ritenendo mancante, nel caso in esame, la prova del rilascio delle certificazioni, rimanendo la presentazione del mod. 770 un elemento isolato, rimasto privo di riscontri oggettivi.
10. L’accoglimento di tale motivo, attesa la valenza assorbente del medesimo laddove la sua fondatezza comporta l’evidente insussistenza dell’elemento oggettivo del reato contestato, comporta conclusivamente l’annullamento senza rinvio della sentenza perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
annulla senza rinvio l’impugnata sentenza perché il fatto non sussiste.
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