CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 36896 depositata il 11 ottobre 2021
Amministratore unico – Aggravamento del dissesto – Mancata tempestiva richiesta di fallimento – Rritardo nell’instaurare la concorsualità
Fatto e diritto
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 13.12.2017, aveva condannato C. G. alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia in relazione al reato ex artt. 217, co. 1, n. 4), 224, n. 1), l.fall., in rubrica ascrittogli, in qualità di amministratore unico, prima, e di liquidatore, poi, della ” T. S.r.l.”, dichiarata fallita in data 7.4.2016.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando vizio di motivazione e violazione di legge, sotto il profilo della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, in quanto la corte territoriale ha reso una motivazione con cui si è limitata a ripetere pedissequamente quanto affermato dal giudice di primo grado, omettendo di considerare che nessuna condotta l’imputato avrebbe potuto porre in essere per evitare l’aggravamento del dissesto, derivato dall’applicazione di norme di legge e contrattuali, relative ai compensi maturati dai dipendenti per effetto dei licenziamenti posti in essere dal C..
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 581, co. 1, lett. d), e 591, co. 1, lett. c), c.p.p., in quanto fondato su motivi, che, riproponendo acriticamente le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame (con la cui motivazione sul punto il ricorrente non si confronta), devono considerarsi non specifici, ed anzi, meramente apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, co. 1, lett. c), c.p.p., all’inammissibilità (cfr. Cass., sez. IV, 18.9.1997 – 13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Cass., Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, rv. 236945; Cass., Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, rv. 255568; Cass., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, rv. 277710).
La corte territoriale, del resto, ha reso una autonoma motivazione del tutto immune dai denunciati vizi, senza limitarsi a richiamare la decisione del giudice di primo grado.
In particolare la corte di appello di Milano ha evidenziato, con logico e fondato argomentare, come la colpevole inerzia dell’imputato, che per quasi un anno si era astenuto dal chiedere il fallimento della società, pur in presenza di una situazione di evidente dissesto della società medesima, desumibile da una serie di indici specificamente indicati dal giudice di secondo grado, abbia determinato un ulteriore aggravio del dissesto societario, a causa dei debiti pregressi non adempiuti e dell’omissione dei versamenti dei tributi, delle ritenute di acconto e dei contributi assistenziali già iscritti a ruolo, oltre a quelli non ancora oggetto di iscrizione a ruolo, integrando tale colpevole inerzia l’elemento soggettivo della colpa grave, in quanto lo stato d’insolvenza societaria, conclamata e irreparabile, non lasciava altra scelta che attivare la proceduta fallimentare, evitando un ulteriore aggravamento del dissesto (cfr. pp. 5-9 della sentenza oggetto di ricorso).
Tale conclusione, giova evidenziare, appare del tutto in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, richiamato dalla corte territoriale, secondo cui, da un lato, nel reato di bancarotta semplice per mancata tempestiva richiesta di fallimento, oggetto di punizione è l’aggravamento del dissesto dipendente dal semplice ritardo nell’instaurare la concorsualità, non essendo richiesti ulteriori comportamenti concorrenti (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 5, n. 28609 del 21/04/2017, Rv. 270874); dall’altro, nel suddetto reato, la condotta della mancata tempestiva richiesta di dichiarazione del proprio fallimento è punibile se caratterizzata da colpa grave, che può essere desunta da dati fattuali sintomatici di un provato e consapevole atteggiamento di resistenza, in presenza di un chiaro stato di dissesto, rispetto alla scelta, dovuta, di ricorrere alla dichiarazione di fallimento (cfr., ex plurimis, Cass., Sz. 5, n. 43414 del 25/09/2013, Rv. 257533; Cass. Sez. 5, n. 28609 del 21/04/2017, Rv. 270874).
4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
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