CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 36908 depositata il 7 settembre 2023
Infortuni sul lavoro – Sicurezza – Rimozione di un apparecchio destinato alla prevenzione di disastri o infortuni sul lavoro – Natura di presidio alla prevenzione degli incendi – Integrità fisica lavoratori – Ipotesi delittuosa descritta dall’art. 437 c.p. – Contestazione – Rigetto
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in preambolo la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma di quella del Tribunale di Brescia del 24 novembre 2021, ha assolto E. (…) dal reato di cui all’ art. 432 c.p., mentre l’ha ritenuto responsabile dei reati di cui agli articoli 1 Decreto Legislativo n. 66 del 1948 e 437 c.p. e conseguentemente condannato alla pena di cinque mesi e sedici giorni di reclusione.
Per quanto qui interessa, la contestazione dell’ art. 437 c.p. afferiva alla rimozione da parte dell’imputato di un apparecchio destinato alla prevenzione di disastri o infortuni sul lavoro e, segnatamente, di un estintore allocato nell’area di servizio carburanti Eni, situato sulla (…).
A ragione della decisione confermativa della sussistenza di tale reato, la Corte territoriale ha evidenziato l’ininfluenza della circostanza che fosse stato rimosso un solo estintore, valorizzandone l’innegabile natura di presidio alla prevenzione degli incendi, indispensabile alla sicurezza sul luogo di lavoro e osservando che “la mancanza di anche un solo estintore ha l’attitudine, almeno in via astratta, a pregiudicare l’integrità fisica dei lavoratori gravitanti attorno all’attività imprenditoriale e all’ambiente di lavoro, rendendo più difficile la tutela dai pericoli d’incendi e più facile la loro estensione”.
2. Ricorre (…) per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, e deduce la violazione dell’articolo dell’ art. 437 c.p..
Il ricorrente – richiamata la giurisprudenza di legittimità, copiosamente riprodotta nel ricorso, secondo la quale, ai fini della configurabilità dell’ipotesi delittuosa descritta dall’art. 437 c.p., è necessario che la condotta, commissiva ovvero omissiva, s’inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l’inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l’attitudine, almeno in via astratta, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di un numero di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro sufficiente a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo – lamenta come, nel caso di specie, difetterebbe l’elemento del pericolo per l’incolumità pubblica.
Evidenzia, invero, come sia mancato qualsiasi approfondimento da parte dei giudici di merito sullo stato dei luoghi, sull’eventuale presenza di strutture confinanti con l’area di servizio, sulla densità abitativa dei luoghi limitrofi; tutti elementi reputati decisivi al fine di verificare la sussistenza in concreto della fattispecie contestata.
3. Il Sostituto Procuratore generale, O.M., intervenuta con requisitoria scritta depositata in data 7 aprile 2023, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato e, come tale, va rigettato.
2. L’art. 437 c.p. contempla il reato di “Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro” e sanziona con la reclusione da sei mesi a cinque anni la condotta di chiunque “omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia” e, al comma 2, prevede che “se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni”.
Il reato è ricompreso tra quelli di pericolo per la pubblica incolumità e, nella sua forma commissiva (rimozione ovvero del danneggiamento degli impianti, apparecchi ovvero segnali), è un reato comune.
3. La giurisprudenza di legittimità, chiamata a enucleare le condizioni alla stregua delle quali è possibile configurare il delitto de quo, ha affermato che “Ai fini della configurabilità dell’ipotesi delittuosa descritta dall’art. 437 c.p., è necessario che l’omissione, la rimozione o il danneggiamento dolosi degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro si inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l’inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l’attitudine, almeno in via astratta, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di un numero di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro sufficiente a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo” (Sez. 1 n. 24945 del 24/01/2023, R., Rv. 284777; Sez. 1, n. 4890 del 23/01/2018, dep. 2019, P., Rv. 276164; Sez. 1, n. 18168 del 20/01/2016, A., Rv. 266881; Sez. 1, n. 6393 del 02/12/2005, dep. 2006, S., Rv. 233826).
A tale indirizzo, che assegna centrale rilevanza al carattere di diffusività del pericolo derivante dalla rimozione o omissione di apparecchi destinati a prevenire infortuni sul lavoro, il Collegio intende dare convinta continuità rispetto a quello – che pure si è affermato, ancora in tempi non remoti, in sede di legittimità che riconosce penale rilevanza anche alle condotte che, attraverso la violazione della normativa prevenzionale, abbiano messo a repentaglio l’incolumità di un singolo lavoratore (Sez. 4, n. 57673 del 24/11/2017, F., Rv. 271693; Sez. 1, n. 12464 del 21/02/2007, L’E., Rv. 236431).
Tanto, in ragione della dichiarata finalità cautelare e della collocazione sistematica della disposizione, la cui interpretazione dev’essere parametrata all’astratta attitudine della condotta illecita a provocare l’esposizione a pericolo della pubblica incolumità e ad amplificare, per tale via, il rischio, non più circoscritto a uno o più soggetti e diretto nei confronti di un’intera (ancorchè , se del caso, numericamente contenuta) comunità di lavoratori o, comunque, di un numero di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro sufficiente a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo (Sez. 1, n. 4890 del 23/01/2018, dep. 2019, Prunas, Rv. 276164, citata). Sicchè – come chiarito in Sez. 4, n. 7939 del 25/11/2020, dep. 2021, L’E., Rv. 280928 “il reato non è configurabile laddove l’impianto o l’apparecchiatura, difettante delle cautele destinate a prevenire infortuni sul lavoro, non sia destinato all’utilizzazione contemporanea da parte di una pluralità di lavoratori o non sia idonea a sprigionare una forza dirompente in grado di coinvolgere numerose persone“.
L’indagine demandata all’interprete dev’essere, dunque, svolta “sul piano della potenziale offensività del comportamento irrispettoso della normativa prevenzionale – in chiave, essenzialmente, di sua attitudine ad attingere tutti coloro che, a diverso titolo, vengano a contatto con quell’ambiente lavorativo piuttosto che su quello dell’individuazione della platea dei soggetti materialmente coinvolti” (Sez. 1, n. 39091 del 15/4/2022, N., n. m.; Sez. 1, n. 2547 del 30/09/2021, dep. 2022, P., n. m.).
4. Nel caso di specie la Corte territoriale, anche attraverso l’opportuno richiamo della pronuncia di primo grado, si è correttamente conformata ai principi ermeneutici citati, indicando le ragioni per le quali ha ritenuto che la condotta dell’imputato avesse assunto il prescritto carattere di potenziale diffusività del pericolo.
Nella motivazione delle sentenze di merito, infatti, si è dato adeguato e coerente conto della circostanza che l’asportazione dal distributore di carburante anche di un solo estintore, sicuro presidio indispensabile alla sicurezza del luogo sotto il profilo della prevenzione d’incendi, era senz’altro idoneo – quanto meno in via astratta – a pregiudicare l’integrità fisica dei lavoratori e di tutte le persone gravitanti attorno a quell’area o che avevano accesso, trattandosi di un luogo caratterizzato dal elevatissima concentrazione di sostanze infiammabili.
Il giudice di primo grado, ha fatto altresì espresso riferimento all’ulteriore rilevante circostanza, rimasta incontestata, che si trattava di un distributore di carburante situato su una strada provinciale, a traffico veicolare ordinario, come documentato dalle immagini riprese dal circuito di video sorveglianza.
Si tratta di motivazione che resiste alle censure, generiche e contro-valutative, contenute nel ricorso.
5. Per le ragioni sin qui esposte, il ricorso dev’essere rigettato.
Dal rigetto del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, c.p.p..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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