CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 37131 depositata il 5 settembre 2019
Reati tributari – IVA – Credito fittizio indicato in dichiarazione – Indebite compensazioni per credito inesistente – Rilevanza penale – Sequestro preventivo per equivalente anche dei beni del legale rappresentante
Ritenuto in fatto
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, depositata il 14 dicembre 2018, il Tribunale di Roma ha respinto la richiesta di riesame presentata da P. G. nei confronti del decreto del 9 ottobre 2018 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con cui era stato disposto il sequestro preventivo per equivalente anche sui beni della richiedente, fino alla concorrenza della somma di euro 2.317.537,36, in relazione ai reati di cui agli artt. 3 e 10 quater d.lgs. 74/2000 (contestati come commessi dalla ricorrente quale legale rappresentante della Cooperativa G. S. G. A. ).
Il Tribunale, nel disattendere la prospettazione difensiva della indagata, ha evidenziato gli elementi indiziari indicativi della fittizietà della operazione fraudolenta contestata alla ricorrente (che avrebbe indicato nella dichiarazione iva integrativa della cooperativa un credito di imposta di euro 1.600.042,00, giudicato fittizio, in luogo dell’effettivo debito di imposta gravante sulla cooperativa, pari a euro 724.295,00, e anche effettuato compensazioni indebite), elementi costituiti sia dalla sproporzione tra il valore del credito ceduto (pari a euro 1.600.000,00) e il prezzo effettivamente corrisposto (pari a euro 5.000,00), indicativa dalla consapevolezza della G. della inesistenza del credito e del carattere fraudolento dell’operazione; sia dalla conoscenza da parte della ricorrente delle condizioni del soggetto cedente (e, in particolare, del fatto che a fronte di un fatturato assai rilevante tale soggetto aveva un solo dipendente); sia dal pagamento del corrispettivo di tale cessione a favore di un terzo, tale G., tra l’altro titolare di una impresa cessata nel 2014 e svolgente tutt’altra attività rispetto a quella della impresa cedente; sia dalla inverosimiglianza dell’affidamento riposto dalla G. sulla esistenza del credito ceduto in assenza di qualsiasi controllo.
2. Avverso tale ordinanza l’indagata ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico articolato motivo, mediante il quale ha denunciato la violazione degli artt. 125 cod. proc. pen.e 111 Cost., ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione al travisamento da parte del Tribunale di aspetti decisivi della vicenda, con la conseguente sussistenza di un vizio radicale della motivazione, tale da renderla priva dei necessari requisiti di coerenza, completezza e ragionevolezza, determinante violazione delle disposizioni denunciate.
Ha esposto che il corrispettivo della cessione del credito iva ritenuto inesistente era stato, in realtà, di euro 170.000,00, e non di euro 5.000,00 come indicato dal Tribunale, in quanto, come si ricavava dalla scrittura privata di cessione, il prezzo era stato pattuito in complessivi euro 170.000,00, di cui euro 40.000,00 corrisposti contestualmente mediante assegno e il residuo mediante rate dell’importo costante di euro 10.000,00, mentre la somma di euro 5.000,00 corrisposta al G. costituiva solamente il corrispettivo dovutogli per l’attività di mediazione svolta in relazione a tale negozio.
Ha, inoltre, censurato l’affermazione del Tribunale in ordine alla consapevolezza della ricorrente del contenuto delle comunicazioni inviatele da P., in quanto la prova di tale consapevolezza era stata tratta dal Tribunale, in modo del tutto illogico, dalla menzione della stessa nella richiesta di riesame, pur trattandosi di citazione fatta solo a fini difensivi e dopo che il contenuto di tali comunicazioni era stato appreso dai difensori attraverso lo studio degli atti di indagine.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Preliminarmente va precisato che il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari reali può essere esaminato solo in relazione al vizio di violazione di legge non essendo consentita, in tale materia, la deduzione del vizio di motivazione per espresso dettato dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Nondimeno, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito come nella violazione di legge siano ricompresi anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o comunque privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice, con conseguente violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. (cfr., ex multis, Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 e, da ultimo, Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656).
Sempre in premessa è necessario rammentare che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623). Resta, dunque, esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massinnata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata).
Inoltre, va ribadito che il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti in sede di impugnazione e motivatamente respinti da parte del giudice del gravame deve ritenersi inammissibile, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, solo apparentemente, denunciano un errore logico o giuridico determinato (in termini v. Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altro, Rv. 243838).
3. Nel caso in esame la ricorrente, pur lamentando la mancanza di una motivazione idonea, a causa del travisamento da parte del giudice del riesame di alcuni elementi di fatto (tra cui, in particolare, il corrispettivo pattuito per la cessione del credito iva indebitamente utilizzato in compensazione, che non sarebbe stato pari a euro 5.000,00, come affermato dal Tribunale, bensì a euro 170.000,00, come risulterebbe dal contratto di cessione, in parte versati alla conclusione del contratto e in parte da versare ratealmente; nonché la consapevolezza da parte della ricorrente della effettiva consistenza dell’impresa che aveva ceduto tale credito iva), in realtà censura l’adeguatezza e la logicità della motivazione, tra l’altro in ordine ad aspetti di fatto (quali l’effettività del credito utilizzato in compensazione e la consapevolezza della ricorrente della inesistenza di tale credito), in tal modo proponendo una doglianza non consentita nel giudizio di legittimità, in quanto relativa alla adeguatezza della motivazione nella parte relativa alla ricostruzione del fatto, che non risulta assente o priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza.
Il Tribunale, nell’evidenziare i plurimi elementi indiziari posti a fondamento della affermazione della inesistenza (sia pure a livello indiziario) del credito iva oggetto della contestazione, acquistato dalla società amministrata dalla ricorrente e indebitamente utilizzato in compensazione nella dichiarazione iva di tale società, ha anche sottolineato la mancanza di qualsiasi elemento in ordine al pagamento rateale del corrispettivo di euro 170.000,00 di tale cessione, indicato nella scrittura privata di vendita (cfr. pag. 4 dell’ordinanza impugnata), con ciò dimostrando, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, di aver considerato tale scrittura e il corrispettivo nella stessa indicato e anche le relative modalità di pagamento, senza travisarne il contenuto: non può dunque dirsi che la motivazione dell’ordinanza impugnata sia del tutto mancante o priva dei requisiti minimi richiesti, con la conseguente inammissibilità delle doglianze formulate dalla ricorrente, che attengono alla logicità della ricostruzione dei fatti (in particolare della fittizietà del credito iva ceduto e della consapevolezza della ricorrente di tale circostanza), di cui è stata fornita spiegazione con motivazione non apparente, attraverso la sottolineatura dei plurimi elementi indiziari univocamente deponenti nel senso della inesistenza di tale credito (tra cui, tra gli altri, il mancato pagamento del corrispettivo della cessione) e anche della consapevolezza da parte della ricorrente di tale circostanza (desunta anche dal mancato pagamento di detto corrispettivo), non censurabile nel giudizio di legittimità.
4. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, essendo stato affidato a doglianze non consentite nel giudizio di legittimità.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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