CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 37175 depositata il 23 dicembre 2020
Reati tributari – Infedele dichiarazione – Art. 4, co. 1, D.Lgs. n. 74 del 2000 – Sequestro preventivo finalizzato alla confisca – Applicazione istituto della confisca allargata
Ritenuto in fatto
1. Il sig. M. G. ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 31/01/2020 del Tribunale di Firenze che ha rigettato la richiesta di riesame del decreto del 02/01/2020 del GIP del medesimo Tribunale che, ritenuta la sussistenza indiziaria del reato di cui all’art. 4, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, ha ordinato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato (pari ad € 219.749,46) ovvero di beni (mobili ed immobili) in disponibilità del G. di valore ad esso equivalente.
1.1. Con il primo motivo deduce l’inosservanza degli artt. 12-bis e 12-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, e dell’art. 240-bis cod. pen. Sostiene che l’art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, non richiama affatto l’art. 240-bis cod. pen. la cui applicazione al reato per il quale si procede, è stata esclusa dall’art. 39, comma 1, lett. q), d.l. n. 124 del 2019, convertito con modificazioni dalla legge n. 157 del 2019, che ha espunto dall’elenco dei reati-presupposto previsti dall’art. 12- ter, d.lgs. n. 74 del 2000, che disciplina la cd. “confisca allargata”, proprio quello di dichiarazioni infedele di cui all’art. 4 dello stesso decreto. L’errore nel quale ripetutamente cade il Tribunale del riesame (che in più parti della motivazione accosta la confisca per equivalente di cui all’art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, a quella prevista dall’art. 240-bis cod. pen.), dimostra che non si tratta di una svista ma della convinta (ancorché errata) applicazione della “confisca allargata” anche al reato di cui all’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000.
1.2. Con il secondo motivo deduce la mancanza assoluta di motivazione (o comunque la sua natura apparente) in ordine alla sussistenza del spericulum.
Sostiene che, avendo il Tribunale fatto (erroneo) riferimento alla confisca allargata, manca qualsiasi riferimento all’esigenza cautelare che giustifica il sequestro. Benché in sede di riesame fosse stato eccepito che, nei fatti, vi è un’evidente sproporzione tra l’imposta evasa (€ 219.749,46) ed il valore dell’unico bene appreso (la casa di abitazione), valutato oltre € 420.000,00, il Tribunale ha liquidato la questione affermando che si tratta di un aspetto meramente esecutivo che non inficia la legittimità del provvedimento. Orbene, conclude sul punto il ricorrente, la sproporzione costituisce un dato documentalmente dimostrato che si salda alle considerazioni sviluppate con il primo motivo circa la reale finalità del provvedimento di sequestro che si riflette sulla sua illegittimità, trattandosi di questione non rinviabile alla sede esecutiva.
1.3. Con il terzo motivo deduce, sotto altro profilo, la mancanza assoluta di motivazione (o comunque la sua natura apparente) in ordine alla eccepita insussistenza del pericolo di dispersione del profitto e/o dei beni per un valore ad esso corrispondente, essendo egli proprietario di ben diciassette immobili evidentemente non facilmente occultabili.
1.4. Con il quarto motivo deduce l’inosservanza e/o l’erronea applicazione degli artt. 67, comma primo, lett. c)-quinquies, 68, commi settimo, lett. f), e nono, 109, d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), nonché 4, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000.
Afferma al riguardo:
– di essere contitolare, insieme con il fratello P., il padre S. e la società «E. S.r.l.» (incaricata di riscuotere il credito e di ripartirlo tra gli aventi diritto), di una quota parte di un rilevante credito nei confronti dello Stato dell’Iraq ed enti ad esso immedesimati;
– il 29/12/2014, all’esito di una procedura esecutiva presso terzi, il debitore del debitore aveva corrisposto la somma pignorata;
– tale somma, tuttavia, è stata oggetto di contestazione non solo in relazione al quantum ma anche all’an, essendone stato contestato il titolo (la sentenza di accertamento del credito della quale è stata chiesta la revocatoria ed essendo stata proposta querela di falso del contratto dal quale ha avuto origine la pretesa);
– di conseguenza, un eventuale accoglimento delle richieste di controparte irachena comporterebbe non solo l’obbligo di restituzione della somma, il che azzererebbe di fatto quanto momentaneamente realizzato, ma anche degli interessi “medio tempore” maturati, oltre rivalutazione e spese che determinerebbero un vero e proprio decremento patrimoniale;
– dunque, la plusvalenza recuperata a tassazione è ancora incerta e non definitiva, laddove è evidente, dal combinato disposto di cui agli artt. 67, comma primo, lett. c)-quinquies, 68, commi settimo, lett. f), e nono, TUIR, che per essere soggetta a tassazione essa deve avere carattere di definitività (e dunque di esistenza certa);
– erra di conseguenza il Tribunale che, nel disattendere i rilievi difensivi, applica l’art. 109 TUIR senza considerare che nel caso di specie non si tratta di “redditi di impresa”, bensì di “redditi diversi”; in ogni caso, anche l’art. 109 TUIR stabilisce che i componenti negativi e positivi di reddito possono essere imputati all’anno di esercizio nel quale ne diviene certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, condizioni non verificatesi nel caso in esame;
– quale conseguenza dell’errata impostazione, il Tribunale fa riferimento alla possibilità di dedurre le sopravvenienze passive e invoca le regole relative alla determinazione del “reddito d’impresa” che nulla hanno a che vedere con i “redditi diversi” in relazione ai quali nessuna disposizione consente al contribuente di dedurre negli esercizi successivi l’imposta indebitamente pagata in quelli precedenti;
– in ogni caso si tratterebbe della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza che rende la condotta penalmente irrilevante ai sensi del comma 1-bis, dell’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000.
1.5. Con il quinto motivo deduce, sotto un ulteriore profilo, l’inosservanza e/o l’erronea applicazione degli artt. 67, comma primo, lett. c)-quinquies, 68, commi settimo, lett. f), e nono, 109, d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR). Sostiene, al riguardo, che la somma in contestazione (pari ad € 870.190,24) non è stata contabilizzata perché non può essere considerata componente positiva di reddito per insussistenza dei presupposti di certezza ed obiettiva determinabilità del “quantum della prestazione. Ferme restando le deduzioni di cui al motivo precedente, aggiunge che, a tutto concedere, la somma in questione avrebbe dovuto essere computata nell’anno di imposta 2014; ciò che rileva, a tal fine, non è la data di effettivo incasso (gennaio 2015), bensì quella (29/12/2014) nella quale il “debitor debitoris” ha adempiuto alla sua obbligazione con effetto liberatorio nei confronti di tutti i condebitori solidali. Ragionando diversamente si lascerebbe all’arbitrio del contribuente decidere quando e in che modo gli paia più conveniente ricevere materialmente il pagamento. Del resto, nei confronti della co-creditrice E. la ripresa a tassazione per il medesimo credito è stata effettuata nell’anno 2014.
1.6.Con il sesto motivo riprende l’argomento già introdotto con il quarto in ordine alla incertezza della componente positiva di reddito e deduce, sotto questo ulteriore profilo, l’inosservanza e/o l’erronea applicazione degli artt. 67, comma primo, lett. c)-quinquies, 68, commi settimo, lett. f), e nono, 109, d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR). Ribadisce che, in caso di condanna alla restituzione della somma incassata (maggiorata di interessi e rivalutazione), la sopravvenienza passiva non potrebbe mai essere dedotta né potrebbe essere chiesto il rimborso della maggiore imposta pagata, trattandosi di “redditi diversi” prodotti da una persona fisica ai quali non si applica l’art. 101 TUIR previsto per i redditi di impresa.
2. Gli argomenti a sostegno del ricorso sono stati ulteriormente illustrati in due memorie/conclusioni scritte depositate l’8 luglio 2020 ed il 18 settembre 2020.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è infondato.
4. Con decreto del 02/01/2020 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze ha disposto il sequestro, finalizzato alla confisca diretta o per equivalente, della somma di € 219.749,46 (ovvero di beni per un valore corrispondente) costituente il profitto del reato di cui all’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, provvisoriamente ascritto al G. perché, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, nella dichiarazione Mod. Unico 2015, relativo all’anno di imposta 2015, aveva indicato elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo. In particolare, non aveva dichiarato la somma di € 870.190,24 accreditata sul suo conto corrente nel mese di gennaio 2015 in conseguenza dell’acquisto, dalla società «E. S.r.l.», di un credito del valore nominale di € 630.000,00 vantato nei confronti della Repubblica irachena dietro pagamento del corrispettivo di € 25.000,00. La positiva indicazione di tali componenti positivi di reddito avrebbe aumentato l’imponibile generando una maggiore imposta, non pagata, pari ad € 219.749,46.
4.1.Nel rigettare la richiesta di riesame, il Tribunale ha osservato, in primo luogo, che l’art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, «che richiama l’art. 240 bis cp», continua ad applicarsi all’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000. Quanto al “fumus commessi delicti”, ha aggiunto che, ai fini dell’art. 109 TUIR, ciò che conta è l’esistenza certa e determinabile del credito, non la sua natura definitiva sicché l’accredito sul conto corrente della somma oggetto del credito ne dimostra il pieno realizzo, non rilevando la astratta possibilità di una restituzione della somma. Ove ciò avvenisse, afferma il Tribunale, il contribuente potrebbe certamente dedurre la somma in restituzione a titolo di sopravvenienza passiva.
Sotto un ulteriore profilo ha aggiunto che correttamente la ripresa a tassazione delle sopravvenienze attive è stata fatta con riferimento all’anno di imposta 2015 e non 2014 perché prima dell’incasso il credito era stato pagato alla società «E. S.r.l.», soggetto terzo rispetto al G..
4. E necessario in primo luogo ribadire che avverso le ordinanze emesse a norma degli artt. 322-bis e 324 cod. proc. pen., il ricorso per Cassazione è ammesso solo per violazione di legge.
4.1.Come più volte spiegato da questa Corte «in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod.proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice» (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004; si vedano anche, nello stesso senso, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, e Sez. U, n. 5 del 26/02/1991, Bruno, nonché, tra le più recenti, Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini; Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, Chiesi; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, Buonocore).
4.2 Motivazione assente è quella che manca fisicamente (Sez. 5, n. 4942 del 04/08/1998, Seana; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini) o che è graficamente indecifrabile (Sez. 3, n. 19636 del 19/01/2012, Buzi); motivazione apparente, invece è solo quella che «non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti» (Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, Di Giorgio), come, per esempio, nel caso di utilizzo di timbri o moduli a stampa (Sez. 1, n. 1831 del 22/04/1994, Caldaras; Sez. 4, n. 520 del 18/02/1999, Reitano; Sez. 1, n. 43433 dell’8/11/2005, Costa; Sez. 3, n. 20843, del 28/04/2011, Saitta) o di ricorso a clausole di stile (Sez. 6, n. 7441 del 13/03/1992, Bonati; Sez. 6, n. 25361 del 24/05/2012, Piscopo) e, più in generale, quando la motivazione dissimuli la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, o sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonea a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov; nello stesso senso anche Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Giovannini, Rv. 260314, secondo cui la motivazione dell’ordinanza confermativa del decreto di sequestro probatorio è meramente apparente – quindi censurabile con il ricorso per cassazione per violazione di legge – quando le argomentazioni in ordine al “fumus” del carattere di pertinenza ovvero di corpo del reato dei beni sottoposti a vincolo non risultano ancorate alle peculiarità del caso concreto).
5.Tanto premesso, i primi tre motivi sono manifestamente infondati.
5.1.Aldilà del chiaro errore materiale del Tribunale (il quale ha impropriamente accostato l’art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, all’art. 240-bis cod. pen.), è fin troppo evidente che il sequestro preventivo è stato adottato ai sensi degli artt. 321, comma 2, e 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, norma quest’ultima certamente applicabile, come annota il Tribunale, al reato di cui all’art. 4. Oggetto del provvedimento, infatti, è il profitto del reato, nella sua forma diretta o per equivalente, non il denaro, i beni e le altre utilità in disponibilità del G., sproporzionati al proprio reddito o alla propria attività e dei quali non può giustificare la provenienza. Del resto, come anticipato, il GIP aveva fatto riferimento espresso all’art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, quale titolo della cautela.
5.2. La oggettiva confiscabilità delle cose non necessita ulteriori aggettivazioni ai fini del sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 4114 del 21/10/1994, Giacalone, Rv. 200854; Sez. 3, n. 1810 del 02/05/2000, Maccarone,.Rv. 217682; Sez. 3, n. 47684 del 17/09/2014, Mannino, Rv. 261242, secondo cui il sequestro strumentale alla confisca previsto dall’art. 321, secondo comma, cod. proc. pen. costituisce figura specifica ed autonoma rispetto al sequestro preventivo regolato dal primo comma dello stesso articolo, per la cui legittimità non occorre necessariamente la presenza dei requisiti di applicabilità previsti per il sequestro preventivo “tipico”, essendo sufficiente il presupposto della confiscabilità, con la conseguenza che compito del giudice è quello di verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, tanto nell’ipotesi facoltativa che in quella obbligatoria). Ne consegue che è totalmente destituita di fondamento la dedotta mancanza assoluta di motivazione sulla sussistenza del “periculum” anche di dispersione del profitto ovvero dei beni di valore ad esso equivalente.
5.3.L’argomento relativo alla dedotta sproporzione tra il valore del bene sequestrato (l’abitazione del ricorrente) e l’importo dell’imposta evasa viene utilizzato dal G. esclusivamente quale ulteriore prova dell’effettiva finalità perseguita dal provvedimento (la confisca per sproporzione piuttosto che per equivalente) e dunque della sua inapplicabilità all’ipotesi di reato provvisoriamente contestata. L’argomento vuol provare troppo. Oltre quanto già detto in precedenza, correttamente il Tribunale scinde la legittimità formale del provvedimento genetico dalle sue modalità esecutive, non potendosi consentire che gli organi deputati all’attuazione del provvedimento siano costituiti interpreti autentici della volontà del giudice e della legittimità formale del provvedimento genetico.
5.4.In ogni caso, il Tribunale ha indicato le ragioni della mancanza di prova della dedotta sproporzione tra il valore del bene sequestrato e quello del profitto confiscabile in via diretta o per equivalente, osservando che il ricorrente aveva allegato esclusivamente la differenza tra l’ammontare dell’imposta evasa ed il prezzo di acquisto del bene (€ 350.000,00), maggiorato del costo dei lavori effettuati (€ 70.000,00), ma non aveva dimostrato l’attuale valore di mercato del bene stesso il quale, secondo il Tribunale, ben avrebbe potuto essersi modificato per le più varie contingenze. Non sussiste, dunque, la mancanza assoluta di motivazione che, secondo il ricorrente, vizia il provvedimento impugnato anche “in parte qua”. La motivazione esiste ed è chiara; non solo: il ricorrente non si confronta affatto con la “ratio decidendi” del provvedimento impugnato perché insiste, ancora una volta, sulla dedotta sproporzione tra il profitto confiscabile e il valore del bene sequestrato, sproporzione che desume esclusivamente dal confronto con il costo storico dell’immobile maggiorato delle ulteriori spese, negligendo completamente l’argomento del Tribunale secondo il quale il termine di paragone deve essere costituito dal valore attuale dell’immobile, valore mai indicato dal ricorrente, nemmeno in questa sede.
5.5. Il Tribunale, dunque, fa corretta applicazione dell’insegnamento della Corte di cassazione secondo il quale, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il valore dei beni da sottoporre a vincolo deve essere adeguato e proporzionato al prezzo o al profitto del reato e il giudice, nel compiere tale verifica, deve fare riferimento alle valutazioni di mercato degli stessi, avendo riguardo al momento in cui il sequestro viene disposto (Sez. 3, n. 9146 del 14/10/2015, dep. 2016, Rv. 266453 – 01; Sez. 2, n. 36464 del 21/07/2015, Rv. 265059 – 01; Sez. 6, n. 15807 del 09/01/2014, Rv. 259702 – 01).
6. Anche il quarto, il quinto ed il sesto motivo, comuni per l’oggetto, possono essere esaminati congiuntamente poiché riguardano il “fumus commissi delicti” nella sua duplice dimensione fattuale e giuridica.
6.1. Osserva, al riguardo, il Collegio che tutte le deduzioni difensive oggetto degli ultimi tre motivi di ricorso hanno natura esclusivamente fattuale sia perché, nella ricostruzione della vicenda, si avvalgono dell’inammissibile richiamo a dati estranei al testo del provvedimento impugnato (del quale intendono sovvertire il significato), sia perché (di conseguenza), anche nei loro risvolti giuridici, danno per scontati presupposti di fatto che non possono essere rimessi in discussione in questa sede di legittimità.
6.2. In ogni caso, le deduzioni difensive sono infondate.
6.3.Le plusvalenze ed i proventi imponibili ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. c-quinquies, TUIR sono quelli «realizzati mediante cessione a titolo oneroso ovvero chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale e mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di crediti pecuniari o di strumenti finanziari, nonché quelli realizzati mediante rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto». Essi «sono costituiti dalla differenza positiva tra i corrispettivi percepiti ovvero le somme od il valore normale dei beni rimborsati ed i corrispettivi pagati ovvero le somme corrisposte, aumentate di ogni onere inerente alla loro produzione, con esclusione degli interessi passivi. Dal corrispettivo percepito e dalla somma rimborsata si scomputano i redditi di capitale derivanti dal rapporto ceduto maturati ma non riscossi nonché i redditi di capitale maturati a favore del creditore originario ma non riscossi» (così l’art. 68, comma 9, TUIR, che estende alle plusvalenze e ai proventi in questione le ulteriori disposizioni di cui al comma 7, lett. f, dello stesso articolo, secondo il quale «nei casi di dilazione o rateazione del pagamento del corrispettivo la plusvalenza è determinata con riferimento alla parte del costo o valore di acquisto proporzionalmente corrispondente alle somme percepite nel periodo d’imposta»).
6.4. La tesi difensiva della incertezza del credito acquistato perché sub iudice non considera che: a) le plusvalenze e i proventi di cui all’art. 67, comma 1, lett. c-quinquies, concorrono a formare il reddito della persona fisica o giuridica anche se realizzati mediante rapporti dall’esito incerto (così letteralmente l’ultima parte della norma in questione); b) la lettera f) del comma 1 dell’art. 68 fa espresso riferimento alla materiale percezione della plusvalenza nel periodo di imposta; c) lo stesso comma 9 dell’art. 68 definisce plusvalenze e proventi facendo riferimento ai «corrispettivi percepiti». Tutto ciò ha indotto la dottrina ad affermare che la caratteristica di tali plusvalenze e proventi è l’irrilevanza fiscale di eventuali perdite o minusvalenze.
6.5. Ciò che conta, dunque, ai fini della tassazione delle plusvalenze in questione, è il momento della materiale percezione del corrispettivo ovvero del rimborso, non rilevando eventuali perdite successive.
6.6. E’ un dato di fatto che, a fronte del pagamento della somma di € 25.000,00, avvenuto nel 2014 quale corrispettivo dell’acquisto di un credito (ancorché pro-quota), il ricorrente ha percepito, nel 2015, la somma di € 870.190,24 che ha generato una plusvalenza certa ed immediata pari ad € 845.190,24, la cui tassazione non può essere subordinata ad un evento futuro ed incerto derivante dalla sua contestazione in giudizio (sul fatto che la contestazione del credito non incide né sulla certezza della sua esistenza, né sulla sua determinabilità, cfr. Cass. civ., Sez. 5, n. 17568 del 09/08/2007, Rv. 601265 – 01; Cass. civ., Sez. 5, n. 1431 del 25/01/2006, Rv. 590230 – 01).
6.7. Del resto, l’evidente sproporzione tra il valore nominale del credito acquistato (€ 630.000,00) e la somma materialmente corrisposta dal cessionario (€ 25.000,00) sconta l’alea della definitiva acquisizione del risultato che grava esclusivamente su quest’ultimo, non potendone fare le spese la collettività né mediante la mancata imposizione della plusvalenza, né mediante la deduzione futura delle somme eventualmente da restituire.
6.8. Nè è corretto dedurre l’erronea applicazione dell’art. 4, comma 1-bis, d.lgs. n. 74 del 2000 perché è certo che il ricorrente non ha dichiarato la plusvalenza nemmeno nella dichiarazione annuale relativa all’anno di imposta 2014; sicché è un fuor d’opera evocare l’errore nella determinazione dell’esercizio di competenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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