Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 37321 depositata il 6 settembre 2019
Reati contro il patrimonio – Furto – Condominio negli edifici
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza emessa in data 09/11/2016 dal Tribunale di Palermo in composizione monocratica, con cui F.L. era stata condannata a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, per il reato di cui all’art. 81 c.p., comma 2, art. 624 c.p., art. 625 c.p., n. 2, in (OMISSIS).
2. In data 21/02/2019 F.L. ricorre, a mezzo del difensore di fiducia Avv.to D.C., per violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed lett. e), in riferimento alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 2, alla luce della sentenza della Cassazione n. 4233 del 06/10/2016, secondo cui l’allacciamento abusivo alla rete idrica tramite un cavo integra l’aggravante del mezzo fraudolento e non quello della violenza sulle cose, aspetto su cui la motivazione della sentenza impugnata sarebbe del tutto omessa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
La F. e’ stata ritenuta responsabile di furto di acqua sottratto alla rete pubblica realizzato, come si evince dalla motivazione di entrambe le sentenze di merito, attraverso l’inserimento di una tubatura agganciata, da un lato, alla presa idrica della zona, con effrazione della stessa e, dall’altro, ad altri flessibili connessi con le tubature predisposte a servizio dell’abitazione dell’imputata, benche’ nessun contratto di fornitura risultava essere mai stato stipulato con l’A.M.A.P., ente fornitore.
La sentenza impugnata, a fronte dei motivi di gravame che, tra l’altro, contestavano la sussistenza dell’aggravante della violenza sulle cose, ha specificamente osservato che l’allacciamento abusivo era stato realizzato a mezzo effrazione della rete idrica pubblica o, comunque, mediante l’allentamento delle valvole poste a presidio del rischio di dispersione dell’acqua, in coerenza non solo con le risultanze probatorie, come illustrate in sentenza, ma anche con la giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo cui la circostanza aggravante della violenza sulle cose sussiste ogniqualvolta il soggetto, per commettere il reato, fa uso di energia fisica diretta a vincere, anche solo immutandone la destinazione, la resistenza che la natura o la mano dell’uomo hanno posto a riparo o difesa della cosa altrui (cfr., in tema di furto di acqua da acquedotto comunale, Sez. 5, sentenza n. 53984 del 26/10/2017, Amoroso, Rv. 271889).
Peraltro, la circostanza aggravante del mezzo fraudolento, parimenti contemplata dall’art. 625 c.p., n. 2, sussiste allorquando la condotta, posta in essere nel corso dell’azione delittuosa, sia dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosita’, astuzia, scaltrezza, risultando idonea, quindi, a sorprendere la contraria volonta’ del detentore ed a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilita’ (Sez. U, sentenza n. 40354 del 18/07/22013, Sciuscio, Rv. 255974).
Nel caso in esame la Corte territoriale ha chiaramente e coerentemente individuato la sussistenza della circostanza aggravante della violenza sulle cose, a fronte di una generica contestazione, nel capo di imputazione, della circostanza aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 2, senza alcuna specifica descrizione della condotta, aspetto sul quale, peraltro, la difesa non ha formulato alcuna doglianza, ne’ in sede di gravame ne’ in sede di ricorso per cassazione, essendosi limitata, in detta ultima sede processuale, a contestare la sussistenza della circostanza aggravante del mezzo fraudolento, mai ritenuta in concreto, nel caso di specie, come si evince dalla motivazione di entrambe le sentenze di merito.
Ne discende, pertanto, l’inammissibilita’ del ricorso, con condanna, ex art. 616 c.p.p., della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
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