CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 37346 depositata il 9 settembre 2019
Reati tributari – Omessa presentazione dichiarazione IVA – Rilevanza penale – Reato di evasione fiscale – Dolo specifico
Ritenuto in fatto
B.A. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia in data 20 aprile 2018 di parziale riforma, esclusivamente in punto di trattamento sanzionatorio, essendo stata applicata la diminuente del rito abbreviato, non computata in sede di giudizio di primo grado, della sentenza del Tribunale della medesima città del 19 settembre 2016, di condanna per il reato di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 perché, nella sua qualità di legale rappresentante della società “L.P. SNC DI B.A. & C.”, al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto, non aveva presentato, essendovi obbligato, la dichiarazione relativa a detta imposta per l’anno 2008, per un’imposta evasa ai fini IVA pari complessivamente ad euro 200.000,00, scaturita dalla vendita di un immobile avvenuta il 22 febbraio 2008 per un valore imponibile di euro 2.000,000,00 a favore della società “EDIL.DUE Gl. SRL”.
Con un primo motivo, egli ha lamentato la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla mancata assoluzione dell’imputato dal reato di cui all’art. 5 del d.lgs. cit. attesa la carenza dell’elemento soggettivo. Si è doluto che nell’atto di appello fosse stato dedotto che, per integrare il reato di omessa dichiarazione, sarebbe stato necessario l’elemento del dolo specifico consistente nel fine di evadere le imposte, non assumendo alcuna rilevanza penale quelle condotte il cui fine, pur mettendo in pericolo il bene tutelato, non fosse quello di evadere o far evadere tributi. Sul punto, tuttavia, la Corte avrebbe fondato la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato sulla precedente condanna per il reato di truffa commesso al momento della vendita dell’immobile in discorso; per avere, dunque, un altro giudice, valutato gli atti presenti nel proprio fascicolo e ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato di truffa, sol perciò dovrebbe ritenersi integrato l’elemento soggettivo del reato di evasione fiscale. Quanto alla precedente condanna, si osserva che il B., in data 22 novembre 2007 aveva acquistato, in qualità di legale rappresentante della L.P. snc, degli immobili dal falso sig. B. e che, in data 22 febbraio 2008, gli stessi erano stati venduti da un falso B., sempre per conto della stessa società, a terzi con un atto simulato; accortosi della vendita a lui sconosciuta, il B. aveva presentato denuncia. Ciò posto, poiché il ricorrente non aveva avuto conoscenza della vendita, egli non avrebbe mai potuto emettere la fattura; si aggiunge che, la società L.P. snc” non aveva svolto, in quell’anno, altre operazioni, essendo stata la dichiarazione dei redditi pari ad euro zero.
Il vero B., dunque, non aveva stipulato alcun atto di compravendita attesa la falsa carta di identità presentata al notaio A., in data 22 febbraio 2008, da un soggetto che aveva firmato il contratto al posto del vero B., atto dichiarato poi nullo per carenza dei requisiti di cui all’art. 1325 cod. civ. nonché per un motivo illecito comune ad entrambe le parti.
Con un secondo motivo, ha lamentato la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata assoluzione dell’imputato, stante l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato contestato. Il contratto stipulato sarebbe stato annullato dallo stesso Notaio in data 26 aprile 2011 e, pertanto, lo stesso non avrebbe mai prodotto effetti tra le parti e, di conseguenza, mai avrebbe fatto sorgere operazioni imponibili. Né può ritenersi che la declaratoria di nullità sarebbe intervenuta il 26 aprile 2011, mentre il termine ultimo per la dichiarazione IVA sarebbe stato quello del 29 dicembre 2009, data in cui si sarebbe perfezionato il reato, posto che l’atto sarebbe stato improduttivo degli effetti ab origine e mai, materialmente, avrebbe potuto produrre il passaggio di proprietà dal legittimo proprietario alla società L.P. e dalla stessa alla E. Srl e, quindi, alcuna fattura, né di acquisto, né di vendita, avrebbe dovuto registrare la società L.P. snc, il cui importo, ove registrato, non avrebbe comunque superato la soglia di punibilità prevista dalla norma.
La Corte, inoltre, avrebbe omesso di motivare in ordine alla mancata partecipazione del B. ad un atto prodromico alla truffa ed inoltre nulla avrebbe motivato in ordine al mancato superamento della soglia di punibilità, posto che, qualora il B. avesse presentato la dichiarazione IVA, la stessa sarebbe stata pari a zero; pertanto, o si riteneva che il B. sapesse della truffa, e quindi avrebbe prima dovuto registrare una fattura di vendita e poi una nota di accredito, atteso l’annullamento dell’operazione di compravendita, oppure si sarebbe dovuto ritenere che egli nulla sapesse; in tal caso, inconsapevole ed estraneo all’operazione di rivendita, non avrebbe potuto emettere fattura per un’operazione inesistente e, quindi, essendo la società L.P. s.n.c. inattiva, la dichiarazione IVA per l’anno 2008 sarebbe stata pari ad euro zero.
Con un terzo ed ultimo motivo, ha lamentato l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge per non avere la Corte ritenuto prevalenti le circostanze attenuanti generiche rispetto alla contestata recidiva, attesi i precedenti che graverebbero sull’imputato e l’essere stata accertata la sua piena partecipazione al reato di truffa, nonché alla simulazione della denuncia di reato in atti. Al contrario, si è dedotto che il B. sarebbe incensurato e l’unico precedente a suo carico sarebbe la truffa relativa alla compravendita degli immobili avvenuta nell’anno 2008, da cui avrebbe tratto origine l’odierna contestazione. Ciò posto, si contesta altresì la sussistenza della recidiva, in quanto i medesimi fatti, che hanno dato origine ai due procedimenti penali (quello definitivo con la sentenza n. 5760 del 10 maggio 2013 del Tribunale di Milano, confermata dalla sentenza n. 2611 del 1 aprile 2014 e quello attuale), sarebbero avvenuti nel medesimo momento, ovvero quando ebbe a concludersi la compravendita del 22 febbraio 2008.
Considerato in diritto
Il ricorso non è meritevole di accoglimento e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato.
Osserva, infatti, il Collegio, quanto al primo motivo di ricorso, che esso è infondato.
Il ricorrente, infatti, contesta la logicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte bresciana ha ritenuto sussistere l’elemento soggettivo del reato a lui contestato – si tratta, infatti, della ritenuta violazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere, secondo la prospettazione accusatoria, il B., in qualità di legale rappresentante della L.P. Snc, omesso di presentare, al fine di evadere la predetta imposta, la dichiarazione Iva relativamente all’anno di imposta 2008, sebbene vi fosse tenuto in ragione dell’avvenuta cessione operata da tale società di un immobile, per un controvalore imponibile di euro 2.000.000,00 – sulla base di elementi, a suo avviso, non significativi.
Rileva sul punto la Corte che, sebbene il reato contestato al prevenuto sia caratterizzato dalla presenza, quale elemento soggettivo del medesimo, del dolo specifico, essendo necessario che l’agente abbia operato, al fine di evadere le imposte, siffatta condizione è desumibile anche sulla sola base del fatto che vi fosse da parte del soggetto tenuto alla dichiarazione dei redditi la consapevolezza dell’ammontare della imposta dovuta (Corte di cassazione Sezione III penale, 6 maggio 2016, n. 18936).
Nel caso di specie la Corte di appello, preso atto della intervenuta definitività della sentenza con la quale è stata accertata l’avvenuta cessione da parte del B. di un immobile in data 22 febbraio 2008, ha rilevato che questi, avendo conseguito il prezzo di tale cessione, prezzo comprensivo della imposta sul valore aggiunto che doveva essere calcolata sull’importo di tale affare, ben era consapevole sia della doverosità della dichiarazione che dell’entità della imposta che, nella qualità di legale rappresentante della impresa cedente e percipiente la somma di danaro di cui sopra, egli avrebbe dovuto pagare.
Non può, pertanto, darsi credito, proprio sulla scorta della sopra richiamata giurisprudenza, alla tesi che il prevenuto non abbia agito al fine di evadere le imposte dovute.
Quanto al secondo motivo, con il quale si dubita della logicità della motivazione della sentenza impugnata in relazione alla affermata sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, posto che il contratto di compravendita di cui sopra sarebbe stato affetto da nullità radicale ed originaria, osserva la Corte che anche questo motivo non ha fondamento.
Invero, per quanto risulta dallo stesso atto impugnatorio, il contratto di compravendita immobiliare da cui è scaturito l’obbligo dichiarativo negletto dal ricorrente è intervenuto in data 22 febbraio 2008, sicché il B. sarebbe stato tenuto a presentare, al più tardi in data 29 settembre 2009, la relativa dichiarazione fiscale, mentre il preteso annullamento dell’atto, sulle cui effettive modalità di realizzazione il contenuto del ricorso del B. è, peraltro, quanto meno oscuro, facendo esso riferimento ad un non ben chiarito atto compiuto dal medesimo notaio che aveva rogato l’atto originario con il quale sarebbe stata affermata la nullità di quest’ultimo, atto intervenuto in data 26 aprile 2011, quando cioè il reato contestato già si era abbondantemente consumato, senza che il prevenuto abbia mai compiuto alcuno degli adempimenti che, in una fattispecie di operazione commerciale radicalmente viziata, consentono il recupero delle imposte da quella derivanti e nel frattempo doverosamente già versate.
Con riferimento, infine, al terzo motivo di impugnazione, con il quale è stato dedotto il vizio di violazione di legge e di motivazione in ordine al giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche, ritenute in sede di merito equivalenti e non prevalenti sulla contestata recidiva, si rileva che sul punto, premessa la ampia discrezionalità spettante al giudicante in relazione alla valutazione di cui all’art. 69 cod. pen., non è ravvisabile alcun vizio di violazione di legge, avendo la Corte distrettuale proceduto alla ponderazione fra aggravante ed attenuante secondo i puntuali termini della previsione legislativa regolante la materia, giungendo ad un pienamente legittimo giudizio di equivalenza.
Quanto alla pretesa mancanza o manifesta illogicità della motivazione di tale giudizio, essa, ribadita la discrezionalità che sul punto spetta ai giudici di merito, sindacabile in questa sede nel solo caso di manifesta ed arbitraria illogicità, osserva il Collegio che i giudici gardesani hanno considerato, in termini di condivisibile plausibilità, ostativa ad una valutazione di prevalenza delle attenuanti sulla aggravante inerente alla persona del reo, il fattore connesso alla sua pregnante partecipazione alle precedenti fasi della articolata condotta delittuosa, tali da evidenziare una non indifferente spregiudicatezza criminale, non meritevole, pertanto, di un trattamento sanzionatorio più blando – ove si eccettui la automatica e non precedentemente applicata diminuzione di pena derivante dalla scelta del rito (ingiustificatamente negata dal giudice di primo grado) – di quello già inflitto a carico del prevenuto.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e l’imputato va condannato, pertanto, visto l’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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