CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 37348 depositata il 9 settembre 2019
Reati tributari – Mancata esibizione di scritture contabili obbligatorie – Comportamento collaborativo per la ricostruzione del reddito e del volume d’affari – Irrilevanza – Documentazione non custodita presso la sede della società – Condotta di occultamento – Rilevanza penale
Ritenuto in fatto
V.M.G. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 25 gennaio 2018 di conferma della sentenza del Tribunale di Pistoia del 10 luglio 2015 di condanna per il reato di cui all’art. 10 del D. Lgs. n. 74 del 2000 perché, al fine di evadere le imposte, occultava le scritture contabili della società S.M. s.r.l., di cui era legale rappresentante.
Con un primo motivo, ha lamentato la mancanza, la contraddittorietà e la illogicità della motivazione posto che sarebbe emersa, durante la fase di istruttoria dibattimentale, la sola condotta dell’omessa esibizione delle scritture contabili obbligatorie, non sanzionata penalmente, e non il loro occultamento. Nella specie, l’omessa esibizione di parte della documentazione richiesta sarebbe stata accompagnata da un comportamento collaborativo e propositivo dell’imputata che, al fine di contribuire ad una ricostruzione completa del volume di affari dell’azienda, avrebbe chiarito la questione della sede legale della società, spiegando come di fatto i tre punti vendita presenti a Forte dei Marmi, Lucca e Viareggio costituissero le sedi operative della stessa. Si deduce, inoltre, che la V. avrebbe presentato il bilancio 2008, il cui contenuto sarebbe stato sostanzialmente conforme al reddito di impresa e al volume d’affari induttivamente accertati dall’Agenzia delle Entrate e che avrebbe prontamente messo in contatto la funzionaria dell’Agenzia delle Entrate con il commercialista della società, il Dott. P., il quale avrebbe confermato il trasferimento della documentazione contabile nel nuovo punto vendita di Lucca; si deduce, dunque, che, durante il trasferimento da una sede all’altra, parte della documentazione della S.M. s.r.l. sarebbe andata persa. In quell’occasione, sarebbe stato esibito il bilancio relativo all’anno di imposta 2008, il registro dei beni immobili ammortizzabili, il registro corrispettivi ed il registro IVA corrispettivi e riepilogativi dei singoli tre punti vendita, nonché la documentazione relativa ai costi lavoro e a quella relativa ai costi per l’affitto dei locali. Sicché la mancata esibizione non era stata accompagnata da risposte reticenti o fuorvianti, quale ulteriore elemento indicativo della volontà di non occultare alcunché. In sostanza la Corte, in luogo di motivare perché la mancata esibizione sarebbe stata sintomatica della volontà di occultamento, avrebbe equiparato la mancata esibizione della documentazione all’occultamento della stessa, specificando che la mancata esibizione della documentazione richiesta non sarebbe altro che prova della volontà di occultarla, atteso che l’imputata, diversamente, l’avrebbe esibita.
Con un secondo ed ultimo motivo, ha lamentato l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo. La Corte avrebbe ritenuto che la finalità elusiva della condotta dell’imputata emergerebbe dalla testimonianza del P., il quale, da un lato, avrebbe dichiarato che l’utile induttivamente ricostruito dall’Agenzia delle Entrate sia stato eccessivo (180.000,00) perché superiore a quello che la società solitamente dichiarava e, dall’altro, che sarebbe stato comunque possibile accertare un utile superiore di euro 20.000,00 rispetto a quello dichiarato; inoltre, il P. avrebbe anche dichiarato che, attraverso la documentazione presentata dalla V., sarebbe stato sicuramente possibile ricostruire il volume di affari della società; sul punto la Corte avrebbe omesso di considerare che, laddove vi fosse stata una reale volontà elusiva, sicuramente si sarebbe provveduto a nascondere i documenti comprovanti il volume degli affari di tutti i punti vendita; al contrario, la V. avrebbe collaborato per la ricostruzione del reale volume di affari ed avrebbe presentato tutta la documentazione in suo possesso, utile a calcolare il reddito di imposta. Ciò posto, il comportamento fattivo della ricorrente e la documentazione presentata avrebbero consentito la ricostruzione del reddito di imposta, sì che i documenti mancanti non avrebbero impedito all’Agenzia delle Entrate di svolgere le opportune valutazioni.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato.
La sentenza impugnata, infatti, ben chiarisce come alla prevenuta non sia stata imputata la mera condotta riguardante la mancata esibizione delle scritture contabili delle quali è obbligatorio tenere gli esemplari, ma le è stata contestata e plausibilmente ritenuta accertata la condotta consistente nell’occultamento di tale documentazione.
Infatti la Corte territoriale ha rilevato che siffatte scritture non erano custodite presso la sede della Società rappresentata dalla imputata, sede peraltro del tutto fittizia, né le medesime erano custodite presso il commercialista che curava gli interessi fiscali della V., né, infine, e questo appare il dato più significativo ai fini del decidere, mai la V. ha indicato un diverso luogo ove siffatta documentazione era stata trasferita ed era, pertanto, custodita, in ciò evidenziando non solo la sua volontà di non esibirla all’esame dei verificatori, ma anche quello di sottrarla, attraverso il suo trasferimento in luogo ignoto rispetto ai luoghi ove la stessa ordinariamente deve essere tenuta, all’esame di costoro.
Ed è proprio attraverso tale trasferimento in luogo non dichiarato che si è realizzato l’occultamento della documentazione in questione.
Quanto al secondo motivo di impugnazione, riferito alla insussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dall’art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, come desumibile dall’atteggiamento collaborativo tenuto dalla ricorrente, la quale avrebbe fattivamente collaborato con gli accertatori, ponendo a loro disposizione la documentazione dalla medesima detenuta, osserva il Collegio che, essendo pacifica la circostanza che la documentazione di cui parla la ricorrente non è tale da esaurire il compendio delle scritture contabili che la stessa era tenuta a custodire e che, invece, ha consapevolmente nella sua integralità tenuto celata ai verificatori, la circostanza che, in ogni caso, costoro siano riusciti comunque a ricostruire la situazione reddituale dell’imputata è fattore irrilevante ai fini della realizzazione del reato.
Esso, infatti, è da considerare integrato in tutti i suoi elementi anche nella ipotesi in cui sia stato possibile egualmente ricostruire le operazioni compiute dal contribuente, posto che il legislatore ha inteso sanzionare anche il solo comportamento che abbia reso, sebbene non impossibile, anche soltanto più difficoltosa l’attività di verifica fiscale a causa dell’avvenuta distruzione ovvero occultamento delle scritture contabili obbligatorie (Corte di cassazione, Sezione III penale, 19 maggio 2016, n. 20748).
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Al proposito osserva il Collegio che l’avvenuta costituzione del rapporto processuale non è comunque tale da comportare la dichiarazione di prescrizione del reato contestato, sebbene questo risulti essere stato commesso il 2 agosto del 2011, data di chiusura del processo verbale di constatazione redatto a carico della V., posto che il decorso del relativo termine, ordinariamente di anni 7 e mesi 6, stante la presenza di elementi interruttivi di esso, non risulta essere ad oggi integralmente consumato, atteso che lo stesso deve intendersi essere stato sospeso, dal 25 maggio 2015 al 10 luglio 2015, per effetto del rinvio della trattazione del processo disposto dal Tribunale di Pistoia a richiesta della difesa della ricorrente.
Da tanto consegue che l’ordinario termine prescrizionale, che sarebbe spirato in data 2 febbraio 2019, per effetto della detta sospensione, pari a giorni 46, andrebbe a scadere solo in data 20 marzo 2019, cioè in un momento successivo alla celebrazione dell’attuale giudizio.
Al rigetto del ricorso segue, visto l’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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