CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 38422 depositata il 9 agosto 2018
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli con ordinanza dell’8/2/2018 applicava nei confronti di MC, direttore amministrativo preposto all’Ufficio affari civili e corpi di reato dello stesso tribunale, la misura cautelare interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio, per la durata di un anno, in relazione al delitto di cui agli artt. 81 comma 2, 61 n. 9) e 640 comma 2 n. 2 cod. pen., per aver rappresentato ad un numero indeterminato di utenti la necessità di fornire valori bollati in misura superiore rispetto al dovuto, con riferimento a singoli atti concernenti l’ufficio al quale era preposto, poi utilizzando i soli valori bollati realmente necessari, appropriandosi di quelli in eccesso. Il Giudice per le indagini preliminari negava, invece, l’applicazione della misura cautelare anche in relazione al delitto di cui agli artt. 81 comma 2, 61 n. 9) e 648 ter.1 comma 1 cod. pen. ritenendo che l’attività di rivendita di valori bollati fraudolentemente ottenuti, attribuita al MC, non potesse essere ricondotta alla fattispecie contestata stante l’assenza dei requisiti del concreto effetto dissimulatorio e dell’apparato organizzativo destinato allo scopo, difettando anche il fine specifico dell’agente di occultare l’origine illecita dei proventi da delitto.
2. Decidendo sull’appello proposto dal pubblico ministero, Il Tribunale del riesame di Roma con ordinanza del 27/3/2018 ha riconosciuto che la monetizzazione dei valori bollati integrava una condotta di impiego del bene provento da delitto idonea a dissimularne la provenienza illecita, ma ha rilevato essere indimostrato l’ulteriore requisito della condotta costituito dall’impiego del bene provento da reato in un’attività economica lecita, indicato nell’ordinanza come richiesto dalla norma incriminatrice sul presupposto che la norma predetta abbia imposto un “divieto di circolazione nel circuito economico legale di mezzi di provenienza illecita in forme che ne ostacolino la tracciabilità della fonte”, finalizzato ad evitare la reimmissione di proventi illeciti nel circuito dell’economia legale. Conseguentemente, il Tribunale ha rigettato l’appello proposto.
3. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Tivoli, deducendo la violazione di legge con riferimento all’interpretazione dell’art. 648 ter 1 cod. pen. fornita dal Tribunale del riesame laddove ne ha escluso l’applicabilità qualora le attività economiche poste in essere dall’autore siano a loro volta illecite. 4. Con memoria difensiva depositata il 19/6/2018 la difesa dell’indagato ha dedotto la mancanza di fondamento del ricorso, sul rilievo che solo nel reimpiego in “attività economica lecita” potrebbe rinvenirsi l’ulteriore disvalore rispetto a quello del reato presupposto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e va accolto, non potendosi condividere l’interpretazione fornita dal tribunale del riesame all’ambito di applicazione dell’art. 648 ter 1 cod. pen., come limitato al reimpiego del bene provento di reato in attività economica lecita.
2. Questa Corte ha già avuto modo di ricordare che la norma sull’autoriciclaggio punisce quelle attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni od altre utilità commesse dallo stesso autore del delitto presupposto che abbiano la caratteristica specifica di essere idonee ad “ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. Il legislatore richiede, pertanto, che la condotta sia dotata di particolare capacità dissimulatoria, sia cioè idonea a fare ritenere che l’autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto effettuare un impiego di qualsiasi tipo ma sempre finalizzato ad occultare l’origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto (Sez. 2, n. 33074 del 14/07/2016, Rv. 267459) ipotesi questa non ravvisabile, invece, quando l’autore del delitto si limiti a goderne il profitto.
La norma sull’autoriciclaggio, infatti, nasce dalla necessità di evitare le operazioni di sostituzione ad opera dell’autore del delitto presupposto e tuttavia il legislatore, raccogliendo le sollecitazioni provenienti dalla dottrina, secondo cui le attività dirette all’investimento dei profitti operate dall’autore del delitto contro il patrimonio costituiscono post factum non punibilf, ha limitato la rilevanza penale delle condotte ai soli casi di sostituzione che avvengano attraverso la re-immissione nel circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale del denaro o dei beni di provenienza illecita finalizzate appunto ad ottenere un concreto effetto dissimulatorio, che costituisce quel quid pluris che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di nascondimento del profitto illecito (e perciò punibile) (Sez. 2, n. 33074 del 14/07/2016, cit.).
Non può condividersi, pertanto, l’assunto difensivo secondo cui la vendita del bene conseguito con la truffa presupposta sarebbe “l’unico modo per acquisire il profitto necessario” ad integrare il reato, né quello di cui al provvedimento impugnato, secondo cui limitare l’ambito di applicazione della norma incriminatrice all’impiego del provento di reato in attività economica lecita sarebbe necessario al fine di evitare che il reato costituisca una duplicazione sanzionatoria: nella prospettazione accusatoria disattesa dal tribunale del riesame, infatti, il profitto del reato di truffa viene acquisito dall’autore del reato già con l’apprensione del bene, sicché la reimmissione nel mercato dei valori bollati fraudolentemente ottenuti integra necessariamente un quid plurís rispetto al reato presupposto, già consumato, e la dissimulazione della provenienza dei beni costituisce l’ulteriore disvalore – rispetto al reato presupposto – della condotta di reimmessione nel mercato degli stessi.
Anche in tema impiego di denaro, beni ed altre utilità di provenienza illecita, di cui all’art. 648-ter cod. pen., questa Corte ha già avuto modo di rilevare che la nozione di attività economica o finanziaria è desumibile dagli artt. 2082, 2135 e 2195 cod. civ. e fa riferimento non solo all’attività produttiva in senso stretto, ossia a quella diretta a creare nuovi beni o servizi, ma anche a quella di scambio e di distribuzione dei beni nel mercato del consumo, nonché ad ogni altra attività che possa rientrare in una di quelle elencate nelle menzionate norme del codice civile (Sez. 2, n. 33076 del 14/07/2016, Rv. 267693), e questi sono i parametri da utilizzare anche per valutare la configurabilità del delitto di cui all’art. 648 ter 1 2 cod. pen. che, infatti, fa anch’esso riferimento alle medesime nozioni di attività economica o finanziaria.
L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata, con rinvio al Tribunale del riesame per una nuova valutazione della gravità degli indizi di colpevolezza del MC in ordine al reato di auto riciclaggio, che andrà effettuata non già con riferimento alla liceità o meno dell’attività di reimpiego dei valori bollati, bensì sulla base del numero delle operazioni realizzate, della loro ripetitività, e degli altri parametri evidenziati dagli artt. 2082, 2135 e 2195 cod. civ.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame, con integrale trasmissione degli atti, al Tribunale di Roma (sezione per il riesame delle misure coercitive).
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