Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 38467 depositata il 17 settembre 2019
Pena pecuniaria – Evasore insolvente – Non sussiste
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 20.2.2015 la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza in data 27.6.2012 del Tribunale di Roma che aveva condannato S.L. alle pene di legge per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter (così riqualificato il fatto), perché, in qualità di legale rappresentante della Centro Auto 996 S.r.l., non aveva versato l’IVA per l’anno 2006 entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo per l’ammontare di Euro 1.344.066,00, accertato in (omissis).
2. Con il primo motivo di ricorso l’imputato deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), con riferimento all’eccezione d’incompetenza territoriale. La Corte d’appello aveva condiviso il giudizio di primo grado che aveva dichiarato inammissibile l’eccezione, perché sollevata non in limine litis, ma nel corso dell’istruzione dibattimentale. Lamenta che non aveva tenuto conto del fatto che, in primo grado, vi era stata la rinnovazione del dibattimento a seguito della sostituzione del Giudice. Sostiene che non v’erano dubbi sulla fondatezza dell’eccezione perché la sede legale della società era fittizia siccome l’imputato deteneva la contabilità a casa sua a (omissis).
Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c), ed e), in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter e art. 192 c.p.p.. Lamenta che i Giudici non avevano tenuto conto che la violazione riguardava l’anno 2006 e che l’art. 10-ter era entrato in vigore il 4 luglio dello stesso anno. Deduce il difetto di motivazione sull’elemento psicologico.
Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, artt. 43 e 45 c.p., nonché art. 192 c.p.p., perché era stata omessa la motivazione sulla crisi di liquidità come causa di forza maggiore.
Con il quarto motivo lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, art. 62-bis c.p. e art. 192 c.p.p.. La crisi di liquidità e la carenza dell’elemento psicologico avrebbero dovuto costituire dei fattori sufficienti al riconoscimento delle attenuanti generiche.
Con il quinto motivo eccepisce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 53. La Corte territoriale ignorava la costante giurisprudenza secondo cui la sostituzione della pena era perfettamente compatibile con la pena sospesa e con l’indulto. Eccepisce la prescrizione del reato accertato il 26.1.2008.
Presenta una memoria in cui ripete i motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato perché ripropone censure già adeguatamente vagliate e disattese dalla Corte territoriale.
In ordine al primo motivo di censura, è pacifico che, in caso di rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice, non è tardiva l’eccezione di incompetenza territoriale ritualmente formulata dinanzi al primo giudice e riproposta in sede di discussione, in quanto la regressione del procedimento conseguente alla rinnovazione del dibattimento fa pienamente salva l’efficacia degli atti introduttivi al medesimo (Cass., Sez. 1, n. 36032 del 05/07/2018, Conti, Rv. 274382). Sennonché, nella specie, l’eccezione d’incompetenza territoriale è stata sollevata nel corso dell’istruttoria dibattimentale innanzi al secondo Giudice ed è stata quindi correttamente respinta perché tardiva. Né vale sostenere in senso contrario, come nell’atto d’appello, che i motivi dell’eccezione si sono resi palesi o sono insorti a seguito dell’istruzione dibattimentale, circostanza smentita dalla stessa deduzione relativa alla sede in cui si trovavano le scritture contabili e comunque del tutto irrilevante ai fini che qui interessano. Ed invero, l’incompetenza territoriale deve essere dedotta, ai sensi dell’art. 491 c.p.p., subito dopo l’accertamento, per la prima volta, della regolare costituzione delle parti, indipendentemente dal momento in cui essa diviene effettivamente deducibile. Tale limitazione pertanto rimane ferma anche nel caso in cui, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, emerga la diversità del fatto, con conseguente applicazione dell’art. 516 c.p.p., che, non comportando regressione del procedimento, non elimina la preclusione sopra indicata (Cass., Sez. 5, n. 14696 del 05/11/1999, Braga, Rv. 215190).
La seconda doglianza è suggestiva. In realtà, il reato si consuma con l’omesso versamento dovuto in base alla dichiarazione annuale entro il 27 dicembre successivo al periodo d’imposta in esame. Pertanto, per l’annualità 2006, il reato si è consumato nel 2007 sotto il vigore dell’art. 10-ter contestato (Cass., Sez. 3, n. 38619 del 14/10/2010, Mazzieri, Rv 248626). Nello specifico, i Giudici di merito hanno accertato che l’imputato, il quale acquistava autovetture prevalentemente dalla Germania per rivenderle alle concessionarie d’auto italiane, non aveva versato l’IVA indicata nella dichiarazione annuale 2006, superando la soglia di punibilità.
Il terzo e quarto motivo attengono alla crisi di liquidità sotto il profilo della carenza dell’elemento psicologico e comunque sotto il profilo del diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Con motivazione non manifestamente illogica o irrazionale la Corte territoriale ha osservato che non erano invocabili difficoltà finanziarie della società, che, va aggiunto, non sono state compiutamente rappresentate né nei motivi d’appello né nel ricorso per cassazione, perché le somme incassate a titolo di IVA non erano della società, bensì dell’Erario, e quindi non destinabili ad altri fini. Ha inoltre condiviso la decisione del primo Giudice di negare le circostanze attenuanti generiche in considerazione dell’elevato ammontare dell’imposta evasa.
In ordine al quinto motivo, è ben vero che la pena detentiva sostituita dalla pena pecuniaria è compatibile sia con la sospensione condizionale della pena che con l’indulto (Cass., Sez. 2, n. 23346 del 03/05/2016, Ndiaye, Rv. 266910 e Sez. 7, n. 37402 del 30/06/2016, Antonazzo, Rv. 267951), ma il Giudice di primo grado ha osservato che l’imputato era insolvente e quindi non meritevole della conversione, mentre il Giudice di secondo grado ha aggiunto che la sostituzione avrebbe vanificato l’effetto deterrente della sospensione condizionale. La motivazione è in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui il giudice valuta anche l’eventuale inefficacia della sanzione (Cass., Sez. 5, n. 10941 del 26/06/2011, Orabona, Rv. 249717).
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Motivazione semplificata.
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