Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 38593 depositata il 13 agosto 2018
RITENUTO IN FATTO
1.Il sig. DA ricorre per l’annullamento della sentenza del 06/04/2017 della Corte di appello di Milano che, decidendo sull’impugnazione del Procuratore generale avverso la pronuncia assolutoria del 03/06/2015 del Tribunale di quello stesso capoluogo ed in riforma della stessa, lo ha dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 (omesso versamento della somma di 1.026.838 euro dovuta a titolo di imposta sul valore aggiunto per l’anno 2010) e lo ha condannato alla pena (principale) di quattro mesi di reclusione, oltre pene accessorie.
1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la violazione del canone di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio e la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Deduce, al riguardo, che la sentenza di assoluzione era stata pronunciata all’esito di un’articolata istruttoria che aveva comportato l’audizione di numerosi testimoni (uno del pubblico ministero e sei della difesa) e l’acquisizione di ampie produzioni documentali. Il Tribunale, in coerenza con il contenuto delle prove assunte, si è convinto che l’omesso versamento, oggettivamente incontrovertibile, era dovuto ad una grave crisi di liquidità dovuta a circostanze eccezionali ed imprevedibili legate alla crisi del mercato immobiliare, una situazione improvvisa cui l’imputato non aveva potuto porre rimedio benché avesse cercato di farlo. Orbene, prosegue, la Corte di appello aveva due alternative, tra loro inconciliabili: credere ai testimoni (e di conseguenza confermare l’assoluzione), oppure metterne in discussione la credibilità. In quest’ultimo caso, il giudice dell’impugnazione aveva il dovere di rinnovare l’istruttoria dibattimentale uniformandosi all’insegnamento di Sez. U, n. 27620 del 06/07/2016, Dasgupta. Ed invece, la Corte territoriale, pur accettando come veritiere le testimonianze e non sottoponendole a critiche di sorta, ne ha paradossalmente tratto conclusioni opposte a quelle del primo Giudice, sostanzialmente travisando le prove stesse e valorizzandole “a contrario”, sì da creare una ingiusta cesura tra “verità reale” e “verità processuale”.
1.2.Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione sul tema della forza maggiore. Deduce che la Corte di appello, pur riconoscendo che una grave crisi economica aveva attanagliato il mercato immobiliare sin dall’anno 2007 e aveva travolto la società «G. S.r.l.» costringendola a vendere l’unico terreno di sua proprietà al fine di estinguere l’ipoteca che vi gravava, non ne ha tratto le coerenti conclusioni circa la sussistenza dell’omissione dovuta a causa di forza maggiore. Come ampiamente ricostruito in dibattimento, dalla vendita dell’unico immobile di sua proprietà, del quale non riusciva più a sopportare i costi, la società da lui rappresentata non aveva tratto alcun utile. La società acquirente «Montennare S.r.l.», infatti, aveva pagato il terreno il 09/11/2010, lo stesso giorno furono pagati i tredici appartamenti che la «G. S.r.l.» si era intestata, il 10/11/2010 fu estinta l’ipoteca della Banca Cividage del Friuli. Esaurita l’operazione, la società aveva successivamente provveduto alla rateizzazione del debito erariale in quattro anni, iniziando a pagare le prime rate. Erra, pertanto, chi vuole anticipare al mese di novembre dell’anno 2010 il tempo del commesso reato, ancor più se si considera che la società aveva avuto la disponibilità solo formale dei proventi della vendita del terreno. E in ogni caso, in quel periodo l’imputato non aveva alcun margine di scelta, pena il fallimento della società da lui legalmente rappresentata. La decisione della Corte di appello, dunque, si pone in contraddizione sia con le premesse fattuali del suo ragionamento, ma anche con il riconoscimento che la crisi del settore immobiliare non era ascrivibile all’imputato.
1.3.Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione sul tema del dolo. Deduce, al riguardo, che gli esiti dell’istruttoria avrebbero consentito conclusioni opposte a quelle ritenute dalla Corte territoriale in punto di volontarietà dell’omissione, volontarietà che i Giudici distrettuali ritengono provata dalla richiesta di rateizzazione del debito erariale (che, invece, secondo il ricorrente, dimostra l’esatto contrario) e dal mancato esperimento di tutte le possibili azioni volte a reperire risorse utili quali, ad esempio, il ricorso al credito bancario nella massima misura possibile ovvero l’intraprendenza di operazioni anche sfavorevoli al proprio patrimonio personale. Sennonché, afferma, è noto che il ceto bancario non avrebbe mai erogato credito ad un soggetto in grave crisi economico-finanziaria, men che meno per pagare VIVA. Quanto alle operazioni sfavorevoli, ribadisce che la vendita dell’immobile era l’unica via possibile per evitare il fallimento tant’è vero che si inseriva in un piano di risanamento certificato ai sensi dell’art. 67, lett. d), R.d. n. 267 del 1942. L’operazione “Montennare” era “necessitata e vincolata” dal piano certificato, non vi erano altre strade possibili anche perché concordata con i creditori istituzionali. Sul tema, prosegue, la Corte di appello ha travisato le prove. Inoltre, conclude, poiché il dolo del reato è specifico, non si può affermare che l’omissione fosse sorretta dalla volontà di evadere l’imposta.
1.4.Con il quarto motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata e da altri atti specificamente indicati. Richiamando gli argomenti già illustrati con il terzo motivo, deduce che le testimonianze assunte in primo grado dimostrano che l’unica operazione sfavorevole possibile era quella effettuata con la società «Montemare S.r.l.», altre non ve n’erano, né la Corte di appello indica quali sarebbero state possibili, a meno di ritenere l’imputato costretto ad una sorta di “probatio diabolica” sul punto. Del resto, prosegue, nella situazione di conclamata e non contestata grave crisi, le condizioni contrattuali proposte dalla società acquirente, unica interessata all’operazione, non erano sostanzialmente negoziabili. Ciò nonostante, la Corte di appello, travisando completamente le prove assunte, sostiene che non è stata fornita la prova che l’operazione di compravendita fosse l’unica e la migliore possibile, considerato che la società «G. S.r.l.», a titolo di corrispettivo della vendita, si era dovuta comunque intestare una serie di appartamenti. Lo sfavorevole giudizio sull’operazione presuppone, di fatto, un altrettanto implicito sfavorevole giudizio sulla attendibilità dei testimoni che hanno affermato l’esatto contrario. Tale argomento si coniuga con quello oggetto del primo motivo: partendo da premesse esatte, la Corte di appello giunge a conclusioni errate che si fondano sul travisamento delle prove e sul sostanziale giudizio di inattendibilità di quelle testimoniali.
1.5.Con il quinto motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione in ordine al tema della inesigibilità soggettiva della condotta. Per escludere l’inesigibilità della condotta, la Corte di appello ha sostenuto che la società «G. S.r.l.» si era autofinanziata mediante l’omissione del pagamento dei tributi e la successiva richiesta di rateizzazione. L’IVA, secondo i Giudici territoriali, avrebbe dovuto essere contabilizzata come costo complessivo dell’operazione al fine di valutarne l’opportunità. In realtà, sostiene il ricorrente, non vi era alcuna intenzione di autofinanziare la società perché ben sapeva che il termine per il pagamento dell’IVA sarebbe scaduto l’anno successivo. Il persistere della crisi generale del settore e dei problemi finanziari della società hanno impedito il pagamento del debito. Al di là di improbabili operazioni di natura diversa (la cui individuazione e sostenibilità, semmai, sarebbe stato compito del pubblico ministero dimostrare), l’unico dato certo è che grazie all’operazione di vendita del terreno la società «G. S.r.l.» non è fallita ed è stata in grado di onorare, almeno fino alla sentenza di primo grado, il debito tributario. In conclusione, una diversa condotta non era soggettivamente esigibile.
1.6.Con il sesto motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta irrilevanza della rateizzazione del debito tributario ai fini del riconoscimento della responsabilità penale. Deduce che la Corte di appello, con motivazione del tutto apparente, ha escluso la rilevanza, ai fini della conferma della assoluzione, della rateizzazione del debito concessa da Equitalia. La rateizzazione, fondata sull’accertato presupposto della grave difficoltà della società e della holding di appartenenza, ben poteva vanificare, con effetto “ex tunc”, il disvalore penale del fatto, essendo tale disvalore solo apparente e non concreto.
1.7.Con il settimo motivo eccepisce la totale mancanza di motivazione in ordine alla possibile applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131- bis cod. pen.
1.8.Con l’ottavo motivo, lamentando la mancata riduzione della pena nella misura di un terzo, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza di motivazione sulla richiesta di giudizio abbreviato condizionato effettuata dalla difesa in primo grado e rigettata dal Tribunale con ordinanza del 07/01/2015.
2. il 04/01/2018 il ricorrente ha depositato un motivo nuovo di ricorso con il quale, eccependo, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e/o la manifesta illogicità della motivazione e il travisamento della prova, illustra, a sostegno degli argomenti trattati con i primi sei motivi di ricorso, il contenuto delle prove testimoniali a discarico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. il ricorso è infondato.
4.L’imputato risponde del reato di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, perché, nella sua qualità di legale rappresentante della società «G. S.r.l. Unipersonale», non aveva versato, nel termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta per l’anno 2010 per un ammontare dichiarato di 1.026.838 euro.
4.1.Dalla lettura della sentenza del Tribunale risulta che il debito erariale era sorto in conseguenza di un’operazione immobiliare conclusa, dopo circa un anno di trattative, nel mese di ottobre dell’anno 2010; l’operazione si era resa necessaria per estinguere l’ipoteca gravante su un terreno a destinazione mista, residenziale, commerciale e direzionale, posto in vendita dalla «G. S.r.l.» che non poteva più sostenerne i costi. L’operazione, posta in essere con due distinti rogiti notarili, era consistita, in particolare, nella vendita del terreno alla società «MC S.r.l.» per la somma complessiva di 6.120.000 euro (primo rogito) e nella contestuale vendita, da parte di quest’ultima alla «G. S.r.l.», di alcuni appartamenti per l’importo complessivo di 1.835.000 euro (secondo rogito). Con il netto residuo, la «G. S.r.l.» aveva potuto estinguere il debito nei confronti della Banca di Cividade e cancellare l’ipoteca gravante sul terreno venduto. La società «Montennare Costruzioni s.r.l.», considerata la crisi del settore, era stata l’unica a proporsi quale interessata all’acquisto e a dettarne le condizioni che tutto sommato non si erano rivelate svantaggiose perché avevano consentito l’estinzione del debito con la banca e la cancellazione dell’ipoteca. La destinazione della somma al soddisfacimento integrale del credito bancario aveva privato la società della liquidità necessaria al pagamento del debito erariale. La «F. S.», società capogruppo cui apparteneva la «G. aveva di conseguenza avviato un piano di ristrutturazione presso le banche, asseverato ai sensi dell’art. 67, comma terzo, lett. d), R.D. n. 267 del 1942, che prevedeva la rateizzazione non solo del debito IVA della «G. S.r.l.» ma di tutti gli altri debiti erariali delle società del gruppo. Da questi presupposti fattuali, il Tribunale, dato atto che la «Gadafinn S.r.l.» si era trovata in una situazione di grave crisi di liquidità sin dalla seconda metà dell’anno 2007, ha tratto argomento per sostenere che l’omissione era stata determinata da un’improvvisa e grave crisi di liquidità che le aveva impedito, nella sostanza, di versare l’imposta sul valore aggiunto maturata per l’anno di imposta 2010, collegata alle due operazioni immobiliari sopra descritte. Di qui l’assoluzione dell’imputato con la formula «perché il fatto non costituisce reato>>.
4.2. La Corte di appello ha ribaltato la decisione assolutoria muovendosi nel solco delle questioni devolute dal pubblico ministero che non presupponevano, né proponevano, una diversa ricostruzione del fatto, bensì una sua diversa valutazione ed una diversa interpretazione delle norme ad esso applicabili. Su questa medesima platea fattuale, i Giudici territoriali hanno ritenuto di affermare la responsabilità penale dell’odierno ricorrente osservando, sinteticamente, quanto segue:
4.2.1. il reato di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, è a dolo generico e per la sua consumazione sono necessarie e sufficienti la coscienza e la volontà dell’omissione, essendo irrilevanti i motivi a delinquere;
4.2.2. nel caso di specie, l’imputato si è rappresentato il mancato pagamento del debito erariale maturato con le operazioni immobiliari sopra indicate quale conseguenza voluta e perseguita;
4.2.3. in ogni caso, l’imputato non ha mai allegato di aver posto in essere azioni anche sfavorevoli per il proprio patrimonio personale per ottenere la liquidità necessaria al pagamento dell’IVA;
4.2.4. la scelta programmata di destinare il corrispettivo della complessa operazione all’estinzione del debito bancario e dell’ipoteca immobiliare piuttosto che al pagamento dell’IVA dovuta esclude che l’omesso pagamento possa essere attribuito a causa di forza maggiore (esclusa, sottolineano i Giudici distrettuali, persino dall’imputato);
4.2.5. in questo modo la società «G. S.r.l.» ha realizzato, di fatto, una sorta di illegittimo autofinanziamento dell’impresa ottenuto proprio mediante l’omesso pagamento dell’IVA e la rateizzazione del debito;
4.2.6. l’imputato avrebbe potuto negoziare condizioni diverse con «MC S.r.l.» che non determinassero il sacrificio del credito erariale, con conseguente esigibilità di una condotta diversa;
4.2.7. La concessa rateizzazione del debito, onorato fino alla sentenza di primo grado, non esclude la responsabilità dell’imputato sul rilievo che la novazione del debito non priva di penale rilevanza l’inadempimento precedente.
5.Tanto premesso, il primo motivo è infondato.
5.1. I Giudici di merito non divergono nella ricostruzione del fatto, bensì nella sua valutazione e certamente la Corte di appello non contesta la credibilità dei testimoni assunti in primo grado né era stata sollecitata a farlo.
5.2. Il ricorrente trascrive, a sostegno delle sue ragioni, i seguenti arresti giurisprudenziali autorevolmente affermati da Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta: «I principi contenuti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come definiti nella giurisprudenza consolidata della Corte EDU, pur non traducendosi in norme direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale, costituiscono criteri di interpretazione – convenzionalmente orientata – ai quali il giudice nazionale è tenuto a ispirarsi nell’applicazione delle norme interne (Rv. 267486). La previsione contenuta nell’art.6, par.3, lett. d) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU – che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne – implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute 6 “-s’e decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (Rv. 267487). È affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, di cui all’art. 533, comma primo, cod. proc. pen., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell’art. 603, comma terzo, cod. proc. pen.; ne deriva che, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nell’art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata (Rv. 267492)».
5.3.Sennonché, il pubblico ministero non ha proposto una diversa valutazione delle prove dichiarative, bensì una diversa valutazione del fatto, identico nella sua storicità. Nè la Corte di appello dubita della attendibilità dei testimoni assunti in primo grado. Non v’è dubbio che quando i giudici di merito non divergono sulla ricostruzione del fatto ma solo sulla sua valutazione ai fini della verificazione dell’ipotesi accusatoria, la questione esula dall’applicazione dei principi indicati dal ricorrente a sostegno del ricorso. Di ciò egli è talmente consapevole da adombrare il vizio di travisamento sostanziale delle prove, senza considerare che il travisamento della prova, quale vizio della motivazione, non riguarda il momento valutativo, bensì quello percettivo della prova stessa.
5.4. Il travisamento della prova, infatti, è configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio, inoltre, ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).
5.5. Il travisamento della prova consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento della prova rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all’urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il travisamento è perciò decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile. Come recentemente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n.m. sul punto, il travisamento delle prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato).
5.6. Il travisamento, inoltre, deve riguardare il singolo atto del processo specificamente indicato nel motivo di gravame e non, come nel caso di specie, la ricostruzione complessiva del fatto (cd. travisamento del fatto bandito dal legislatore del 1988) sostanzialmente eccepito dal ricorrente con la allegazione, ma solo nei motivi aggiunti e non nel ricorso introduttivo, del sunto di tutte le prove dichiarative delle quali propone una diversa lettura. In questo modo egli elude l’insegnamento costante di questa Corte secondo il quale l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). La mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, in ultima analisi, devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicché una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903). Solo il travisamento della prova (e non del fatto) consente, nei limiti sopra illustrati, di superare il recinto della motivazione e di estendere l’indagine di legittimità al contenuto dell’atto travisato, ma deve trattarsi, come detto, di errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione, che determina, come detto, la difformità sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato).
5.7. In conclusione:
a) i due Giudici non divergono sulla valutazione di attendibilità dei testimoni né sulla conseguente ricostruzione del fatto;
b) la divergenza riguarda la valutazione del fatto così come storicamente ricostruito dal Tribunale, con conseguente inapplicabilità della regola di diritto invocata dall’imputato;
c) la Corte di appello non ha travisato il contenuto delle testimonianze rese in primo grado;
d) le deduzioni del ricorrente, volte a proporre una diversa valutazione del fatto nella sua storica identità, riguardano il sostanziale travisamento del fatto che comporta una interpretazione della vicenda alternativa a quella della Corte di appello e fondata, a sua volta, su inammissibili deduzioni fattuali.
6. il secondo, il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, sono anche essi infondati.
6.1.E’ necessario, a tal fine, prendere le mosse dagli approdi ermeneutici di Sez. U., n. 37424 del 28/03/2103, Romano, Rv. 255757 secondo cui:
6.2. il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (art. 10- ter d.lgs n. 74 del 2000) si consuma con il mancato pagamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale entro la scadenza del termine per il pagamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo;
6.3.il reato è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte;
6.4. la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto;
6.5.il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.
6.6.Sviluppando e riprendendo il tema della «crisi di liquidità» d’impresa quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, tema solo accennato nella sentenza delle Sezioni Unite, questa Corte ha ulteriormente precisato che è necessario che siano comunque assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190).
6.7.Tanto premesso, osserva il Collegio che le allegazioni difensive volte ad eccepire la sussistenza della forza maggiore, la mancanza di dolo e, infine, l’inesigibilità della condotta sono infondate.
6.8.La Corte di appello, come visto, indica in modo chiaro le ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere le allegazioni difensive sulla crisi di liquidità di impresa quale causa di forza maggiore e di esclusione del dolo ovvero della esigibilità di una condotta conforme al precetto penale. I Giudici territoriali spiegano che tale crisi, coerentemente alle stesse deduzioni difensive, lungi dal costituire un fatto improvviso ed imprevedibile, era stata gestita in base a precise scelte imprenditoriali che avevano comportato il deliberato sacrificio del debito erariale.
6.9. occorre, dunque, sgombrare il campo da un equivoco di fondo che rischia di alterare la corretta impostazione dogmatica del problema: diversamente da quanto sostenuto con il terzo motivo, per la sussistenza del reato in questione non è richiesto il fine di evasione (come già affermato da Sez. U, Romano, cit.), tantomeno l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto.
6.10. Quando il legislatore ha inteso attribuire all’elemento soggettivo del reato il compito di concorrere a tipizzare la condotta e/o quello di individuare il bene/valore/interesse con essa leso o messo in pericolo, lo ha fatto in modo espresso, escludendo, per esempio, dall’area della penale rilevanza le condotte solo eventualmente (e dunque non intenzionalmente) volte a cagionare l’evento (art. 323, cod. pen., artt. 2621, 2622, 2634, cod. civ., art. 27, comma 1, d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39), incriminando, invece, quelle ispirate da un’intenzione che si colloca oltre la condotta tipizzata (i reati a dolo specifico), attribuendo rilevanza allo scopo immediatamente soddisfatto con la condotta incriminata (per es., art. 424 cod. pen.), assegnando al momento finalistico della condotta stessa il compito di individuare il bene offeso (artt. 393 e 629 cod. pen., 416, 270, 270- bis, 305, cod. pen., 289-bis, 630, 605, cod. pen.).
6.11. il dolo del reato in questione è integrato, dunque, dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato.
6.12. il reato di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 è unisussistente, di natura omissiva e istantanea. Il che significa che, ai fini della sua perfezione, sono necessarie e sufficienti la coscienza e la volontà dell’azione che devono sussistere nel momento esatto in cui matura il tempo (lungo) dell’obbligazione tributaria, non un attimo prima, non un attimo dopo (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263126).
6.13.Nel caso di specie, la consapevolezza di ledere o comunque pregiudicare gli interessi dell’Erario non è nemmeno posta in discussione. In ogni caso, si tratta di aspetto ben diverso, come detto, dalla specifica intenzione di evadere l’imposta, requisito esplicitamente preteso ai fini della integrazione dei soli reati di cui agli artt. 2, 3, 4, 8, 10 e 11, d.lgs. n. 74 del 2000. Sicché, pretendere che la volontà dell’azione cosciente consista nell’intenzione di violare il precetto equivale ad attribuire al dolo generico una funzione selettiva (appunto, specifica) della condotta non necessaria e non richiesta ai fini dell’integrazione del reato, per la cui consumazione, come detto, è necessario e sufficiente che il debitore di imposta ometta volontariamente il versamento dell’imposta nella consapevolezza della sussistenza dell’obbligo e della scadenza del termine previsto per il pagamento; la coscienza e la volontà dell’omissione devono sussistere al momento della scadenza del termine per l’adempimento.
6.14.Tali argomentazioni si saldano a quelli che riguardano le ragioni della tutela penale dell’interesse tributario.
6.15.L’incriminazione, ad opera dell’art. 35, comma 7, d.l. 4 luglio 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, della condotta di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto dichiarata dal contribuente costituì una novità assoluta, inserita dal legislatore per impedire l’ingente evasione della relativa imposta, non adeguatamente né tempestivamente contrastata dai normali rimedi esecutivi né dalla 11 ( criminalizzazione delle condotte prodromiche all’evasione (sulla legittimità del cumulo dei procedimenti e delle sanzioni, amministrative e penali, quando i primi non sono in grado, da soli, di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione Europea, la giurisprudenza della CGUE è unanime; cfr., da ultimo, ancorché in tema di frodi gravi, CGUE, Sezione Grande, n. C-42/17, secondo cui è compito degli Stati membri garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione – v., in tal senso, sentenza del 7 aprile 2016, Degano Trasporti, C-546/14, EU:C: 2016:206, punto 21. A questo proposito, tali Stati membri sono tenuti a procedere al recupero delle somme corrispondenti alle risorse proprie che sono state sottratte al bilancio dell’Unione in conseguenza di frodi. Al fine di assicurare la riscossione integrale delle entrate provenienti dall’IVA e tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell’Unione, gli Stati membri dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili, che possono assumere la forma di sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione delle due – v., in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2013, Akerberg Fransson, C-617/10, EU:C: 2013:105, punto 34, nonché Taricco, punto 39. A tale riguardo, occorre tuttavia rilevare, in primo luogo, che possono essere indispensabili sanzioni penali per combattere in modo effettivo e dissuasivo determinate ipotesi di gravi frodi in materia di IVA – v., in tal senso, sentenza Taricco, punto 39. Gli Stati membri, pena la violazione degli obblighi loro imposti dall’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, devono quindi assicurarsi che, nei casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione in materia di IVA, siano adottate sanzioni penali dotate di carattere effettivo e dissuasivo – v., in tal senso, sentenza Taricco, punti 42 e 43. Deve pertanto ritenersi che gli Stati membri violino gli obblighi loro imposti dall’articolo 325, paragrafo 1, TFUE qualora le sanzioni penali adottate per reprimere le frodi gravi in materia di IVA non consentano di garantire efficacemente la riscossione integrale di detta imposta).
6.16. La focalizzazione della condotta sul momento omissivo e la natura generica del dolo, richiesta dalla fattispecie penale di nuova fattura, costituivano (e costituiscono) affidabili indici rivelatori della volontà di punire l’inadempimento dell’obbligo tributario nella mera consapevolezza della sussistenza di tale obbligo, a prescindere dagli scopi perseguiti dal contribuente. Il progressivo aumento della cd. soglia di punibilità ha ridotto, nel tempo, l’ambito applicativo del precetto penalmente sanzionato, ma non la sua natura e la sua struttura. Si può anzi affermare che il legislatore più recente, conscio della generale crisi economica che attanaglia da un decennio il nostro Paese e dei suoi possibili riflessi sulle ragioni dell’omissione penalmente sanzionata, ha, da un lato, elevato a duecentocinquantamila euro per anno di imposta l’importo al di sotto del quale l’omesso versamento dell’IVA è penalmente irrilevante (art. 8, d.lgs. n. 158 del 2015), dall’altro, ai fini della non punibilità del reato, ha consentito il pagamento del debito (ancorché gravato da interessi e sanzioni) fino alla apertura del dibattimento, con possibilità di prorogare il termine di ulteriori sei mesi (art. 13, commi 1 e 3, d.lgs. n. 74 del 2000, come modificato dall’art. 11, d.lgs. n. 158 del 2015), di fatto dando maggior “respiro” ai contribuenti inadempienti ai sensi dell’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000. E’ agevole evidenziare che, pure in tale contesto, la struttura della fattispecie penale è rimasta immutata, non avendo il legislatore inteso dare rilevanza agli eventuali scopi dell’inadempimento, pur a fronte di un panorama giurisprudenziale che ormai andava cristallizzandosi sull’irrilevanza del movente.
6.17. Gli argomenti utilizzati dal ricorrente a sostegno della pretesa applicabilità, al caso concreto, della «forza maggiore», appaiono, alla luce della considerazioni che precedono, manifestamente infondati e frutto di un’operazione dogmaticamente errata perché tende ad attrarre nell’orbita del dolo generico requisiti che, per definizione, non gli appartengono e che si collocano piuttosto nell’ambito dei motivi a delinquere o che ne misurano l’intensità (art. 133 cod. pen.).
6.18.La scelta di non pagare prova il dolo; i motivi della scelta non lo escludono.
6.19. La forza maggiore, come noto, esclude la “suitas” della condotta. Secondo l’impostazione tradizionale, è la «vis cui resisti non potest», a causa della quale l’uomo «non agit sed agitur» (Sez. 1, n. 900 del 26/10/1965, Sacca, Rv. 100042; Sez. 2, n. 3205 del 20/1271972, Pilla, Rv. 123904; Sez. 4, n. 8826 del 21/0471980, Ruggieri, Rv. 145855). Per questa ragione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv. 157495; Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018; Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980, Biagini, Rv. 148018); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità (Sez 4, n. 8089 del 13/0571982, Galasso, Rv. 155131; Sez. 5, n. 5313 del 26/03/1979, Geiser, Rv. 142213; Sez. 4, n. 1621 del 19/01/1981, Sodano, Rv. 147858; Sez. 4 n. 284 del 18/02/1964, Acchiardi, Rv. 099191). Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).
6.20.Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi propri integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856), assoluta impossibilità che deve essere collegata a eventi che sfuggono al dominio finalistico dell’agente.
6.21.Ne consegue che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la “suitas” della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità; d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.
6.22. Alla luce delle considerazioni che precedono, appare in tutta la sua inconsistenza la tesi difensiva.
6.23. La Corte di appello ha giustamente sottolineato che la dedotta crisi di liquidità dell’impresa non solo costituiva evenienza tutt’altro che improvvisa (essa risaliva addirittura all’anno 2007, secondo le stesse deduzioni difensive) ma che la scelta di non pagare VIVA alla scadenza (lunga) prevista dall’art. 10- ter, d.lgs. n. 74 del 2000 era conseguenza voluta e perseguita della complessa operazione immobiliare conclusa con la società «MC S.r.l.».
6.24. In conclusione:
6.24.1. la scelta di “sacrificare” il debito erariale a favore di quello bancario costituisce il frutto di una scelta imprenditoriale che dimostra la “suitas” della condotta omissiva ed esclude la sua riconducibilità a causa di forza maggiore;
6.24.2. la mancanza di fondi sufficienti al pagamento del debito erariale non è stata “rilevata” quale conseguenza della complessa operazione immobiliare, come dedotto dal ricorrente, ma ne costituiva il risultato previsto e perseguito (o comunque deliberatamente messo in conto) anche attraverso la successiva richiesta di rateizzazione del debito;
6.24.3. non è stata operata alcuna retrocessione del dolo a momenti antecedenti alla scadenza del termine (lungo) previsto dalla norma incriminatrice;
6.24.4. le condotte antecedenti (e successive) alla consumazione del reato, infatti, ben possono essere valutate ai fini dell’accertamento del dolo al momento della consumazione del reato;
6.24.5. non v’è dubbio che l’omissione sia stata cosciente e volontaria, essendo irrilevante, ai fini della perfezione del reato, lo scopo perseguito dall’agente;
6.24.6. in ogni caso, l’imputato non ha mai dedotto di aver posto in essere azioni pregiudizievoli per il patrimonio personale, non potendo essere considerata tale la sola dismissione di quello societario (peraltro contraddetta dal contestuale acquisto degli appartamenti).
6.25. Quanto alla eccepita inesigibilità di una condotta diversa, il Collegio deve ribadire il principio secondo il quale il principio della non esigibilità dì una condotta diversa – sia che lo si voglia ricollegare alla “ratio” della colpevolezza riferendolo ai casi in cui l’agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui “umanamente” pretendere un comportamento diverso, sia che lo si voglia ricollegare alla “ratio” dell’antigiuridicità riferendolo a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell’agente dì uniformare la condotta al precetto penale – non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l’analogia juris” (Sez. 6, n. 973 del 02/04/1993, Bove, Rv. 194384; Sez. 3, n. 8271 del 08/05/1985, Viti, Rv. 170486; Sez. 5, n. 6929 del 22/12/2000, dep. 2001, Cangialosi, n.m.). Nel caso di specie, l’invocata esimente della inesigibilità soggettiva della condotta doverosa nei confronti del contribuente IVA non viene ricondotta dalla difesa del ricorrente ad alcuna delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, non essendo pertanto consentito al giudice (né, tantomeno, all’imputato) di ricercare o creare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l’analogia juris”, come implicitamente invocato nel caso di specie dalla difesa. Né, del resto, è possibile ricorrere alla categoria delle cosiddette cause di giustificazione non codificate (o scriminanti tacite, o non scritte o extralegislative) in subiecta materia, in quanto tale categoria non trova sicuramente applicazione alle fattispecie penali tributarie, ponendosi il problema dell’applicabilità delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza non espressamente codificate solo per quelle attività che, pur manifestandosi in fatti penalmente tipici, sono considerate lecite in ragione della loro utilità sociale anche se non sia dato rintracciare una precisa norma di giustificazione, dovendosi in ogni caso rilevare un’indeterminatezza concettuale di fondo, caratteristica della antigiuridicità sostanziale e delle c.d. scriminanti tacite (così, più recentemente, Sez. 3, n. 6220 del 23/01/2018, Ventura, n.m. sul punto).
6.26. Nè può confondersi l’inesigibilità della condotta con l’errore inevitabile sul precetto penale che trova, nell’ambito della rilevanza dell’elemento psicologico, il suo riconoscimento nella sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale.
6.27. Peraltro, stando alle deduzioni difensive, non si comprende quale autonomia concettuale possa ritagliarsi all’invocata inesigibilità della condotta conforme al precetto legale rispetto alla causa di forza maggiore della quale ripete gli stessi contenuti.
8. Il settimo motivo è inammissibile e comunque totalmente infondato.
8.1. il ricorrente non ha chiesto in appello l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., con conseguente palese insussistenza dell’eccepito vizio di mancanza di motivazione sul punto.
8.2.In ogni caso, l’elevato importo dell’imposta non versata esclude in radice l’esiguità del danno.
9. L’ottavo motivo è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.
9.1. L’imputato, innanzitutto, non specifica quali fossero le prove alla cui assunzione aveva subordinato la richiesta di definizione del processo allo stato degli atti, né deduce di aver investito la Corte di appello della richiesta della loro
assunzione.
9.2.In ogni caso, coerentemente con la finalità acceleratoria, deflattiva e, conseguentemente, premiale del rito abbreviato, ancorché condizionato all’integrazione probatoria, il Tribunale aveva giustamente rigettato la richiesta dell’imputato sul rilievo che l’integrazione richiesta corrispondeva ad un’intera istruttoria dibattimentale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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