Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 38715 depositata il 21 agosto 2018
omesso versamento IVA – forza maggiore
RITENUTO IN FATTO
1. Con il decreto del 24 luglio 2017 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni del patrimonio di RB fino alla concorrenza di C. 1.151.433,00 pari all’importo delle imposte evase.
All’indagato è contestato il delitto ex art. 10 ter d.lgs. 74/2000 per l’omesso versamento dell’Iva entro il termine del 27 dicembre 2010 dovuta dalla Sige Noto, società consortile a responsabilità limitata di cui RB era liquidatore e legale rappresentante.
Con l’ordinanza del 13/10/2017 il Tribunale del riesame di Firenze ha rigettato il riesame proposto dal ricorrente confermando il decreto di sequestro preventivo.
2. Il difensore di RB ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Firenze del 13/10/2017.
2.1. Con il primo motivo la difesa ha dedotto il vizio di violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 321 cod. proc. pen. e 322 ter cod. pen., per l’insussistenza del fumus commissi delicti e per la motivazione apparente, disancorata secondo la difesa dalle peculiarità del caso concreto.
Dopo la parte in diritto sul fumus commissi delicti e sulla verifica da parte del Tribunale del riesame, ha rilevato la difesa che il Tribunale del riesame è venuto meno al suo obbligo analizzare le doglianze difensive, poiché la motivazione è generica e avulsa dalla realtà processuale ben rappresentata dall’indagato nella richiesta di riesame.
Ritiene la difesa che la motivazione sul momento consumativo del reato di omesso versamento Iva, alla scriminante della forza maggiore, e alla mancanza del riconoscimento di detta scriminante in presenza di scelte gestionali è avulsa dal caso concreto e non correlata alle argomentazioni difensive addotte a sostegno della richiesta di riesame.
La difesa rileva di aver rappresentato le peculiarità del caso, costituite sia dalla natura della società Sige Noto S.c. a r.l. a cui è riferibile l’omesso versamento Iva (che non è una società commerciale), sia dalla situazione economico finanziaria della principale consorziata BTP S.p.a., che deteneva il 84% delle quote della consortile (che di fatto venendo meno ai propri obblighi statutari ha impedito il pagamento Iva), al fine di valutare la sussistenza della scriminante di cui all’art.45 cod. pen.
Per la difesa la natura giuridica della Sige Noto S.C.arl. è ricavabile dalle norme statutarie che ne regolamentano la funzione ed i rapporti con le consorziate e dalla normativa sugli appalti pubblici.
Per la difesa, il Tribunale del riesame avrebbe dovuto procedere ad un’analisi differenziata rispetto a quella che solitamente viene effettuata per le ordinarie imprese commerciali, per la natura di consorzio della società, che non svolge un’attività di impresa: il consorzio non mira a produrre guadagni da distribuire ai soci ma mira a mantenere, e se è possibile a fare aumentare, il reddito dell’attività dei singoli imprenditori.
Per la difesa non è stato tenuto in considerazione il ruolo rivestito dalle consorziate, la loro responsabilità solidale, a fronte di un appalto pubblico, per tutti i debiti contratti dalla consortile, compreso quelli fiscali. Dopo aver riportato la motivazione del decreto genetico sulla natura della società, la difesa ha descritto la genesi del consorzio, la sua composizione ed ha rilevato che la costituzione è avvenuta nella forma della società a responsabilità limitata, ma per la sola gestione in comune dei costi di costruzione.
Per la difesa, le società consorziate esecutrici dei lavori fatturano direttamente al committente senza che il consorzio incassi alcunché o proceda direttamente alla esecuzione dei lavori. L’art. 26 dello Statuto della consortile dispone che i contributi che, ai fini Iva, rappresentano corrispettivi per prestazioni di servizio rese ai propri soci consorziati, saranno dalla società iscritti in avere del proprio conto economico rappresentando, per la stessa, i ricavi della propria gestione.
Rileva la difesa che tutti i costi diretti e indiretti, sopportati in qualsiasi tempo dalla consortile nell’espletamento delle attività, che ne costituiscono l’oggetto, vengono addebitati ai soci consorziati in base alle rispettive quote di partecipazione al capitale sociale attraverso fatture c.d. «a ribalto costi»; ovvero i costi sostenuti dalla consortile andranno a costituire, per lo stesso importo, i corrispettivi delle fatture di vendita emesse da quest’ultima nei confronti delle società consorziate.
Per la difesa, il consorzio non ha autonomia finanziaria; afferma che l’Iva generata dalle fatture emesse dal consorzio non potrà essere versata all’erario in mancanza di incasso delle fatture o in mancanza dell’erogazione di eventuali prestiti da parte delle consorziate, che incassano i corrispettivi dell’appalto.
La difesa ha quindi riportato alcune massime in tema di appalti pubblici e società consortili ed ha affermato che la Sige Noto S.c. a r.I., essendo stata costituita per l’esecuzione di un pubblico appalto, al di là della forma giuridica formalmente assunta, non configura un soggetto distinto rispetto alle singole imprese che ne fanno parte, non diviene titolare di alcuna posizione giuridica attiva o passiva ed, infine, non risponde delle obbligazioni con il solo suo patrimonio ravvisandosi una responsabilità illimitata e solidale dei consorziati per le obbligazioni assunte verso i terzi dalla società consortile.
Per la difesa, nel caso in esame, non avrebbe dovuto solo valutarsi la presentazione della dichiarazione Iva da parte della Sige Noto S.C. a r.l. ed il conseguente mancato pagamento, ma, se le consorziate avessero adempiuto alla loro funzione sia in riferimento agli obblighi statutari sia alle responsabilità derivanti dall’appalto pubblico, provvedendo al pagamento delle fatture emesse dalla consortile nei loro confronti (o erogando eventuali prestiti), così da consentire alla Sige Noto S.C. a r.l. di adempiere alla propria obbligazione tributaria.
La difesa ha equiparato tale situazione con quello della società commerciale che entra in crisi di liquidità, ed è impossibilitata (ex art. 45 cod. pen.) a far fronte ai propri debiti tributari, a causa del mancato pagamento, da parte di clienti delle fatture emesse nei loro confronti. Secondo la difesa in questo caso per giurisprudenza unanime e costante si applica la causa di non punibilità di cui all’art.45 cod. pen., in quanto l’adempimento fiscale viene ritenuto conseguenza non evitabile di una crisi di liquidità aziendale generata da un evento (mancato pagamento di fatture da parte di clienti che costituiscono la maggior parte del fatturato), imprevedibile, indipendente e non imputabile all’imprenditore e dallo stesso non adeguatamente fronteggiabile. Per la difesa ciò è accaduto nel caso della società consortile.
Per la difesa, il Tribunale del riesame di Firenze non ha motivato su tali argomentazioni, oggetto specifico del riesame.
2.2. Al punto b) la difesa ha argomentato sulla sussistenza della scriminante di cui all’art. 45 cod. pen.
Per la difesa il Tribunale del riesame non ha tenuto conto dell’evento imprevedibile, indipendente e non imputabile al RB, né dallo stesso in alcun modo fronteggiabile per impossibilità della società consortile di rivolgersi al credito non avendo né propria autonomia finanziaria, né risorse né beni propri, costituito dal mancato pagamento, da parte della BTP S.p.a. del saldo della fattura n. 2 del 14/04/10 dell’importo di €. 2.372.260,01 che non ha consentito alla consortile di adempiere al debito tributario in scadenza nel mese di dicembre (all’atto della presentazione della dichiarazione) di €. 1.151.433,00.
Ricorda la difesa che l’indagato ha assunto la carica di liquidatore dal 14/05/2010, (come risulta dalla visura camerale), pochi mesi prima della scadenza dell’obbligazione (27/12/10); che ha sollecitato la consorziata la BTP S.p.a. a pagare la fattura, all’approssimarsi della scadenza del termine per il pagamento dell’Iva annuale da parte della consortile. ))/
La difesa ha quindi indicato la documentazione prodotta dalla difesa al Tribunale del riesame che dimostra secondo la difesa che senza il pagamento della fattura non avrebbe potuto versare l’Iva.
Per la difesa, non si può sostenere che fosse onere della Sige Noto S.c. a r.l. di accantonare l’Iva riscossa per le fatture emesse nei confronti della BTP S.p.a. nel 2009, dalle quali si è generata l’Iva in oggetto della imputazione, per assicurarsi l’anno successivo il pagamento dell’imposta: ciò per la natura della consortile, che non ha autonomia finanziaria, e perché altrimenti vi sarebbe stata la paralisi dell’attività del consorzio. In ogni caso, si tratta di un fatto non addebitabile al RB il quale nel 2009 non rivestiva alcuna carica societaria.
La difesa ha ribadito che quando il Tribunale del Riesame afferma che l’Iva incassata nel 2009 avrebbe dovuto essere accantonata, non valutato la natura della società consortile che non avrebbe potuto accantonare le somme per più di un anno.
Per la difesa le somme dovevano essere utilizzate per le spese necessarie per proseguire i lavori appaltati, nell’assoluta convinzione che il pagamento dell’Iva 2009 potesse essere effettuato attraverso le somme che sarebbero state incassate a titolo di corrispettivi nel 2010 o comunque con l’erogazione di eventuali prestiti da parte di BTP S.p.a. appositamente previsti per il pagamento dell’Iva annuale dall’art. 26 dello statuto.
Afferma la difesa che il pagamento delle spese, senza accantonamento dell’Iva, è necessità imposta dalla natura di società consortile sorta per ripartire le spese, senza scopo di lucro, priva di autonomia finanziaria, beni e risorse proprie.
Rileva la difesa che quando il RB ha accettato l’incarico di liquidatore il 14/05/10 aveva ben presente la situazione della consortile; sapeva certamente che l’Iva del 2009 non era stata accantonata (e sul punto niente può essere allo stesso addebitabile) ma la conoscenza dell’emissione, nel mese precedente al suo insediamento, di una fattura da parte della consortile nei confronti di BTP di C. 3.178.200,74, che avrebbe dovuto essere pagata entro il termine di scadenza previsto per l’adempimento tributario (27/12/10), lo poneva al riparo da eventuali prospettazioni di inadempimento fiscale.
Rileva la difesa che RB non poteva immaginare che la fattura non sarebbe stata onorata integralmente visto che in data 30/04/2010, ovvero dopo quindici giorni dalla sua emissione la BTP S.p.a. ne aveva già pagata una parte pari ad C. 792.440,73, facendo legittimamente presumere che il restante pagamento sarebbe avvenuto di lì a poco o comunque, certamente, entro il mese di dicembre.
2.3. Al punto c) la difesa ha illustrato gli elementi probatori a sostegno della situazione nel 2010 di irreversibile crisi di liquidità della BTP s.p.a.
Ha rappresentato la difesa che tale società è stata ammessa nel 2011 al concordato preventivo; che i legali rappresentanti Armando Vanni e RB (limitatamente al 2009) di tale società sono stati assolti dal Tribunale di Prato per l’omesso versamento dell’Iva per le annualità 2009 e 2010 perché il fatto non costituisce reato.
Rappresenta la difesa che RB dette le dimissioni dalla carica di vicepresidente del consiglio di amministrazione divenute esecutive il 31/0372010.
Per la difesa, l’irreversibile crisi finanziaria che ha colpito la BTP S.p.a. nel 2010 ha comportato il mancato pagamento, da parte della stessa, della fattura n. 2 del 14/04/10 emessa dalla Sige che a sua volta ha determinato l’impossibilità di quest’ultima di adempiere al debito tributario che avrebbe dovuto essere assolto il 27/12/10.
Ritiene quindi la difesa che se la scriminante di cui all’art. 45 cod. pen. è stata riconosciuta sussistente nell’ambito dei procedimenti penali per omesso versamento Iva di BTP S.p.a., tanto da comportare l’assoluzione del legale rappresentante della stessa per le annualità d’imposta 2009 e 2010, la stessa scriminante deve riconoscersi nei confronti del liquidatore della Sige Noto s.c.r.l. il quale non aveva modo per reperire il denaro necessario all’adempimento fiscale se non chiedendolo alla Btp.
Per la difesa la crisi di liquidità della Sige Noto s.c.r.l. nel 2010 causata dall’inadempimento della BTP, è evento imprevedibile, indipendente e non imputabile a RB né fronteggiabile dalla Sige Noto s.c.r.l. non potendo rivolgersi al credito, né avendo una sua autonomia finanziaria né risorse proprie.
La difesa ha infine contestato l’affermazione del Tribunale del riesame che quanto all’elemento soggettivo del reato, ha tratto elementi negativi dal silenzio serbato dall’indagato in sede di interrogatorio; inoltre, gli elementi di valutazione sono stati forniti dalla difesa direttamente al Tribunale del riesame.
La difesa ha quindi chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va premesso che avverso le ordinanze emesse nella procedura di riesame delle misure cautelari reali il ricorso per cassazione è ammesso, ai sensi dell’art.325 cod. proc. pen., soltanto per violazione di legge; è preclusa ogni censura relativa ai vizi della motivazione, salvi i casi della motivazione assolutamente mancante – che si risolve in una violazione di legge per la mancata osservanza dell’obbligo stabilito dall’art. 125 cod. proc. pen. – e della motivazione apparente, tale cioè da rendere l’apparato argomentativo, posto a sostegno del provvedimento, privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi, inidonei, a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
Non può essere dedotto il vizio della illogicità manifesta della motivazione, che può essere denunciato, in sede di legittimità, soltanto mediante lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Il primo motivo è pertanto inammissibile perché la difesa ha esplicitamente contestato non la mancanza della motivazione ma una inadeguata valutazione degli elementi prodotti dalla difesa ai fini della valutazione della sussistenza della scriminante ex art. 45 cod. pen.
In ogni caso, la risposta ai motivi di riesame è nelle pagine 2 e 3 dell’ordinanza impugnata che per altro in punto di diritto ha correttamente richiamato la giurisprudenza formatasi sul delitto ex art. 10 ter d.lgs. 74/2000.
Va per altro rilevato che il ricorso è in gran parte volto alla ricostruzione del fatto e della natura della società consortile.
2. In punto di diritto, secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 37424 del 28/03/2103, Romano, Rv. 255757), a cui si aderisce, il reato ex art. 10 ter d.lgs. 74/2000 è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte.
La prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto.
Il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) VIVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale.
Hanno altresì affermato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.
3. Deve in ogni caso osservarsi che l’assenza del dolo e la forza maggiore non sono minimamente invocabili proprio secondo la ricostruzione difensiva.
3.1. Risulta anche dagli stessi atti prodotti dalla difesa che la società consortile era tenuta al pagamento dell’Iva pur in presenza dei compiti specifici di un consorzio; la dichiarazione iva è stata presentata dallo stesso ricorrente: egli dunque al momento della presentazione della dichiarazione per l’anno 2009 ha preferito avvalersi del termine lungo, essendo ben consapevole di quanto avrebbe dovuto versare entro il 27/12/2010.
3.2. Il reato de quo è a dolo generico; il dolo del reato in questione è integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità.
Il mancato pagamento alla scadenza del termine concretizza il dolo; come correttamente osservato da Cass. Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, Mondini, Rv. 265262, la scelta di non pagare l’imposta dovuta, come sostiene il ricorrente per non bloccare l’attività del consorzio in attesa del pagamento di una fattura a scadere prima del termine per il versamento dell’iva, prova il dolo.
La scelta imprenditoriale attiene ai motivi a delinquere e non esclude minimamente la sussistenza del dolo.
3.3. Come correttamente affermato dalla sentenza Mondini, alla cui motivazione si rimanda per la ricostruzione sistematica, la forza maggiore sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità.
Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, la Corte di Cassazione ha sempre escluso che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986).
3.4. Va poi rilevato che la crisi finanziaria che, nell’impostazione difensiva, ha colpito la BTP S.p.a. nel 2010 e che ha comportato il mancato pagamento, da parte di tale società della fattura sul cui incasso il ricorrente fondava il pagamento dell’Iva non può in alcun modo ritenersi un evento imprevedibile: la difesa afferma nel ricorso per cassazione che RB è stato il legale rappresentante della BTP S.p.a., tanto da essere assolto dal Tribunale di Prato per l’omesso versamento dell’iva per l’anno di imposta 2009 con la formula perché il fatto non costituisce reato: secondo la stessa ricostruzione difensiva, è stata riconosciuta dal Tribunale di Prato, in favore di RB, la situazione di crisi di liquidita della BTP S.p.a. della quale il ricorrente è stato vicepresidente e consigliere fino al 31/03/2010.
Egli dunque era perfettamente consapevole della situazione economica della BTP S.p.a.
4. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si condanna altresì il ricorrente al pagamento della somma di euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
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