CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 38744 depositata il 20 settembre 2019
Frode fiscale – Notaio – Speciale tenuità del fatto – Non sussiste
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 4 aprile 2018 la Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del 14 aprile 2015 del Tribunale di Ferrara, ha rideterminato – attesa l’intervenuta prescrizione per le annate precedenti in contestazione – in anni uno di reclusione la pena inflitta a M.C. per il reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 2, comma 3, in relazione all’anno di imposta 2009, stante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con indicazione di elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni fiscali.
2. Avverso la predetta decisione sono stati proposti sette motivi di ricorso per cassazione.
2.1. Col primo motivo il ricorrente ha lamentato l’omessa motivazione circa l’oggettiva inesistenza delle operazioni sottostanti alle quattro fatture dell’anno di imposta 2009, residuo oggetto di contestazione.
Secondo il ricorrente sarebbe stato attribuito rilievo a risultanze fattuali non specificamente riferibili alle operazioni del 2009, quali la corrispondenza risalente al 2004 con S.G., commercialista del M., quest’ultimo notaio in (omissis), in cui sarebbe stata pianificata l’illecita attività da parte del consulente e l’accettazione da parte del notaio della proposta delittuosa, nonché l’ulteriore rapporto intercorso tra il M. ed il S. anche successivamente al 2004. Mentre neppure il Tribunale aveva affrontato il tema dell’effettività o meno delle operazioni relative alle fatture del 2009, essendosi limitato a ritenere che Euro Office e Immobiliare D. & D., emittenti dei predetti documenti, sarebbero state entrambe sconosciute al fisco e che dalla visura camerale sarebbe emerso che Euro Office avrebbe aperto l’attività il (omissis), pur essendo stata emessa nei confronti del ricorrente la prima fattura in data (omissis).
Ha altresì dedotto che tutte le fatture del 2009 sarebbero state pagate, come risultava dalla documentazione cambiaria, mentre alcuna istruttoria era stata operata in ordine ai fatti concernenti l’anno 2009.
2.2. Col secondo motivo è stata dedotta mancanza e manifesta illogicità della motivazione stante l’estensione della prova anche per l’annualità 2009, pur in assenza di specifiche risultanze non riferibili. Tra l’altro per il 2009, tenuto conto delle risultanze degli anni precedenti, faceva difetto l’univocità degli indizi.
2.3. Col terzo motivo di ricorso, sempre in tema di vizio motivazionale, è stata lamentata mancanza e manifesta illogicità quanto all’elemento soggettivo del reato con riferimento all’anno di imposta 2009, per avere entrambe le sentenze di merito ignorato la possibilità, basata su specifiche acquisizioni dibattimentali, che fossero stati forniti al ricorrente i beni e i servizi necessari allo studio tramite acquisti in nero, e che al contempo fossero state emesse false fatture di vendita da parte degli apparenti fornitori, col conseguente lucro non solo dell’Iva ma anche della differenza tra i reali costi degli approvvigionamenti in nero e quelli rappresentati al notaio. In tal senso la teste T.E. aveva dichiarato che le forniture di cancelleria erano effettive e venivano procurate personalmente dal notaio che portava il materiale in studio, tanto più che la conduzione dell’attività professionale richiedeva effettivamente l’utilizzo dei beni e dei servizi in questione.
2.4. Col quarto motivo è stata censurata la mancata assunzione di una prova decisiva nonostante le risultanze dell’istruttoria dibattimentale, che avevano dato conto del ruolo svolto nella vicenda da S.M. e da S.G., ossia di coloro che avrebbe ideato il meccanismo fraudolento.
In particolare, il Tribunale aveva disatteso la richiesta di assunzione dell’incombente presupponendo che il S. si sarebbe rifiutato di rispondere alle domande poste, senza acquisire peraltro simile manifestazione di volontà e addirittura senza verificare se effettivamente egli non avesse reso dichiarazioni nel procedimento svolto a suo carico in altra sede, ovvero avesse esercitato la facoltà di non rispondere.
La decisività della prova sarebbe emersa solamente nel corso del dibattimento, come previsto anche dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), mentre il provvedimento impugnato aveva osservato che non vi erano i presupposti di cui all’art. 603 c.p.p..
2.5. Col quinto motivo di ricorso è stata censurata la mancata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
La Corte territoriale aveva infatti ritenuto che non fosse ancora maturata la prescrizione in ragione del fatto che l’ordinario termine di anni sette e mesi sei avrebbe dovuto essere aumentato di mesi sei e giorni undici, pari al periodo di sospensione introdotto dal D.L. n. 74 del 2012, convertito in L. n. 122 del 2012; tale computo sarebbe stato errato in quanto, a norma del D.L. n. 74 del 2012, art. 6, comma 9, il legislatore avrebbe inteso ancorare la sospensione del termine prescrizionale al verificarsi di specifici accadimenti processuali, in relazione a processi pendenti alla data del 20 maggio 2012, fino alla data del 31 dicembre 2012.
In specie, dal momento che alla data di entrata in vigore del decreto il procedimento pendeva in fase di indagini, la sospensione della prescrizione per il periodo di mesi sei e giorni 11 sarebbe risultata così collegata alla specifica ipotesi della sospensione dei termini delle indagini preliminari ed è pertanto un’ipotesi di sospensione ex lege, collegata ad un fatto processuale di cui l’imputato non aveva e non poteva avere conoscenza, generando effetti retroattivi in malam partem anche rispetto a fatti commessi prima della sua entrata in vigore.
La Corte di appello, tuttavia, non aveva proceduto alla disapplicazione della norma che aveva determinato l’aumento del termine prescrizionale, né aveva fornito un’interpretazione costituzionalmente orientata.
In proposito, l’iscrizione del nominativo di M. nel registro degli indagati era avvenuta in data 8 maggio 2012 e il successivo avviso ex art. 415-bis c.p.p., notificato in data (omissis), era stato depositato presso la segreteria del P.M. in data 13 novembre 2012.
Non era stato più compiuto alcun atto di indagine da parte della Procura della Repubblica di Ferrara, avendo questa concluso le indagini nel consueto termine previsto dal codice di rito, senza necessità di sospensione della prescrizione.
2.6. Col sesto motivo è stata eccepita l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 74 del 2012, art. 6, comma 9, in riferimento agli artt. 3, 25, 27 e 117 Cost.. Ciò in ragione dell’allungamento dei tempi della prescrizione imposti ex art. 157 c.p., che avrebbe introdotto una speciale disciplina con effetti in malam partem, operante unicamente rispetto ai procedimenti e nei confronti delle posizioni soggettive ricomprese nell’ambito spazio-temporale in cui operava il cd. decreto terremoto, generando una disparità di trattamento rispetto ad analoghe vicende non soggette alla legislazione eccezionale. In relazione invece all’art. 27 Cost., l’istituto della sospensione sarebbe stato avulso da qualsiasi motivazione generai o special preventiva, dipendendo, quanto al caso di specie, unicamente dal dato oggettivo del trovarsi il procedimento nella fase delle indagini preliminari alla data di entrata in vigore del c.d. decreto terremoto. Da ultimo è stata dedotta la violazione dell’art. 117 Cost. il quale, ricollegandosi al rispetto delle norme della CEDU, impone il divieto di irretroattività in malam partem delle leggi interne.
Il ricorrente ha infine dedotto quanto ai profili di rilevanza e di non manifesta infondatezza richiesti dalla L. n. 87 del 1953, art. 23, comma 3, atteso che la prescrizione si sarebbe allora compiuta alla data del 3 marzo 2018, anteriormente alla decisione impugnata.
2.7. Col settimo ed ultimo motivo di ricorso è stata lamentata la mancata declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. In relazione al primo profilo di impugnazione, ed in genere ai motivi di ricorso, osserva la Corte che essi possono essere esaminati prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e ciò in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni (fatta eccezione per l’effetto inevitabile del decorso del tempo), che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente.
Allorché infatti le sentenze di primo e secondo grado concordino, come in specie, nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (ex plurimis, Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; cfr. da ult. Sez. 5, n. 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303).
Le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono pertanto una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d’appello (Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Scardaccione, Rv. 197250).
4.1.1. Ciò complessivamente posto, i Giudici del merito hanno dato ampiamente conto delle ragioni per le quali non era credibile l’approvvigionamento del notaio, dalle due società apparenti emittenti delle fatture, anche in relazione alla residua annualità del 2009, l’una società non avendo mai ricevuto a sua volta forniture da grossisti di cartoleria, l’altra società avendo invece come oggetto sociale l’intermediazione immobiliare, e non risultando alcuna differente operatività nella varie annualità in cui si è dipanato il contestato percorso. Né, a fronte di simili emergenze documentali, è mai risultato che l’odierno ricorrente abbia allegato documentazione idonea a sovvertire oggettive e palesi carenze, laddove è stato comunque osservato che al più vi era interesse ad annotare la mancata consapevolezza circa la provenienza delle provviste di cancelleria per il proprio studio.
4.2. Analogamente, quanto al secondo motivo, non sono state intaccate le considerazioni generali circa l’inverosimiglianza radicale delle prestazioni apparentemente rese da società campane “fantasma”, sconosciute al fisco, senza apparente attività, con fatturazioni emesse a caso, in ordine alle quali – ed in proposito il ricorso tace – era stato inutilmente richiesto all’odierno ricorrente di produrre documentazione che, in qualche modo, fornisse conforto all’apparenza cartacea e desse conto dell’esistenza di un rapporto sostanziale. In proposito si era adeguatamente espresso il primo Giudice (pagg. 3-4 della sentenza del Tribunale estense, con valutazioni richiamate e condivise dalla Corte di Appello) proprio in riferimento al complessivo periodo di osservazione esteso anche all’anno 2009, ma in proposito è stato dato atto che alcunché di significativo era pervenuto da parte del contribuente.
4.3. In ordine al terzo motivo di censura, il meccanismo fraudolento siccome ricostruito dai Giudici del merito è stato adeguatamente sviscerato, quanto all’accettazione iniziale della proposta del proprio amico e commercialista che dal N. lo invitava ad abbattere i costi della propria attività notarile mediante fatturazione da parte di clientela “sicura” (il provvedimento impugnato ha rievocato l’inequivoco contenuto della corrispondenza elettronica intervenuta nel 2004 tra il ricorrente e l’amico professionista, che accuratamente esemplificava le modalità delle operazioni per aumentare i costi e quindi abbattere il debito tributario complessivo), mentre negli anni successivi, e fino all’accertamento fiscale del 2009, era proseguito l’approvvigionamento del materiale dalla Campania, regione dalla quale proveniva pure la società che, in teoria, avrebbe dovuto provvedere ad un’assistenza informatica di cui invece non vi erano tracce. A tacere ovviamente dell’oggettiva stranezza in sé di rapporti commerciali esistenti in apparenza tra un notaio con sede in (omissis) e una società di assistenza operante a centinaia di chilometri di distanza, il cui oggetto sociale era rimasto, tra l’altro, a lungo fissato nel noleggio di imbarcazioni.
In definitiva, non vi è dubbio – è stato il corretto ragionamento del provvedimento impugnato complessivamente considerato – che il notaio abbia sopportato spese ed abbia acquistato materiale per svolgere la propria attività professionale. Ma era altrettanto sicuro che spese e materiali nulla avevano a che fare con gli apparenti emittenti delle fatture portate in detrazione dall’odierno ricorrente, e con i rapporti cartolari ivi evidenziati.
4.4. Per quanto poi riguarda il quarto motivo di impugnazione, questa Corte da un lato non può che ribadire che la mancata assunzione di una prova decisiva – quale motivo di impugnazione per cassazione – può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’art. 495 c.p.p., comma 2, sicché il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 c.p.p., e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (ex plurimis, Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016, dep. 2017, Fiaschetti e altro, Rv. 269270). Del pari la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello può costituire violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (Sez. 1, n. 40705 del 10/01/2018, Capitanio, Rv. 274337).
In proposito, anzi, questa Corte ha infine osservato che, in tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, mentre nelle ipotesi di cui all’art. 603 c.p.p., comma 1 (richiesta di riassunzione di prove già acquisite e di assunzione di nuove prove) e art. 603 c.p.p., comma 3 (rinnovazione ex officio) è necessaria la dimostrazione, in positivo, della necessità (assoluta nel caso del comma 3) del mezzo di prova da assumere, onde superare la presunzione di completezza del compendio probatorio, nell’ipotesi di cui al citato art. 603, comma 2, al contrario, è richiesta la prova, negativa, della manifesta superfluità e della irrilevanza del mezzo, al fine di superare la presunzione, opposta, di necessità della rinnovazione, discendente dalla impossibilità di una precedente articolazione della prova, in quanto sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado (Sez. 3, n. 13888 del 27/01/2017, D. e altro, Rv. 269334).
Del tutto correttamente non è stata ammessa l’ulteriore prova, atteso che in alcun modo era toccato il nucleo della contestazione, ossia l’utilizzo da parte del ricorrente di fatture emesse a fronte di prestazioni non erogate, irrilevante essendo – ai fini del giudizio ed in considerazione delle eloquenti scritture che avevano originato il sistema illecito – la verifica dei rapporti tra i professionisti e dell’eventuale “cresta” fatta dagli uni nei confronti dell’altro.
4.5. Possono poi essere esaminati congiuntamente il quinto e sesto motivo di ricorso, attesa la loro stretta connessione.
Il legislatore del 2012, facendo seguito a tutti gli ulteriori interventi purtroppo non occasionali, che si sono resi necessari tutte le volte in cui particolari e devastanti eventi, legati a calamità naturali, hanno investito il territorio nazionale, ha inteso disciplinare in maniera analitica la sorte dei processi civili, penali, amministrativi e tributari, il rinvio delle udienze e la sospensione dei termini, la comunicazione e la notifica di atti con riferimento agli interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di (omissis).
In particolare, ha diversamente regolato i riti ed in particolare ha dettato disposizioni dettagliate per il processo penale. Quanto ai processi penali pendenti alla data del 20 maggio 2012 davanti agli uffici giudiziari dei comuni terremotati, il. D.L. 6 giugno 2012, n. 74, art. 6, comma 6 (convertito con modificazioni nella L. 1 agosto 2012, n. 122) li sospendeva infatti fino al 31 dicembre 2012. Sino a quella data, e sempre con riferimento agli uffici giudiziari dei comuni colpiti dal sisma, erano altresì sospesi i termini per la fase delle indagini preliminari e quelli per proporre querela, stabilendosi che nel procedimento di esecuzione penale ed in quello di sorveglianza fosse osservata, in quanto compatibile, la disciplina di cui alla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 2, e successive modificazioni (comma 6).
Il comma 7 disciplinava invece le sorti dei processi penali in cui, al 20 maggio 2012, una parte o un difensore (nominato prima di tale data) risultasse residente nei comuni terremotati, prevedendo che il giudice dovesse disporre il rinvio d’ufficio a data successiva al 31 dicembre 2012 – fatte salve le ipotesi di cui al comma 8 – quando una delle parti o uno dei loro difensori risultasse contumace o assente e prevedendo altresì la sospensione fino alla stessa data dei termini previsti dal codice di rito a pena di inammissibilità o decadenza per lo svolgimento di attività difensiva e per la proposizione di reclami o impugnazioni.
Il comma 8 inoltre stabiliva che la sospensione di cui ai commi 6 e 7 non operava per l’udienza di convalida dell’arresto o del fermo; per il giudizio direttissimo; per la convalida dei sequestri; nei processi con imputati in stato di custodia cautelare; nei processi a carico di imputati minorenni.
Si prevedeva, in chiusura del comma 8, che la sospensione dei termini di svolgimento di attività difensiva e per la proposizione di reclami o impugnazioni non operasse qualora le parti processuali interessate o i relativi difensori vi rinunciassero.
Il comma 9 infine sospendeva il corso della prescrizione per il periodo in cui ai sensi dei commi 6 e 7 – il processo penale o i termini procedurali fossero sospesi o il processo fosse rinviato.
In tal modo il legislatore ha provveduto a regolamentare la sorte dei processi in corso e le attività, processuali e non, delle parti in considerazione degli inevitabili disagi, ratione loci o ratione personae, connessi ad accadimenti di tal genere che rendono, soprattutto nel periodo prossimo alle calamità e per tutto il tempo necessario per uscire dall’emergenza, complicato, oltre che il normale regime di vita sconvolto, nella specie, dagli eventi tellurici, anche l’esercizio dei diritti e l’adempimento degli obblighi (cfr., amplius, Sez. 3, n. 5106 del 13/12/2013, dep. 2014, Stefanelli, Rv. 258002; Sez. 4, n. 14056 del 18/09/2014, dep. 2015, Evangelista, Rv. 262956).
Né siffatta disciplina, discrezionalmente prevista dal legislatore, può definirsi irragionevole, in quanto la sospensione dei termini di prescrizione è comunque contenuta nel tempo (cfr. in proposito altresì Sez. 6, n. 18066 del 23/03/2018, Bovi, Rv. 272918) e risponde a ragioni oggettive di equo contemperamento tra esigenze opposte, a fronte dei disagi e delle complicazioni di vita per le persone e per gli uffici, sulle quali sembra del tutto inopportuno soffermarsi. In ragione di ciò, la proposta questione di costituzionalità va ritenuta manifestamente infondata.
Del pari non vi è questione circa il termine di prescrizione, comunque certamente maturato dopo la sentenza d’appello in esito all’applicazione della normativa richiamata, ed in ragione del fatto che all’epoca dell’entrata in vigore della normativa richiamata in effetti il procedimento pendeva nella fase delle indagini preliminari.
4.6. Del tutto infondata è infine la richiesta di applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p..
Al riguardo, infatti, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cit., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133 c.p., comma 1, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). In tal modo, il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., comma 1, ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647).
In specie, il provvedimento impugnato ha correttamente fatto riferimento, ed il rilievo è in effetti assorbente, al profilo soggettivo di particolare disvalore inerente all’attività professionale del ricorrente con funzioni di pubblico ufficiale, mentre in ogni caso appare difficile ravvisare la “particolare tenuità” nell’utilizzo di fatture fasulle di ammontare complessivo di Euro 40.000, pari ad un’imposta indiretta di Euro 8.000.
Tra l’altro, in ogni caso, la questione in sede di gravame non era stata posta come motivo d’appello, ma solamente nella discussione finale (cfr. Sez. 6, n. 20270 del 27/04/2016, Gravina, Rv. 266678), laddove comunque la norma era entrata in vigore già in data 2 aprile 2015, ossia ancora nella pendenza del primo grado di giudizio.
5. La manifesta complessiva infondatezza dell’impugnazione non può che condurre quindi all’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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