CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 39049 depositata il 28 agosto 2018
Amministratore – Violazioni – Evasione d’imposta – Omessa dichiarazione – Reati penali
Ritenuto in fatto
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Milano confermava la decisione resa dal Tribunale di Milano, la quale aveva condannato P.V. e G.O. alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa per entrambe, in relazione al reato di cui agli artt. 110, 81 cpv. cod. pen., 5 d.lgs. n. 74 del 2000, perché, in concorso tra loro, V. nella sua qualità di amministratore pro tempore della Centro Servizi Società Cooperativa srl e O. nella sua qualità di amministratore pro tempore della O.S.C. srl, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di evadere le imposte dirette e l’iva, non presentavano, essendovi obbligate, la relativa dichiarazione annuale per i periodi di imposta 2008 e, quanto alla O., anche 2009.
2. Avverso l’indicata sentenza le imputate, per il tramite dei rispettivi difensori di fiducia, propongono ricorso per cassazione.
3. Il ricorso presentato nell’interesse di P.V. è articolato in quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo si lamenta erronea applicazione degli artt. 2, 157 cod. pen., 17, comma 1 bis, d.lgs. n. 74 del 2000. Assume la ricorrente che il reato, consumatosi il 30 dicembre 2009, sarebbe prescritto, non trovando applicazione il disposto del comma 1 bis dell’art. 17 d.lgs. n. 74 del 2000, essendo stato introdotto dal d.l. n. 138 del 2011 che, pertanto, opera in riferimento solo ai fatti successivi.
3.2. Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione dell’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000. Secondo la prospettazione difensiva, la V. non avrebbe potuto presentare la dichiarazione entro il termine di legge, essendo cessata dalla carica di amministratore della Centro Servizi Società Cooperativa srl in data 16 dicembre 2009.
3.3. Con il terzo motivo si lamenta erronea applicazione dell’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000. La ricorrente contesta la ritenuta sussistenza del dolo specifico, avendo semplicemente ricoperto la carica di amministratore della Centro Servizi Società Cooperativa srl, senza mai essersi ingerita delle vicende societarie, come evidenziato dell’esito delle indagini condotte dalla polizia giudiziaria, e, quindi, non avendo mai avuto consapevolezza dell’imposta nella misura superiore alla soglia di rilevanza penale.
3.4. Con il quarto vizio si censura il vizio di mancanza di motivazione. Assume la ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe correttamente valutato le doglianze proposte con l’atto d’appello e con i motivi aggiunti.
4. Il ricorso presentato nell’interesse di G.O. è affidato a due motivi.
4.1. Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed c) in relaziona all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000. La ricorrente deduce la carenza dell’elemento oggettivo del delitto in esame, avendo i giudici di merito integralmente recepito la ricostruzione dei redditi operata dai militari della Guardia di Finanza, i quali, da un lato, si sarebbero limitati a quantificare l’indice di produttività per addetto, facendo riferimento a dati incerti (ossia il numero dei lavoratori occupati nel 2010 in base alla media di quelli occupati nel 2008 e nel 2009), e, dall’altro, non avrebbero tenuto in debita considerazione i costi fissi sostenuti dalla O.S.C. srl, come riportati nel bilancio di esercizio al 31 dicembre 2010.
4.2. Con il secondo motivo si eccepisce la carenza dell’elemento soggettivo del delitto in esame, in quanto la O. era una mera “testa di legno”, che non si sarebbe mai occupata delle vicende societarie.
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. In premessa, vale osservare che, come più volte affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato al giudice di legittimità essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, esulando dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone ed altri, Rv. 207944), con la specificazione che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché le ragioni del convincimento siano spiegate in modo logico e adeguato (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
2. Il ricorso presentato nell’interesse di P.V. è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
3. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Invero, computando il termine di novanta giorni di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2009, il reato si è consumato il 29 dicembre 2009; pertanto, pur non tenendosi conto del disposto di cui all’art. 17, comma 1 bis, d.lgs. n. 74 del 2000, applicabile solo per i fatti successivi all’entrata in vigore della norma, introdotta con d.l. n. 138 del 2011, il termine di prescrizione, pari a sette anni e mezzo, cui si aggiungono i periodi di sospensione, per un totale di sette mesi e tredici giorni (dal 17 luglio 2014 al 27 ottobre 2014, e dal 23 maggio 2017 al 29 giugno 2017), è spirato in data 11 febbraio 2018, quindi dopo la deliberazione della sentenza impugnata.
Peraltro, l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta, come si è anticipato, alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266).
4. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo.
A differenza di quanto opinato dalla ricorrente, il termine entro cui avrebbero dovuto essere presentate le dichiarazioni fiscali per il 2008, come esattamente ritenuto dai giudici di merito, scadeva il 30 settembre 2009, quando, dunque, la Varia rivestiva ancora la qualifica di amministratore pro tempore della Centro Servizi Società Cooperativa srl, essendo cessata dalla carica il 16 dicembre 2009.
Invero, per costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di reati tributari, il termine dilatorio di novanta giorni, concesso al contribuente – ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario, non si configura quale elemento di una causa di non punibilità, ma costituisce un termine ulteriore per adempiere all’obbligo dichiarativo, e per individuare il momento consumativo del reato di omessa dichiarazione previsto al comma primo del citato art. 5; detto termine è quindi privo di valenza scriminante nei confronti di chi, alla scadenza del termine ordinario, era tenuto a presentare la dichiarazione, eventualmente anche in concorso con il nuovo obbligato nei novanta giorni di proroga (Sez. 3, n. 19196 del 24/02/2017 – dep. 21/04/2017, Pollastrelli, Rv. 269635: fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto corretta la condanna del rappresentante di una società, dimessosi appena dopo la scadenza del termine ordinario; Sez. 3, n. 43695 del 10/11/2011 – dep. 25/11/2011, Bacio Terracina Coscia, Rv. 25132).
5. Non miglior sorte merita il terzo motivo.
Invero, i giudici di merito hanno logicamente escluso che la Varia fosse una mera “testa di legno” della società, circostanza, questa, che non trova riscontro nelle deposizioni testimoniali, né ciò è stato mai dichiarato dall’imputata.
Al cospetto di una congrua motivazione, priva di vizi logici, il motivo di ricorso deve ritenersi manifestamente infondato e, in quanto diretto a sollecitare, peraltro in maniera generica, una rivalutazione delle prove, non consentita in questa sede.
6. Infine, anche il quarto motivo è manifestamente infondato, perché generico.
La ricorrente, invero, contesta in maniera aspecifica la sentenza impugnata, assumendo che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto delle risultanze processuali e delle dichiarazioni testimoniali, ma non indica né i mezzi di prova, i cui risultati sarebbero stati travisati, né i passaggi motivazionali, che si assumono carenti e/o illogici.
7. Parimenti inammissibile è il ricorso presentato nell’interesse di G.O..
8. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Con motivazione adeguata e immune da vizi, la Corte territoriale ha puntualmente confutato la censura, riproposta in questa sede, circa la natura ipotetica degli accertamenti effettuati dalla G.d.F., osservando che le annualità, per le quali è intervenuta la condanna, sono relative al 2008 e al 2009, mentre le argomentazioni difensive sono incentrate sulla determinazione dell’indice di produttività per addetto in relazione al 2010, e, con riguardo a dette annualità, il dato relativo al numero dei dipendenti non è affatto presuntivo, essendo stato desunto dalla denuncia della società all’Inps. Allo stesso modo, la Corte territoriale ha correttamente evidenziato che gli altri dati utilizzati per la determinazione del reddito imponibile sono stati tratti dalla documentazione societaria, di talché, con motivazione logica, ha concluso nel senso che il reddito d’impresa e l’iva dovuta per il 2008 e il 2009 sono stati dedotti sulla base di dati oggettivi e attraverso l’applicazione di un corretto procedimento logico, idoneo a determinarli pur con un accettabile margine di approssimazione, il quale è stato logicamente ritenuto irrilevante ai fini della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, in considerazione dell’ampio superamento della soglia di punibilità.
9. Anche il secondo motivo è diretto a una rilettura, peraltro sollecitata in maniera apodittica, del compendio probatorio, non consentita in sede di legittimità.
I giudici di merito, infatti, hanno accertato, con motivazione logica e aderente alle emergenze probatorie, che la O. era l’amministratore formale della società e che non vi erano altri soggetti, che abbiano gestito, di fatto, l’attività e sui quali avrebbero potuto gravare oneri in materia fiscale.
10. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 ciascuna in favore della Cassa delle Ammende.
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